Capitolo 15
«No, la tengo io, grazie.»
Nel rispondere, Trez fece un sorriso a Ehlena perché
non voleva che l'infermiera si offendesse mentre la allontanava. Ma la verità
era che lui era ben più che pronto a portare Selena fuori dalla sala visite. Voleva
portarla fuori dal centro di addestramento. Via... da qualche parte, in
qualsiasi altro posto.
Anche se quel momento era ancora lontano. Appena due
ore prima il suo battito si era spento, le avevano scaricato nel torace un
miliardo di watt di energia elettrica, e in qualche modo lei era riuscita a ritornare
dal baratro grazie a lui e a tutta la trafila del trasformarsi in una coperta vivente,
soffiandole la vita nell'anima.
Oh, beh, era solo un altro giorno.
O era notte?
Chi cazzo lo sapeva.
«Sei pronto?» gli chiese Selena.
Era una roba tipo paesaggio da fiaba quando lei lo
guardò negli occhi e lui annuì con la testa. Non avrebbe mai creduto possibile una
ripresa - o il fatto che il corpo di lei si fosse piegato nel modo corretto
mentre lui la sosteneva sotto le ginocchia e per le spalle.
«Sarò... delicato.» Quando la sua voce si incrinò, si
sarebbe preso a calci in culo da solo. «Sarò gentile e mi muoverò lentamente.»
Lei annuì di nuovo e rimase a bocca aperta quando Trez
la sollevò dal lettino visite e la allontanò dal fascio di luce della lampada
scialitica, che era stata abbassata vicino al suo corpo.
«Da che parte?» chiese di nuovo lui, anche se gli
era già stato detto due volte.
Ehlena, che era incaricata di tenere la flebo, li
condusse a una porta. «Di qua.»
In fondo, la sala di terapia intensiva non conteneva
nulla che lui desiderasse per la sua femmina. Il letto era come quello di un
ospedale, con grandi sponde di contenzione su entrambi i lati, le coperte erano
sottili, le lenzuola semplici e bianche. C'era un'asta a cui agganciare la
flebo e un sacco di apparecchiature di monitoraggio. I cuscini sembravano duri.
D'altronde, lui avrebbe voluto posarla su un letto
di piume fatto a mano e perfino quello sarebbe stato inadeguato.
Selena rabbrividì mentre lui la metteva giù con
attenzione. E poi, quando Trez cercò di sfilarle le coperte da sotto il corpo, lei
chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Solo un minuto?» gemette Selena, come se tutto le
dolesse.
«Già. Sicuro. Naturalmente.»
Eeeee ora lui non aveva niente da fare. Guardandosi
intorno, adocchiò una sedia e immaginò il proprio culo lì sopra, così non le
sarebbe stato troppo addosso.
Mentre si sedeva, ed Ehlena li lasciava soli alla
ricerca di un minuscolo momento di pace, lui pensò, Merda, Selena era così immobile. Ma almeno le sue articolazioni
avevano un’angolazione quasi normale, respirava da sola ed era cosciente.
Era ancora molto pallida, però. Il viso aveva quasi
il colore delle lenzuola. E anche se i suoi capelli erano stati pettinati, c'erano
ancora dei nodi nella capigliatura scura.
«Mi... dispiace...»
«Che cosa?» esclamò lui, sporgendosi in avanti. «Cosa
hai detto?»
«Mi dispiace...»
«Per cosa? Gesù, come se ti fossi offerta volontaria
per questo!»
Quando lei iniziò a piangere, lui abbandonò la sedia,
si avvicinò al letto e le si inginocchiò accanto. Raggiungendola, abbassò la
sponda e prese la mano che era più vicina a lui.
«Selena, non piangere.» C'era una scatola di Kleenex
sul comodino di fianco al letto e lui mollò la presa per tirarne fuori uno e
asciugarle le guance. «Oh, no, non scusarti. Non puoi scusarti per una cosa
simile.»
La sua respirazione era irregolare. «Io non volevo
che tu lo sapessi. Non volevo che ti... preoccupassi.»
«Vorrei che me lo avessi detto.»
«Non si può fare nulla.»
Okay, questa era proprio una coltellata tra le
fottute costole. «Non lo sappiamo. Manny sta per consultarsi con alcuni dei
suoi colleghi umani. Forse-»
«Ti amo.»
Le sue parole lo colpirono come uno schiaffo in
pieno viso e Trez tossì, rimase a bocca aperta, farfugliò e ansimò allo stesso
tempo. Grande risposta. Davvero virile, cazzo - il che gli ricordava, assurdamente, di quel distorsore vocale in Ferris Bueller (serie TV americana)
mentre lo stronzetto era al telefono con i suoi compagni di classe.
Quale diavolo era il suo problema? La femmina di cui
era innamorato, quella che voleva più di ogni altra cosa al mondo, gli aveva
detto le Tre Paroline Magiche... e lui si era trasformato in un gigantesco
ammasso di funzioni fisiche.
Davvero romantico.
Beh, almeno non si era sciolto nei suoi Levi's.
«Io...» balbettò.
Prima che potesse aggiungere altro, lei gli strinse
la mano e scosse la testa avanti e indietro sul cuscino. «Non devi dirmelo
anche tu. Volevo solo che tu lo sapessi. Per me è importante... che tu lo
sappia. Non c'è tempo-»
«Non dire così.» La sua voce si fece stridula. «Ho
bisogno che tu non lo dica mai più. C'è tempo. C'è sempre tempo-»
«No.»
Dio, i suoi occhi azzurri erano antichi mentre lo
fissava. Anche nel suo viso perfettamente scolpito, che irradiava bellezza nonostante
la condizione, quel suo sguardo esausto la faceva sembrare vecchia.
Era tutto così ingiusto. Selena in quel letto, lui
in ginocchio - e nessuna possibilità di poter condividere con lei la salute che
lui aveva in abbondanza. Certo, quando era in arresto cardiaco Trez era stato
in grado di riportarla indietro, ma lui non voleva semplicemente trascinarla
via dal baratro. Voleva curarla.
Voleva... avere degli anni da trascorrere con lei.
Eppure, proprio mentre il pensiero lo colpiva, si
rese conto che non sarebbe mai accaduto: anche se il destino di lei fosse
cambiato, il suo non lo avrebbe fatto.
«Ti amo...» mormorò Selena.
Per un attimo, fu lui a sentirsi sull'orlo del
precipizio, il cuore e l'anima vacillanti e in procinto di sprofondare nelle
sue parole, nei suoi occhi, in tutto ciò che la rendeva femmina, misteriosa e
meravigliosa... ma poi si disse che era quasi morta, al massimo era a malapena
cosciente, e probabilmente non aveva idea di quello che gli stava dicendo.
Inoltre la dottoressa Jane aveva annunciato che lui le
aveva salvato la vita. Il che poteva essere vero o meno - ma, data la tragedia,
la gratitudine poteva far provare a chiunque qualcosa che non avrebbe sentito
normalmente.
O forse alimentava le fiamme dell'affetto trasformandolo
in un'emozione improvvisa molto più forte.
«Non devi dirlo anche tu» sussurrò lei. «Ma avevo
bisogno che tu lo sapessi.»
«Selena, io-»
Alzò l'altra mano, con il palmo in avanti. «Non c'è
bisogno di andare oltre.»
Il silenzio rimbombò ma solo nella stanza. Nella sua
scatola cranica? Il suo cervello era un cavo ad
alta tensione sottoposto a spasmi, tutti
i tipi di pensieri e immagini gli scorticavano la coscienza come se la sua
materia grigia fosse diventata una scimmia che lanciava escrementi per tutta la
gabbia.
Concentrandosi di nuovo su lei, disse a se stesso darsi
una mossa e provare ad aiutarla.
«Ti andrebbe di nutrirti?» Sollevò la mano libera,
mostrandole il polso. «Per favore?»
Quando lei annuì fu un immenso sollievo, lui si morse
la carne con le proprie zanne prima che distendere il braccio fino a portare la
vena alla bocca di Selena. In un primo momento lei si attaccò a malapena,
bevendo a piccoli sorsi. Col tempo, però, assunse il controllo succhiando da
lui, prendendo quello che aveva da darle dal profondo.
Gli venne duro.
Non poteva evitarlo. Ma non era desiderio
sessuale. Era troppo distratto dalla preoccupazione per lei, mentre si
domandava se, da un momento all'altro, il suo corpo cedesse di nuovo.
Selena era stabile, aveva detto la dottoressa Jane.
Lei era stabile come chiunque poteva esserlo dopo centoventi minuti di totale collasso
molecolare. Almeno la seconda serie di raggi X aveva qualcosa di miracoloso.
Mentre nei primi c'erano ossa in quelle che dovevano essere le parti mobili
delle sue articolazioni. Ora, sia secondo la dottoressa Jane che Manny, le cose
erano più "anatomicamente appropriate."
Nessuno sapeva dove quella robaccia fosse andata a
finire. O perché fosse sparita. Oppure, quando sarebbe tornata. Quello che
sapevano di sicuro era che dove non c'era stato più alcun movimento, adesso
c'era.
Dopo un bel po', le labbra
di Selena si rilassarono e le palpebre si socchiusero. Ritraendo il
braccio, lui si leccò le ferite chiudendo i fori, addossò l'avambraccio sul
materasso e vi appoggiò il mento sopra.
«Come hai fatto a trovarmi?» chiese lei con voce
assonnata. «Sono caduta quando ero al Santuario...»
«Qualcuno è venuto a prendermi.»
«Chi...?»
La Vergine Scriba, pensò lui mentre lei russava
lievemente.
«Selena?»
«Sì?». Lei provò a scuotersi, sollevò la testa e
costrinse gli occhi ad aprirsi. «Sì...?»
«Voglio che tu sappia una cosa.»
«Prego.»
«Non importa cosa accadrà, io non ti lascerò. Se mi vuoi
con te, non importa... come andrà a finire, io resterò al tuo fianco. Se vuoi
che io ci sia, allora ci sarò.»
Selena lasciò scivolare lo sguardo sul suo volto. «Tu
non sai di cosa stai parlando-»
«Col cavolo che non lo so.»
«Sto morendo.»
«Anch'io, ma non so quando accadrà, e nemmeno tu.»
Nei suoi occhi luminosi brillò una complessa
emozione. «Trez. Ho visto le mie sorelle vivere la malattia. Lo so
cosa-»
«Tu non sai un cazzo. Con il dovuto rispetto.»
Trez si alzò e andò ai piedi del letto. Sfilò lenzuola
e coperte dal materasso, guardò sotto ai suoi piedi.
«Cosa stai facendo?»
Con una mano gentile, lui inclinò una delle sue
caviglie in modo da poter guardare la pianta del piede. «Non c'è.»
«Scusami?»
«Non vedo alcun timbro con la data di scadenza qui
sotto.» Fece lo stesso con l'altro piede. «Neanche qui.»
Rimise le coperte a posto. Le rimboccò. Fissò il
corpo di lei - e cercò di sfuggire al fatto che la sua carne che lui bramava
con ogni probabilità poteva essere quello che li avrebbe separati per sempre.
Poi si ricordò della notizia iAm che gli aveva dato
nel corridoio.
Merda, come se non avesse abbastanza rogne di suo.
«Io non ti lascerò» le promise.
«Non volevo parlarti di tutto questo.» I suoi occhi
si inumidirono, le lacrime trasformarono quelle iridi azzurre in pietre
preziose. «Non volevo che tu lo sapessi e mi compatissi.»
«Non ti compatisco.»
«Non fare questo a te stesso, Trez. Solo... sappi solo
che ti amo e lasciami andare.»
Lui tornò da Selena. «Posso avere la tua mano?»
Quando lei si girò rigidamente sul letto e allungò
il braccio, lui le prese il palmo e se lo mise tra le gambe, sulla dura erezione che premeva contro la patta. Il contatto lo fece sibilare, le zanne
discesero in fretta, ruotò il bacino.
«Questo ti sembra pietà?» disse lui a denti stretti.
Cazzo, lui dovette fare un passo indietro. Aveva
fatto quel gesto esplicito solo per dimostrarle il suo punto di vista, invece
si ritrovò pronto a venire, il suo corpo che passava da zero a sessanta in un
nano secondo.
«Trez...»
«Non sto dicendo che dobbiamo fare sesso. Per niente.
Ma non sono qui perché ti compatisco, okay?»
«Io non posso chiederti di restare.»
«Tu no. Io posso scegliere di farlo. Io posso
scegliere... te.»
Mentre diceva quelle parole, si rese conto che,
porca puttana... era vero. Per una volta nella sua vita, si sentiva come se
stesse scegliendo qualcosa - e in un modo strano, ma bello. Anche se la
situazione era davvero una roba triste, si sentiva liberato del tutto, Questa è la mia scelta.
Questa… situazione... era qualcosa che avrebbe avuto
la priorità su tutto per quanto fosse durata, dovunque li avrebbe condotti.
Supponendo che Selena lo volesse con lei.
Nel silenzio che seguì, lui si guardò intorno, vide le
pareti nude e seppe di doverla portare fuori da quella stanza d'ospedale.
Certo, si trovava vicino al personale medico qualora avesse avuto problemi, ma ti
metteva in uno stato d'animo da schifo, era un deprimente Tu Sei Malato.
Trez si concentrò di nuovo su di lei. «Qualunque
cosa ti serva, io sono qui per te, va bene? Se mi vuoi.»
Dopo un momento, lei gracchiò: «Ti voglio».
«Va bene, allora.» Trez lasciò andare un respiro
veloce, poi alzò l'indice. «Solo una cosa. Nessuna data di scadenza, d’accordo?
Affronteremo questa cosa come se tu potessi vivere per sempre.»
L'incredulità si dipinse sul viso di Selena, ma lui
si limitò a scuotere la testa. «No. Questa è la mia regola numero uno.»
Trez non era stupido. Aveva ascoltato quello che quello
che l'altra Eletta aveva detto guardando i raggi X e osservando la posizione
del corpo. Lui sentiva dentro di sé che stava per perderla e che, molto
probabilmente, sarebbe successo presto. Ma lui che regalo poteva farle? La cosa
più importante - diamine, forse l'unica cosa - che lui poteva donarle?
La speranza.
E lui non aveva bisogno di credere che lei dovesse essere curata per sentirla, per condividerla o per viverla.
Essere presente. Amarla fino alla fine. Non lasciare mai
il suo fianco fino all'ultimo respiro.
Era così che l'avrebbe onorata con il suo cuore e la
sua anima, anche se lui non ne era degno.
«Nessuna data di scadenza» esclamò lui. «Viviamo
ogni notte come se ne avessimo ancora un migliaio da vivere.»
* * *
Selena batté le palpebre allontanando altre lacrime.
Sotto molti aspetti, non poteva credere che Trez si trovasse ai piedi del suo
letto d'ospedale, che scrutasse nella sua anima con l'unico intento che solo la
sua volontà riuscisse a tenerla in vita e in buona salute per tutto il tempo
che lui desiderava.
«Non credo che abbiamo un migliaio di notti, Trez»
gli disse.
«Come lo sai? Ne sei sicura?»
«No, ma-»
«E allora perché sprecare anche solo un attimo del
tempo a nostra disposizione nel pensarla in quel modo? Cosa ce ne entrerebbe?
Scherzi a parte, come posso aiutarti a-»
«Vuoi venire a letto con me?»
Lui si schiarì la gola. «Sei sicura?»
«Sì. Ti prego.»
Lei ammirò l'agilità con cui lui si mosse, mentre si
issava sull'alto materasso, si spostò all'altro lato, aiutandola a fare un po'
di spazio per lui. E come se lui le leggesse nella mente, se la sistemò tra le
braccia così che la sua testa si appoggiasse al suo torace.
Sospiri. Esausti.
Da parte di entrambi.
«Mi sento sollevata» sentì se stessa dire. «Volevo che
lo sapessi, ma...»
«Shh. Hai bisogno di dormire.»
«Sì.»
Chiudendo gli occhi, lei poteva percepirlo in una
dimensione differente ora, il suo sangue si faceva strada dentro lei e nel suo
sistema, rafforzandola dopo l'episodio. Nella sua mente, lei calcolò con
esattezza quando si era verificato l'ultimo arresto. Tredici notti prima. Quello
precedente? Sedici.
Ma forse, se non avesse più offerto la sua vena a
nessuno, avrebbe avuto più di una tregua. E forse la forza che lui le aveva appena
donato attraverso il suo sangue l’avrebbe aiutata a combattere anche tutte le
successive crisi.
«Mi sono allontanata» gli disse, «a causa di tutto
questo. Non a causa tua. Non mi importa del tuo passato. Voglio solo che tu lo
sappia.»
Trez cominciò a strofinarle la schiena, facendo
cerchi con il suo grosso palmo. «Shh. Prova solo a riposare.»
Selena sollevò la testa. «Questo devi lasciatemelo
dire. Devi ascoltarlo e devi crederci. So che tu volevi tenermi fuori dalla tua
vita perché pensavi che io... ti giudicassi o qualcosa del genere. Ma io mi
sono allontanata a causa di tutto questo, non perché sei stato con un sacco di...
umane. E neanche a causa del tuo fidanzamento.»
Trez chiuse gli occhi e fece una smorfia. Poi scosse
la testa. «Devo essere onesto con te. L'ultima cosa a cui voglio pensare adesso
è-»
«Io non credo che tu sia impuro, Trez.»
«Ti prego. Smettila.»
Gli prese la mano e la strinse, cercando di mettersi
in contatto con lui, sentendo il desiderio di dirgli tutto in una volta, di mettere
le carte in tavola. La sua teoria sull’avere migliaia di notti a disposizione era
un buon intento per la sua salute mentale - e lui era giunto alla sua stessa
conclusione: non c'era una data o un tempo di scadenza su di lei. Ma lei aveva
vissuto in questa realtà dal primo episodio che era avvenuto molti decenni prima,
e il suo percorso per la sopravvivenza era come quello di un'auto che andava
fuori strada e scivolava in un fosso.
Non c'era possibilità di sopravvivenza a questo.
«Devo dirtelo, Trez. Ho aspettato davvero tanto prima
di parlarne con te. Non voglio perdere la mia opportunità.»
Vagamente, Selena si accorse che stava parlando con
più enfasi, sentendosi di più se stessa, recuperando sempre più grazie al dono
della sua vena.
«Tu sei un uomo di valore, e credo di essermi innamorata
di te la prima volta-»
Trez schizzò fuori dal letto e, per un istante, lei
pensò che stesse per andarsene via, uscire dalla porta e allontanarsi da lei e
dalla sua stupida malattia. E per un momento, lui si fermò davanti all'uscita.
Ma poi cominciò a camminare in tondo per la stanza.
«Perché per te è così difficile da accettare?»
chiese Selena ad alta voce. «Che sei un brav'uomo. Che vali-»
«Selena, non sai di cosa stai parlando.»
«Ti stai aggirando in questa stanza come sei fossi braccato.
Quindi sono abbastanza sicura di saperne qualcosa.»
Trez si fermò e scosse la testa. «Guarda, questo riguarda
te. Questo...» Lui agitò la mano avanti e indietro tra di loro. «Tutto questo
riguarda te. Io sono qui per te e per le tue esigenze, qualunque esse siano.
Noi faremo in modo di tenermi fuori da questo, va bene?»
Selena si spinse più in alto sul cuscino. Lo sforzo
sui suoi gomiti e sulle sue spalle le fece stringere i denti e dovette riprendere
fiato come se il dolore si prendesse con calma il suo tempo per dissolversi.
Ma era meglio che essere rigida e paralizzata.
Quando lui strinse gli occhi della preoccupazione,
lei gli disse: «No, non ho bisogno della dottoressa Jane. Davvero».
Mentre lui si strofinava la faccia, lei lo guardò
attentamente per la prima volta. Aveva perso un po' di peso negli ultimi tempi,
le guance erano talmente scavate che la mascella appariva ancora più pronunciata,
gli occhi più infossati nelle orbite, le labbra apparivano più piene. Eppure
anche così, era un enorme maschio della specie, con le spalle tre volte più
grandi delle sue, il petto e l'addome scolpiti, le fasce di muscoli che
scendevano sulle braccia e sulle gambe.
Era bellissimo. Dalla sua pelle scura agli occhi
neri, dalla sommità della testa rasata alle suole dei suoi stivali.
«Sei davvero un maschio di valore» mormorò lei.
«E dovrai accettarlo.»
«Oh, davvero» fu la sua replica ironica. «Non sono
così sicuro di-»
«Smettila.»
Trez la fissò e poi aggrottò la fronte. «Sai, io non
sono sicuro del perché stai ancora parlando di questo argomento. Senza offesa,
ma tu sei quasi morta in quell'altra stanza. Tipo, quanto tempo fa? Mi sembra
dieci minuti. La mia merda non è importante adesso.»
Selena guardò il proprio corpo. Indossava un camice
da ospedale azzurro con un disegno a spirali blu. Era legato sulla schiena e
sentiva i nodi che le mordevano i punti in cui avrebbe dovuto esserci il suo
reggiseno se avesse indossato uno, e più in basso, uno piccolo in fondo alla
schiena.
Le sembrava strano pensare che le cose nel suo corpo
funzionassero con una relativa normalità adesso. E la realtà che loro non
sarebbero riusciti a mantenere questa funzionalità per molto, portò una straordinaria nitidezza.
«Sai» mormorò lei, «non ho mai considerato il fatto
che ci potrebbe essere un aspetto positivo nel soffrire di una malattia mortale.»
«E quale sarebbe?» chiese cupo Trez.
Lei spostò lo sguardo verso di lui. «Non ti spaventa
dire le cose come sono realmente. L'onestà può essere terrificante, a meno che
tu non abbia qualcosa di più spaventoso contro cui misurarti — come la
prospettiva di morire. Quindi ti dirò precisamente perché io penso che la tua
'merda', come la chiami tu, è importante. Qualunque cosa ti guidi, qualunque
cosa lo stia causando» - lei fece un cenno circolare che comprendeva tutto il
corpo di Trez - «o che abbia causato quel vuoto dentro di te? Penso che tu
abbia usato tutte quelle donne per sfuggire a quello. Penso che ti sia scopato
quelle umane per tutti quegli anni come distrazione e il fatto che tu non voglia
riconoscerlo? Mi preoccupa che tu potresti usarmi come una distrazione ancora
più grande, il modo migliore per evitare te stesso. Cosa potrebbe esserci di più seducente o efficace,
se tu non vuole affrontare i tuoi problemi, di una certa femmina affetta da una
malattia mortale?»
«Gesù Cristo, Selena, non la penso così. Affatto-»
«Beh, forse dovresti.» Lei inclinò la testa,
un'altra conclusione la colpi come una tonnellata di mattoni. «E ti dirò
un'altra verità. Se avessi a disposizione un migliaio di notti o solo due?
Voglio viverle con te - ma solo in modo onesto. Non voglio essere la tua nuova
scusa, Trez. Ti voglio qui, ti voglio con me, ma ho bisogno che questa cosa che
c'è tra noi sia reale. Non ho l'energia o il tempo per qualcosa di meno.»
Nel lungo silenzio che seguì, lei aspettò la sua
risposta. Ma non importava quanto le cose fossero diventate imbarazzanti, lei
non avrebbe ritrattato una singola parola.
Aveva detto esattamente quello che aveva in mente.
In realtà, fu davvero liberatorio.
Evvai!!!! Grazie! Splendida traduzione come sempre. Il capitolo, poi, è stato coinvolgente e affascinante. Susanna
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