mercoledì 25 giugno 2014

Capitolo 12 di THE KING di J.R. Ward


The King

12


La galleria d'arte Benloise si trovava nel centro di Caldwell, a circa dieci isolati dai grattacieli e a soltanto due dalle rive del fiume Hudson. L'edificio semplice e dimesso constava di tre piani, con una doppia altezza per la galleria al primo piano, gli uffici del personale sul retro e il corridoio tipo pista da bowling che conduceva all'ufficio di Benloise proprio sotto il tetto piatto.

Mentre Assail parcheggiava la sua Range Rover nel vicolo posteriore della galleria, respirò a fondo. Non si era fatto di cocaina prima di uscire da casa perché voleva essere lucido. Sfortunatamente, il suo corpo era agitato a causa della mancanza di eccitazione e una fissazione da tossico lo colpì riguardo a ciò che non aveva fatto per incasinarsi la mente.

"Vuoi che veniamo con te?" domandò Ehric dal sedile posteriore.

"Solo uno di voi."

Assail scese dall'auto e attese che decidessero chi doveva accompagnarlo. Dannazione, gli tremavano le mani, malgrado non fosse caduta ancora un'altra spruzzata di nevischio, lui stava cominciando a sudare.

Avrebbe dovuto farsi una tirata di coca? Era prossimo ad appendersi il cartello Fuori Servizio sul petto.
Fu Ehric a unirsi a lui, aggirando il SUV dal retro. "Cosa ti affligge?"

"Niente."

Una bugia in moltissimi sensi.

Mentre si avvicinavano alla porta sul retro, Assail si arrese. Mise la mano nel taschino del suo cappotto Tom Ford e tirò fuori la fiala marrone scuro. Svitò il tappo nero, riempì il cucchiaino interno con la polvere bianca.

Sniff.

Ripeté il gesto all'altra narice e poi prese una singola sniffata doppia per assicurarsi che tutto fosse a posto.

Il fatto che entrò subito in modalità "normale" era un altro segnale d'avvertimento che lui scelse d'ignorare. Dopo due tiri non avrebbe dovuto sentirsi calmo e concentrato - ma non avrebbe sprecato tempo a pensarci. Alcune persone si facevano di caffè. Altri con diversi prodotti a base di coca.

Riguardava tutto il fare la tua mossa.

Quando arrivò a una pesante porta d'acciaio - che era una misura di sicurezza mascherata da una testimonianza sull'industrializzazione del mercato dell'arte - non c'era motivo di suonare alcun campanello e sicuramente non doveva bussare. Quella mostruosità spessa quasi otto centimetri non era qualcosa su cui si voleva perder tempo a prendere a cazzotti.

E naturalmente, venne aperta in fretta.

"Assail? Che fai?" chiese l'uomo di Neanderthal all'altro lato.

Che stimolante comando e che perfetta grammatica inglese. E anche l'accoglienza ricevuta gli diceva che Benloise e i suoi uomini non erano a conoscenza di chi avesse effettuato quegli omicidi a West Point la notte precedente - altrimenti si supponeva che questo mostro d'intelligenza non si sarebbe comportato in quel modo.

Le maschere nere che avevano indossato erano state un equipaggiamento davvero utile. E disabilitare le telecamere di sicurezza una manovra fondamentale.

Assail sorrise senza mostrare le zanne. "Ho qualcosa da dare al tuo datore di lavoro."

"Lui aspetta te?"

"Non mi sta aspettando, no."

"Okay. Andiamo."

"Questo è il mio socio, comunque," mormorò Assail mentre entrava nella zona degli uffici. "Ehric."

"Già. Capito. Andiamo."

Attraversando lo spazio aperto dall'alto soffitto, i loro passi sul pavimento liscio rimbombavano tra le tubature esposte e i cablaggi sulle loro teste. Quando si parla di disordine organizzato. Una fila di scrivanie funzionali, un mucchio di armadietti e pezzi casuali di "arte" fuori misura soffocati in quello spazio immenso. Nessun dipendente. Nessun telefono che squillava. La facciata legittima del grossista di stupefacenti Benloise chiudeva appena faceva buio.

Come previsto.

Una volta fuori allo spazio adibito alla galleria d'arte, Assail si guardò velocemente intorno mentre la guardia che li aveva fatti entrare scompariva attraverso una porta nascosta al secondo piano.

C'erano due tizi di vedetta al corridoio che conduceva all'ufficio di Benloise.

Assail guardò gli uomini. I loro sguardi erano acuti come al solito, il peso del loro corpo si spostava senza sosta, le mani in continuo movimento come se sentissero la necessità di assicurarsi che erano armati.

"Magnifica serata, non è vero?" commentò Assail, facendo un breve cenno a Ehric.

Mentre le guardie s'immobilizzavano, suo cugino ne approfittò per andare in bagno, il vampiro gironzolò intorno a un'esposizione di pezzi di giornale modellati a forma di diversi simboli fallici.

"Un po' fredda, naturalmente. Ma le spruzzate di neve sono piuttosto pittoresche." Assail sorrise e tirò fuori un Cubano. "Posso accenderlo?"

Quello a destra indicò la tabella laminata contro il muro. "Vietato fumare."

"Sicuramente ci sarà un'eccezione nel mio caso." Assail tagliò la punta del sigaro e la lasciò cadere a terra. "Vero?"

Il tizio con gli occhi color fango guardò in basso. Poi alzò lo sguardo. "Vietato fumare."

"Non c'è nessuno, ci siamo solo noi." Assail tirò fuori l'accendino. L'aprì.

"Non puoi fare niente di quello."

Forse Benloise li sceglieva apposta con delle carenze grammaticali? "Mentre salgo le scale, allora?"

Il genio guardò il suo collega. Poi strinse le spalle. "Credo che va bene."

Assail sorrise di nuovo e fece guizzare una fiamma. "Fammi entrare, allora."

Accadde tutto velocemente. Quello che parlava ruotò il torso e aprì il lucchetto che chiudeva la porta - mentre, nello stesso istante, l'altro decise di stiracchiarsi, piegando le braccia.

Ehric gli si materializzò direttamente alle spalle, mise entrambe le mani ai lati del suo volto stupito e gli spezzò il collo. Per non essere da meno, Assail si fece avanti col coltello che aveva preventivamente estratto dal fodero sulla coscia, colpì all'addome la guardia che faceva rispettare le regole. La mossa successiva fu far sparire l'accendino e mettere una mano sulla bocca dell'uomo - zittendo il gemito che minacciava di tradirli.

Per terminare, liberò la lama con uno strattone e si fece di nuovo avanti.

La seconda pugnalata colpì l'uomo tra due costole, direttamente sul cuore.

La guardia scivolò a terra lentamente.

"Di' a tuo fratello di tenere pronta la Rover," sussurrò Assail. "E porta questo fuori dai piedi. Tra un minuto o due si dissanguerà e quel rantolo è udibile."

Ehric entrò in modalità pulizia, afferrò quelle spesse caviglie e tirò il moribondo dietro a uno degli espositori verticali.

Nel frattempo, Assail salì la scala nascosta e si accese il sigaro, esalando nuvole di fumo mentre spostava la mano della guardia a cui avevano spezzato il collo in modo che la porta restasse spalancata. Ehric si unì a lui un istante dopo, accettò un nuovo cubano e lo accese mentre lasciavano chiudere tutto alle spalle.

L'esperto in lingue che era andato a controllare Benloise si affacciò dalla ringhiera in alto. "Che fai?"

Quindi quella frase era sia un saluto che una domanda. Qualcuno doveva annotarsela, pensò Assail.

Lui soffiò fuori una scia azzurra e indicò le porte chiuse. "Hanno detto che non potevamo fumare nella galleria."

"Non potete fumare neanche qui." L'uomo si guardò dietro la spalla come se qualcuno l'avesse chiamato. "Sì. Okay." 

Si voltò di nuovo. "Dice che sarà qui un minuto."

"Credo che ti faremo compagnia, allora."

La guardia del corpo non era al massimo quella sera, vero? Invece di controllare la situazione, si strinse nelle spalle e permise al suo nemico di avvicinarsi a lui, al suo capo.

Che regalo.

Di solito Assail si prendeva il suo tempo, ma non questa sera. Lui e Ehric salirono in fretta le rampe metalliche a passo svelto.

Era a metà strada dal suo obiettivo quando si rese conto di aver commesso un errore. Probabilmente a causa della cocaina. C'erano delle video camere in tutto l'interno della struttura - eppure lui non se ne era preoccupato.

"Più in fretta," sibilò Assail a suo cugino.

Quando raggiunse l'ultimo livello, Assail fece un inchino alla guardia. "Dove vuoi che lo metta?"

"Che cazzo ne so. Quello non doveva dirti di accenderlo."

"Oh, bene, allora."

Ehric si smaterializzò un'altra volta e apparve dietro alla guardia. Con uno scatto, gli coprì la bocca e lo strattonò all'indietro.

Presentando ad Assail il perfetto bersaglio vivente.

Con una mossa violenta, gli tagliò la gola con la lama in fretta e con facilità, come un colpo di tosse. E poi fu la volta di trascinarne un altro fuori dai piedi.

Assail si fece largo fino alla porta dell'ufficio e la spalancò. Alla fine dell'ampio spazio, Benloise sedeva da solo dietro alla sua moderna scrivania in rilievo, il bagliore della lampada al suo fianco illuminava i suoi lineamenti che rivaleggiavano coi migliori ritratti di Goya.

"... sto venendo a nord adesso -" Benloise tacque immediatamente e l'espressione sul viso divenne impassibile. "Permettimi di richiamarti."

Il grossista di stupefacenti di Caldwell chiuse così in fretta la comunicazione che la cornetta sbatté contro il supporto. "Credevo di averti detto di aspettare, Assail."

"Davvero?" Assail diede un'occhiata oltre la propria spalla. "Forse dovresti essere più chiaro coi tuoi subordinati. Anche se, lo sa Dio, quanto sia difficile provare dipendenti in gamba, non è vero?"

L'elegante piccolo uomo sedeva su quella sedia tipo trono con la sua espressione immutata. Il completo su misura di quella sera era in color blu scuro che esaltava la sua abbronzatura permanente e gli occhi scuri, e come sempre, i capelli radi erano pettinati all'indietro, mostrando la sua calvizie incipiente. Si poteva sentire l'odore della sua acqua di colonia dall'altra parte dell'ufficio.

"Mi scuso per metterti fretta," disse il gentiluomo con quel suo accento educato da non-sono-uno-spacciatore. "Ma ho un altro appuntamento."

"Mi spiacerebbe moltissimo trattenerti."

"Di cosa hai bisogno?"

Assail annuì una volta e bastò solo quello. Ehric si materializzò dietro la scrivania rialzata e sollevò il grossista da quella sedia prendendolo per la testa. Un colpo di Taser e Benloise divenne una marionetta senza fili in un magnifico completo blu scuro.

Mentre suo cugino si caricava l'uomo sulla spalla come un bravo vigile del fuoco, non si scambiarono alcuna parola. Non ne avevano motivo - l'avevano pianificato in anticipo: l'infiltrazione, la messa in sicurezza, la rimozione.

Naturalmente, sarebbe stato molto più piacevole organizzare un confronto stile film Hollywoodiano in cui Assail rispondeva alla domanda del grossista al fine di scivolare su particolari brutali.

Non se volevi prendere il tuo uomo e tenertelo.

Con Ehric alle sue calcagna, Assail cominciò a correre, attraverso il lucido pavimento nero dell'ufficio e scese le scale velocemente. Quando arrivarono nella galleria, ci fu un istante di pausa, un veloce controllo riguardo a eventuali rumori per un imminente confronto.

Niente. Solo il sordo ansimare della guardia moribonda e l'odore ramato del sangue della sua ferita all'addome.

Attraversarono la porta del personale ed entrarono nell'area uffici. Superarono tutte quelle scrivanie e la scultura mobile sospesa fatta di pezzi di auto demolite.

La Range Rover era parcheggiava talmente vicino all'uscita sul retro che praticamente era nell'edificio e, con mosse sicure, Assail aprì la portiera posteriore e Ehric spinse dentro Benloise come fosse un borsone. Poi fu tutto uno slam, slam, screech.

Se ne andarono e viaggiarono al limite della velocità consentita, Assail seduto sul sedile anteriore del passeggero, Ehric dietro col loro carico.

Assail controllò l'orologio. In totale erano trascorsi undici minuti e trentadue secondi e avevano ancora un buon numero di ore prima che sorgesse il sole.

Ehric tirò fuori delle manette e le assicurò ai polsi del "commerciante d'arte". Giusto nel caso si dovesse svegliare il figlio di puttana a suon di ceffoni.

Quando gli occhi di Benloise si aprirono, l'uomo sobbalzò come si trovasse in un brutto sogno.

Col tono cupo, Assail infine rispose alla domanda che gli era stata posta. "Hai qualcosa che mi appartiene. E me la renderai prima dell'alba - oppure ti farò desiderare di non essere mai nato."


*    *    *


Mezz'ora dopo l'epico confronto con suo marito, Beth era seduta sul sedile posteriore della Mercedes S600 della Confraternita col suo fratellastro di fianco e Fritz dietro il volante. La berlina era appena uscita dalla fabbrica, l'aria era piena del meraviglioso odore di pelle nuova e vernice come aromaterapia per gente ricca.

Peccato che quella bontà olfattiva non facesse assolutamente nulla per migliorare il suo umore.

Mentre lei guardava attraverso i finestrini oscurati, la discesa dalla montagna innevata verso la strada battuta fino alla sua base sembrò andare al rallentatore - probabilmente a causa della colonna sonora che accompagnava il viaggio, che avrebbe dovuto essere Vivaldi o Mozart secondo la filosofia delle auto commerciali, che era quell'intossicante partita di tennis rappresentata dalla conversazione con Wrath.

Merda. Il suo hellren era sempre stato dispotico - e poi, quello non aveva nulla a che vedere con la sua posizione nella vita. Fanculo la corona, era la sua personalità. E nell'ultimo paio d'anni, l'aveva visto comportarsi in quel modo in innumerevoli situazioni, sia che riguardasse i Fratelli, la glymera, il personale di servizio - diamine, il telecomando del televisore. Ma con lei, era sempre stato... beh, non condiscendente. Mai. Lei aveva sempre avuto la sensazione che si rimettesse alle sue decisioni. Qualsiasi cosa lei volesse, quando le andava - e Dio salvasse lo sciocco che gli si metteva tra i piedi.

Per cui sì, Beth aveva creduto che la faccenda del bambino sarebbe stata la stessa cosa - che lui avrebbe ceduto, visto quanto era importante per lei avere un bambino.

Invece? Era l'esatto contrario -

Un lieve tocco al suo gomito le ricordò due cose: Uno, non era da sola nell'immenso sedile posteriore di quella berlina. E due, non era l'unica persona ad avere problemi.
"Mi dispiace," disse lei mentre abbassava le mani che non si era accorta di portare al viso. " Sono stata scortese, non è vero?"

Stai bene? chiese John con le mani nell'abitacolo cupo.

"Oh, sì, assolutamente." Lei batté su quella spalla massiccia, sapendo che tutta la storia delle crisi gli doveva pesare parecchio. Il viaggio in città, la risonanza magnetica, i risultati che sarebbero seguiti. "Più importante è come stai tu?"

Credo che la dottoressa Jane sia riuscita a risolvere tutto al centro medico.

"Già." Beth dovette scuotere la testa, la sua gratitudine nei confronti di Jane e il suo amico umano, Manny Manello, la lasciava senza parole. "Quei due sono fantastici. La cura della salute umana è costosa e difficile da governare. Come siano riusciti quei due a sistemare tutto, non ne ho la più pallida idea."

Personalmente credo che sia una perdita di tempo. John si voltò. Voglio dire, andiamo! Ho questi episodi da quanto tempo? Non se n'è mai capita la ragione.

"È meglio dare una controllata."

Il telefono di John risuonò con un bing! e lui andò al display per vedere chi fosse. È Xhex.

"È arrivata anche lei?"

. John esalò un veloce respiro. Tutta questa cosa dell'essere accompagnato in auto è ridicola. Sarei potuto arrivare in un attimo.

"Sì, ma se tu fossi un semplice essere umano, saresti venuto in auto. È più facile credere a una grossa bugia, sai."

Meglio ancora, avremmo potuto evitare questa stronzata. Lui fece una piccola risata. Devo dirtelo, mi spiace per chiunque incontrerà Xhex all'ingresso. È pronta a spazzar via l'intero complesso ospedaliero - e quando si sente così? Non ti va di dirle di no.

Il rispetto che brillava nei suoi occhi la ferì. Considerato il modo il cui si era comportato Wrath.

"Xhex è una femmina fortunata," disse Beth bruscamente.

È il contrario. Fidati - perché mi stai guardando così?

"Così come?"

Lui parve arrossire. Come se stessi per piangere.

Beth minimizzò.  "Allergia. In questo periodo dell'anno ho sempre gli occhi che lacrimano. Magari comprerò del Claritin quando usciremo stasera."

A dicembre? Sul serio?

Fu il suo turno di distogliere lo sguardo mentre Fritz aumentava la velocità sulla strada di campagna. Rallentò in una curva. Riaccelerò una volta arrivati dall'altro lato. 

La Mercedes era confortevole su qualsiasi terreno, i sedili ultra imbottiti assorbivano i movimenti del suo corpo, un lieve tepore le arrivava ai piedi.

Avrebbero dovuto inserire la didascalia "Ambien Edition" su quella macchina.

Anche se, nessun effetto ninna nanna proposto dalla Benz avrebbe funzionato su di lei.

Aveva la sensazione che non avrebbe dormito fino a che lei e Wrath non avessero risolto la questione - o...

Un altro colpetto sul suo braccio. Lo sai, puoi parlare di tutto con me.

Beth si spostò i capelli sulla schiena... ma li riportò sulle spalle.  Cosa diavolo avrebbe risolto? C'erano talmente tante possibilità - ma John ne aveva già abbastanza di suo.

Beth. Dico sul serio.

"Che ne dici se risolviamo questo tuo problema e -"

Mi darà qualcos'altro a cui pensare e potrei cominciare adesso.

Quando lei non rispose, lui mosse le mani, Andiamo, per favore. Sono preoccupato per te.

"Sei un vero amore, lo sai?"

E tu non parlerai, vero?

Beth tacque per un momento. Di fronte a loro, apparve un cartello per la Northway , la scritta "Interstatale 87" brillava alla luce dei fari. Se avessero proseguito invece di prendere la prima delle uscite per il cento di Caldwell, sarebbero arrivati a Manhattan in un'ora. Ancora oltre verso sud c'era la Pennsylvania, poi il Maryland e...

"Hai mai desiderato fuggire qualche volta?" Beth sentì la sua stessa voce porre quella domanda.

Prima che arrivasse Xhex? Certo. Ma adesso...

Dio, pensare che era proprio Wrath quello da cui voleva scappare. Non l'avrebbe mai immaginato.

Che sta succedendo, Beth?

Ci fu un altro lungo silenzio, durante il quale lei sapeva che John sperava che riuscisse a mettere insieme sostantivi e verbi per facilitargli la comprensione.

"Oh, sai, è solo un problema matrimoniale."

Lui scosse la testa. Ci sono passato. È uno schifo.

"Giustissimo."

Infine lui disse con le mani, Puoi usare la casa di Darius, se vuoi. Se hai bisogno di un posto dove startene un po' da sola. Lo hai dato a me, il che è magnifico - ma ho sempre pensato che per metà era anche tuo.

Beth si figurò davanti agli occhi la magione in stile federale nel profondo del territorio umano, e sentì un bruciore al petto. "Ti ringrazio, ma è tutto a posto."

E anche se non lo fosse stato, l'ultimo posto sulla Terra dove avrebbe voluto andare era in cui lei e Wrath si erano innamorati.

A volte i bei ricordi erano più difficili da sopportare di quelli brutti.

Puoi almeno darmi un'idea? La mia testa sta andando in ogni direzione.

Ci volevano ancora quindici, venti minuti per arrivare al complesso ospedaliero del St. Francis. Era un tempo lunghissimo per un silenzio imbarazzante. Eppure le sembrava una violazione della privacy sua e di Wrath parlare della storia del bambino... o forse quella era solo una scusa per nascondere un eventuale scoppio in lacrime.

"Ricordi qualcosa delle tue crisi. Voglio dire, mentre eri incosciente?"

Pensavo stessimo parlando di te.

"È quello che stiamo facendo." Quando lui si voltò nella sua direzione, Beth incontrò i suoi occhi. "Mi stavi dicendo qualcosa. Più o meno a metà dell'attacco, mi hai guardata... e mi dicevi qualcosa. Ricordi cos'era?"

John aggrottò la fronte come se stesse cercando qualcosa attraverso i suoi vuoti di memoria,  lo sguardo vitreo. 
Non ci riesco... io... ho salito le scale, ho guardato nello studio di Wrath, ti ho vista... e poi Xhex mi ha portato nella nostra stanza, solo allora ho ripreso coscienza.

"Dicono che hai parlato nell'Antico Idioma."

John scosse la testa. Non è possibile. Voglio dire, so leggerlo e riesco a capirne un po' se qualcuno comunica con me. Ma non so parlarlo.

Beth ispezionò la fine dei suoi capelli, anche se sapeva di non avere doppie punte; una delle doggen glieli aveva pareggiati la settimana precedente.

"Beh, a ogni modo, c'è qualcosa che vuoi dirmi?" Lei guardò altrove. "Puoi essere onesto e dirmi qualunque cosa. Wrath ha, tipo, una dozzina di Fratelli. Io ho solo te."

John aggrottò di nuovo la fronte. No, io -

Un improvviso tremore colpì le sue mani, bloccando qualunque cosa stesse provando a dire coi segni - poi sbatté contro lo schienale e il corpo s'irrigidì.

"John!" Beth allungò una mano verso suo fratello. "John - oh mio Dio..."

Gli si capovolsero i bulbi oculari, mostrando solo il bianco della sclera come se stesse per morire. "John - torna indietro...!"

Scattando in avanti, Beth batté contro il divisorio. "Fritz!"
Quando il maggiordomo abbassò il vetro oscurato, lei abbaiò, "Corri - sta avendo un altro attacco!"

Gli occhi scioccati di Fritz andarono allo specchietto retrovisore. "Sì, padrona. Immediatamente!"

Il vecchio maggiordomo diede gas e quando la Mercedes sfrecciò lungo la rampa d'ingresso della Northway, lei provò ad aiutare John. La crisi gli aveva fatto perdere i sensi, la schiena era rigida e inflessibile come uno scovolo, le mani al petto e le dita strette ad artiglio come se fosse Dracula.


"John," lo supplicò con voce rotta. "Resta con me, John..."

mercoledì 18 giugno 2014

Capitolo 11 di THE KING di J.R. Ward



The King


11

Wrath raggiunse il tunnel sotterraneo del complesso con passo pesante, le scarpe da ginnastica rimbombavano così forte che il rumore riecheggiava intorno come un'intera banda in marcia. Al suo fianco, George teneva il tempo, il collare tintinnava, le zampe picchiavano contro il pavimento di cemento.

Il percorso dal centro di addestramento alla magione durava almeno due minuti, tre o quattro se passeggiavi con qualcuno e scambiavi quattro chiacchiere. Non questa volta. George lo fece fermare di fronte alla porta blindata appena trenta secondi dopo che ebbero lasciato l'ufficio passando dal retro dell'armadietto.

Salendo i bassi gradini, Wrath toccò con la mano alla ricerca del pannello di sicurezza e digitò il codice. Con un cha-chunk simile a quello di un caveau bancario che si apriva, la chiusura si aprì ed essi proseguirono per il successivo posto di blocco. Una volta superato anche quello, si ritrovarono nell'ingresso immenso quanto una caverna e le prima cosa che Wrath fece fu annusare l'aria.

Agnello, per il Primo Pasto. Un camino acceso in biblioteca. Vishous che fumava una sigaretta rollata a mano nella sala da biliardo.

Merda. Doveva dire a suo fratello cos'era successo nella palestra con Payne. Diavolo, tecnicamente gli doveva un rytho.

Ma tutto quello poteva aspettare.

"Beth," disse Wrath al cane. "Cerca."

Entrambi ricontrollarono gli odori presenti nell'aria.
"Sopra," ordinò lui, nello stesso istante il cane camminò in avanti.

Quando arrivarono al pianerottolo del secondo piano, l'odore di Beth si fece più intenso - il che confermò che erano nella giusta direzione. La brutta notizia? Veniva da molto lontano, sul lato sinistro.

Wrath percorse la galleria delle statue, superò la stanza di John e Xhex e quella di Blay e Qhuinn.

Si fermarono prima di arrivare agli appartamenti di Zsadist e Bella.

Non aveva bisogno che il cane gli dicesse che avevano raggiunto la destinazione - e lui sapeva con esattezza di chi era la stanza davanti alla quale si trovavano. Perfino nel corridoio gli ormoni della gravidanza avevano ispessito l'aria, sembrava che fuori alla porta ci fosse un drappo di velluto.

Ed ecco il perché Beth si trovava lì, giusto?

Le femmine non hanno segreti per i compagni che rispettano.

Dannazione. Che nessuno dicesse che la sua compagna voleva un bambino e se ne stava occupando senza neanche parlarne con lui.

Stringendo i denti, sollevò la mano per bussare con le nocche - ma finì per prendere a pugni la porta. Una. due volte.

"Entra," disse l'Eletta Layla.

Wrath spalancò l'uscio e seppe con esattezza quando la sua shellan lo vide: il fumoso odore della colpevolezza e dell'inganno fluttuò verso di lui.

"Dobbiamo parlare," sbottò lui. Poi accennò col capo nella direzione in cui sperava si trovasse Layla. "Ti prego di scusarci, Eletta."

Ci fu una piccola conversazione tra le femmine, Beth era impacciata, Layla nervosa. E poi la sua compagna uscì da dietro al letto e si diresse verso di lui.

Non si dissero una parola. Non quando lei chiuse la porta alle loro spalle. Non mentre camminavano fianco a fianco lungo il corridoio. E quando raggiunsero il suo ufficio, Wrath ordinò a George di restare fuori prima di rinchiudere loro due là dentro.

Sebbene avesse grande familiarità con la disposizione di quel mobilio francese da checche, Wrath mise le mani in avanti, toccò il retro della sedie rivestite di seta e il delicato divano... infine l'angolo della scrivania di suo padre.

Gli girò intorno e si sedette sul trono, strinse le mani sui braccioli intagliati - li strinse talmente forte che il legno scricchiolò in segno di protesta. "Da quanto passi del tempo con lei?"

"Con chi?"

"Non fare finta di niente. Non ti si addice."

L'aria si smosse nella stanza e lui sentì i passi di Beth sul tappeto Aubusson. Mentre lei camminava avanti e indietro, lui riusciva a figurarsela, le sopracciglia basse, la bocca stretta, le braccia incrociate sul petto.

Il senso di colpa era svanito. E in cambio era incazzata quanto lui.

"Perché diavolo t'importa?" mormorò lei.

"Ho tutto il diritto di sapere dove sei."

"Chiedo scusa?"

Puntò un dito nella sua direzione. "È incinta."

"L'ho notato."

Il pugno di Wrath si abbatté così violentò sulla scrivania che la cornetta del telefono andò fuori posto. "Non puoi volere entrare nel bisogno!"

"Sì!" Beth gli urlò contro. "Lo voglio! È un maledetto crimine?"

Wrath espirò e si sentì come se l'avesse investito un'auto. Di nuovo.

Era incredibile come sentire la sua più grande paura detta ad alta voce fosse così devastante.

Fece due respiri profondi, sapeva di dover scegliere con attenzione le parole - a dispetto del fatto che le sue ghiandole surrenali stessero pompando sufficiente adrenalina nel suo sistema da annegarlo nel terrore.

Nel silenzio, il tu-tu-tu-riconnettimi del telefono era forte quanto le imprecazioni che attraversavano le teste di entrambi.

Con mano tremante, Wrath cercò fino a che non trovò la cornetta. Rimetterla a posto richiese un paio di tentativi, ma riuscì nell'intento senza distruggere nulla.

Oh Dio, c'era silenzio nella stanza. E per qualche ragione lui era profondamente conscio della sedia su cui era seduto, tutto, dal duro sedile in pelle ai simboli intagliati sui braccioli, al modo in cui la schiena veniva graffiata da quel rilievo alle sue spalle.

"Ho bisogno che ascolti," disse Wrath con voce monocorde, "e sappi che giuro su Dio che è la verità. Non ti servirò durante il tuo bisogno. Mai."

Adesso era il turno di Beth di espirare come se l'avessero colpita all'addome. "Non posso... non posso credere a quello che hai appena detto."

"Non succederà mai e poi mai. Non ti metterò mai incinta."

C'erano poche cose in vita di cui era sicuro. L'unica altra che gli veniva in mente era quanto l'amava.

"Non vuoi," disse lei rudemente. "O non puoi?"

"Non voglio. Quindi non lo farò."

"Wrath, non è giusto. Non puoi dichiararlo come se fosse legge in uno dei tuoi proclami."

"Quindi dovrei mentire riguardo ciò che sento?"

"No, ma puoi parlarne, per l'amor di Dio. Siamo compagni e questa scelta si riflette su entrambi."

"Discuterne non cambierà quel che sento. Se vuoi continuare a passare del tempo con l'Eletta è una tua decisione. Ma se le voci fossero vere ed entrassi nel tuo bisogno, sappi che verrai drogata per superarlo. Non ti servirò."

"Gesù... come se fossi un animale che ha bisogno di andare dal veterinario?"

"Non hai idea di cosa sono quegli ormoni."

"Certo. Detto da un maschio."

Lui strinse le spalle. "È un evento biologico verificabile. Quando Layla è entrata nel suo bisogno, tutti l'abbiamo avvertito nella casa - anche una notte e mezzo dopo che era terminato. Marissa ha fatto uso di droghe per anni. È quel che si fa."

"Sì, quando una femmina non è sposata, probabilmente. Ma l'ultima volta che ho controllato, c'era il mio nome sulla tua schiena."

"Solo perché sei sposata non vuol dire che devi avere dei bambini."

Beth tacque per un momento. "Ti è passato per la testa solo per un secondo che potrebbe essere importante per me? E non nel senso 'Oh, ho bisogno di un'auto nuova," oppure... 'Voglio tornare a scuola.' O ancora, "Che ne dici di uscire io e te per un fottuto appuntamento una volta tanto mentre ti sparano e fai un lavoro che odi.' Wrath, questo è il fondamento della vita."

E l'ingresso per la morte - per lei. Così tante femmine morivano dando alla luce un bambino, e se lui l'avesse persa -

Cazzo. Non riusciva a pensarci neanche ipoteticamente. "Non ti darò un bambino. Posso indorarti la pillola con una miriade di stronzate senza senso e parole lenitive, ma prima o poi, dovrai accettarlo -"

"Accettarlo? Come se fossi stata infettata dal raffreddore da qualcuno e dovessi rassegnarmi a tossire per un paio di giorni?" Lo stupore nella voce di Beth era pari alla sua rabbia. "Ma ti ascolti?"

"Sono fottutamente conscio di ogni parola che ho pronunciato. Fidati."

"Okay. Bene. Perché non ci scambiamo i ruoli? Che ne dici... di questo - mi darai il bambino che voglio, ed è una cosa a cui ti devi abituare. Punto."

Wrath strinse di nuovo le spalle. "Non puoi forzarmi a stare con te."

Quando Beth sobbalzò, lui ebbe la strana sensazione che il loro rapporto era entrato in una nuova dimensione - e non in senso buono. Ma non si poteva tornare indietro.
Imprecando tra i denti, Wrath scosse la testa. "Fatti un favore e smetti di passare del tempo con quella femmina per ore ogni notte. Se sei fortunata, non ha funzionato e possiamo dimenticare tutto quanto -"

"Dimenticare tutto - aspetta. Stai... stai... ti sei bevuto quel cazzo di cervello?"

Merda. La sua shellan non balbettava o incespicava, e raramente bestemmiava. Che tripletta!

Ma questo non cambiava le cose. "Quando pensavi di dirmelo?" pretese di sapere Wrath.

"Dirti cosa? Che sei un vero stronzo? Proprio adesso."

"No, che stavi deliberatamente cercando di avviare il tuo bisogno. Parlando di cose che si riflettono su entrambi."

Cosa sarebbe successo se le fosse successo improvvisamente durante il giorno? Lui avrebbe potuto cedere e poi...

Non andava bene. Specialmente dopo che aveva scoperto che lei passava del tempo con l'Eletta con quell'intenzione.

Wrath guardò verso Beth. "Sì, con esattezza in quale momento sarebbe venuto fuori durante la conversazione? Non stasera, giusto? Forse domani? No?" Wrath si allungò sulla scrivania. "Sapevi che non volevo. Te l'avevo detto."

Beth ricominciò ad andare avanti e indietro. Lui poteva sentire ogni suo passo. Ci volle un po' prima che lei si fermasse.

"Sai una cosa? Adesso me ne vado," disse lei, "e non perché devo uscire stasera. È meglio se ti sto lontana per un po'. E poi, quando sarò tornata, ne riparleremo - entrambi i lati del problema - no!" ordinò Beth quando lo vide aprire la bocca. "Non dire un'altra dannata parola. Se lo fai, ho la sensazione che farò i bagagli e me ne andrò per sempre."

"Dove stai andando?"

"Contrariamente a un credo popolare, non hai il diritto di sapere dove sono ogni secondo del giorno e della notte. Specialmente dopo questa diatriba."

Imprecando di nuovo, Wrath si tolse gli occhiali a mascherina e si massaggiò il ponte del naso. "Beth, ascolta, io voglio solo -"

"Oh, ho ascoltato più che abbastanza. Quindi fai a entrambi un favore e resta dove sei. A questo punto, quella scrivania e quella sedia dura sono tutto quel che avrai in ogni caso. Potresti dover abituarti a loro."

Wrath chiuse la bocca. La sentì uscire. Sentì le porte chiudersi forte al suo passaggio.

Stava per schizzare in piedi e seguirla, ma ricordò che la dottoressa Jane aveva detto qualcosa riguardo una risonanza magnetica a John Matthew in quell'ospedale umano. Doveva essere lì che Beth stava andando - aveva detto che per lei era importante andare insieme al fratello.

All'improvviso ricordò la crisi e cosa era successo durante. Si era confrontato con Qhuinn subito dopo l'episodio riguardo ciò che John aveva provato a comunicare a Beth - se veniva detto qualcosa alla sua shellan, lui voleva conoscere i dettagli, grazie tante.

Ti terrò al sicuro. Mi occuperò di te.

Okay, quel file andava sotto le parole ECheCazzo. Normalmente, non aveva problemi con John Matthew. In effetti gli era sempre piaciuto il ragazzo - al punto che era stato spaventosamente facile accettare che un guerriero muto entrasse nelle loro vite - e ci rimanesse.

Affidabile. Una bella testa sulle spalle. E la mancanza di voce non era un problema ad eccezione di Wrath, perché ovviamente, non potendo vedere, non riusciva a leggergli le mani.

Oh, e riguardo al test sanguigno che diceva che era figlio di Darius? Più tempo si trascorreva col ragazzo, più era chiaro che ci fosse una connessione tra i due.

Ma lui partiva con la battuta da figlio di puttana se un qualsiasi maschio provava a mettersi tra lui e la sua compagna, fratello di sangue oppure no. Lui sarebbe stato l'unico a tenere al sicuro Beth e a occuparsi di lei. Nessun altro. E in seguito ne avrebbe parlato con John... anche se la cosa più strana era che il ragazzo non sembrava nemmeno sapere cosa avesse detto. John non era così ferrato sull'Antico Idioma da intrattenerci una conversazione, eppure sia Blay che Qhuinn avevano confermato che era quello che stava sillabando.

Ma vabbè. John doveva avere qualche tipo di cura, e da parte di Beth, lui non sarebbe stato un problema. Eppure, la storia del bambino...

Ci volle parecchio prima che Wrath riuscisse a liberare le mani che aveva artigliato ai braccioli del trono, e quando lo fece, gli bruciavano le giunture.

A questo punto, quella scrivania e quella sedia dura sono tutto quel che avrai in ogni caso.

Che casino. Ma la conclusione, la verità lapalissiana era che... non poteva perderla a causa della gravidanza. E per quanto fosse brutta questa frattura che si era creata tra di loro, almeno entrambi erano ancora vivi e così sarebbero stati a lungo. Non avrebbe mai e poi mai rischiato volontariamente la vita di Beth per un ipotetico figlio o figlia - che, in ogni caso, presumendo che sopravvivesse al cambiamento, avrebbe sofferto a causa dell'eredità regale quanto aveva sofferto lui.

E quella era l'altra motivazione. Non aveva alcuna voglia di condannare un innocente a tutta la merda relativa al Re. Gli aveva rovinato la vita - e quella non era un'eredità che voleva condividere con qualcuno che avrebbe di sicuro amato quasi quanto la sua shellan -

Spostandosi sul trono, abbassò lo sguardo su se stesso - e aggrottò la fronte.

Anche se non riusciva a vedere niente realizzò che... aveva un'erezione. Una pulsante e dura erezione stava premendo contro la patta dei suoi pantaloni in pelle.

Come se avesse un posto dove andare. All'istante.

Poggiando la testa sulle mani aperte, Wrath capì esattamente cosa significava.
"Oh... Dio... no."

*    *    *


"Hai bisogno di nutrirti?"

Mentre l'Eletta Selena aspettava la risposta alla propria domanda, fece del suo meglio per ignorare il fatto che l'incredibile maschio con la pelle scura che aveva davanti era nudo. Doveva esserlo. Aveva le lenzuola poggiate suoi fianchi, il petto era scoperto, i pettorali cesellati e le spalle muscolose erano illuminati dalla lieve luce che brillava in un angolo della stanza.

Era difficile immaginare perché si preoccupasse di cosa c'era sotto la vita.

Beata Vergine Scriba, che meraviglia per gli occhi era! E una rivelazione - anche se non a causa della sua ignoranza o ingenuità. Poteva aver vissuto come una reclusa nel Santuario dalla sua nascita, un secolo prima, ma come ehros, conosceva i meccanismi del sesso.

Indipendentemente dalla preparazione, tuttavia, l'atto vero e proprio non era parte del suo destino. Il precedente Primale era stato ucciso durante un assalto appena dopo che lei era diventata adulta, e non c'era stato un rimpiazzo per decine e decine di anni. Poi, quando aveva assunto il ruolo, Phury aveva cambiato ogni regola liberandole, e prendendo per sé una shellan in quanto era monogamo.

Si era sempre domandata come fosse il sesso. E ora, guardando Trez, capì nel profondo di se stessa, perché le femmine si sottomettevano. Perché le sue sorelle si preparavano con cura ed erano pronte a svolgere il loro "compito." Perché in seguito tornavano nel dormitorio con la luminosità nella pelle, nei capelli, nei sorrisi e nelle anime.

Era irresistibile poter vivere questa esperienza di prima mano -

All'improvviso si rese conto che non le aveva ancora risposto.

Quando lui continuò a guardarla, Selena si chiese se lo aveva in qualche modo offeso. Ma come? Aveva capito che non aveva una compagna. Era venuto in quella casa con suo fratello, non con una shellan, e mai una femmina era entrata in quegli appartamenti.

Non che stesse controllando ogni sua mossa.

Solo la maggior parte.

Mentre le sue guance arrossivano, disse a se stessa che di sicuro aveva bisogno di una vena dopo tutto ciò che aveva patito, vero? Infatti, i segni della sofferenza si vedevano sul suo viso... quel bellissimo volto dai lineamenti duri con gli occhi scuri a mandorla, le labbra scolpite e gli zigomi alti, la mascella prominente...

Selena si perse tra i suoi pensieri.

"Non intendevi dirlo," esclamò lui rudemente.

Il tono delle sue parole era più profondo del solito ed ebbe uno strano effetto su di lei. All'improvviso, tutto il rossore sulle sue guance sbocciò all'interno del suo corpo, riscaldandola e alleggerendo parte delle sue paure riguardo al futuro.

"Sì, invece," sentì dire alla sua stessa voce.

E non sarebbe stato un compito da portare a termine. No, in quel silenzioso, lieve spazio tra di loro, lei lo voleva - al suo collo, non al polso -

Follia, la avvisò una vocina interna. Non era appropriato, e non solo perché confondeva le ragioni del suo compito in quella casa.

Chiudendo gli occhi, Selena odiò il fatto che, per tutto quel che era saggio, lei avrebbe dovuto voltarsi e uscire da quella stanza. Questo maschio, questo glorioso maschio capace di sciogliere anche la sua rigidità, non era il suo futuro. Neanche il Primale lo era - o nessun altro maschio.

Il suo futuro era stato determinato anche prima che fosse avvolta dalla tunica come Eletta.

Dopo un lungo momento, Trez scosse la testa. "No. Ma ti ringrazio."

Il rifiuto le fece venire la nausea. Aveva forse percepito i desideri inappropriati da parte sua? Eppure... avrebbe giurato di aver percepito una similitudine. L'aveva fermata sulle scale quell'unica volta, ed era stata così sicura che lui avrebbe voluto...

Bene, almeno allora era riuscita a cercare di dissuaderlo.
Eppure, dopo un allontanamento imbarazzante, il modo in cui lui la guardava era cambiato, il suo sguardo si attardava su lei, indugiandovi, e da allora lei aveva iniziato a osservarlo nascosta dalle ombre.

Non la stava guardando in quel modo adesso.

Ed era cambiato quando lei gli aveva fatto quell'offerta. Perché?

"Farai meglio ad andare." Trez indicò col mento la porta. "Ora mangerò qualcosa e poi starò meglio."

"Ti ho offeso?"

"Oh, Dio, no." Lui chiuse gli occhi e scosse la testa. "Solo non voglio che..."

Selena non afferrò il resto di qualunque cosa stesse dicendo, perché si massaggiò il viso, soffocando le parole.

Improvvisamente, Selena pensò ai libri che aveva letto nella biblioteca sacra del Santuario. C'erano tantissimi dettagli sulle vite vissute sulla Terra. Così piene e sorprendenti, le notti e i giorni. Storie talmente vivide al punto che le sembrava di poter allungare un braccio e toccarle su quell'altro piano dell'esistenza. Era stata affamata del mondo terreno, scoprendo una dipendenza nei confronti di queste storie in tutte le loro magnificenze e le loro tristezze. A differenza di molte delle sue sorelle, che a malapena registravano quel che veniva mostrato nel leggere le ciotole piene d'acqua, Selena era stata vorace nel suo tempo libero, studiando il mondo moderno, le parole usate, il modo di vivere della gente.

Aveva sempre creduto che quello era quanto di più vicino sarebbe mai arrivata alla libertà di scelta e a ogni tipo di destino.

Ed era ancora vero, anche dopo la liberazione da parte di Phury.

"Maledizione, femmina, non guardarmi in quel modo," gemette Trez.

"In quale modo?"

Le sembrò che lui ruotasse i fianchi, e quando borbottò qualcosa che lei non capì, Selena respirò profondamente - e, beata Vergine Scriba, l'odore che proveniva da lui pareva ambrosia per il suo naso.

"Selena, piccola, devi andartene. Per favore."

Trez s'inarcò contro i cuscini, il suo magnifico petto s'indurì, le vene nel collo si gonfiarono. "Per favore."

Ovviamente stava soffrendo - e in qualche modo era lei la causa.

Selena armeggiò con la tunica per tenerla al suo posto mentre si alzava in piedi. Con un inchino imbarazzato, chinò il capo. "Ma naturalmente."

Selena non ricordava di aver lasciato la stanza o di aver chiuso la porta, ma doveva averlo fatto. Si ritrovò nel corridoio, a metà strada tra la porta blindata che conduceva agli appartamenti privati della famiglia reale e alla scala che l'avrebbe condotta al secondo piano...

Subito dopo, si ritrovò al Santuario.

In realtà, fu una sorpresa. Di solito, quando terminava di svolgere le sue mansioni sulla Terra, ritornava alla proprietà di Rehvenge su al nord. Le piaceva la biblioteca che c'era là - i libri di narrativa e le biografie erano altrettanto avvincenti, ma in qualche modo meno indiscreti dei volumi tenuti al Santuario.

Ma qualcosa dentro di lei l'aveva condotta nella sua vecchia abitazione.

Quanto era cambiato il Santuario, pensò, guardandosi attorno. Non era più un bastione monocromatico - ora solo gli edifici, costruiti in marmo purissimo, erano bianchi. Qualunque cosa brillava di mille colori, dal verde smeraldo dell'erba al giallo, rosa e viola dei tulipani, all'azzurro chiaro dell'acqua nelle vasche. Ma lo sfondo era lo stesso. Il tempio privato del Primale rimaneva chiuso da entrambi i portici e l'enorme biblioteca in marmo era chiusa al pari degli appartamenti privati della Vergine Scriba. In lontananza, i dormitori dove le Elette riposavano e consumavano i pasti erano adiacenti ai bagni e alla piscina riflettente. E di fronte a tutto quello c'era la vasta tesoreria con i suoi oggetti, le rarità e le ceste piene di pietre preziose.

Oh, che ironia. Ora che era pieno di colori da far gioire gli occhi? Tutto era senza vita, le Elette avevano spiegato le loro ali e lasciato il nido.

Nessuno aveva idea di dove fosse la Vergine Scriba - nessuno aveva neanche il coraggio di chiedere.

La sua assenza era strana e sconcertante. Eppure era comunque benvenuta.

Quando i piedi di Selena iniziarono a camminare, era chiaro che avesse una destinazione in mente, senza esserne cosciente. Almeno quello non era insolito. Era una pensierosa, Selena, perché di solito cominciava a pensare a quel che aveva visto nelle sfere piene d'acqua o a quel che aveva letto in quei volumi rilegati in pelle.

Tuttavia, al momento non pensava alle vite degli altri.

Quel maschio dalla pelle scura era... beh, sembrava non ci fossero parole sufficienti per descriverlo a scapito del suo immenso lessico. E le immagini richiamate in quella camera da letto appena lasciata erano come quei nuovi colori che si trovavano là - una rivelazione della bellezza.

Coi pensieri focalizzati su Trez, Selena continuò a passeggiare, superò le sale di scrittura, il prato adiacente si dormitori e proseguì fino al confine con la foresta che, se ci si addentrava all'interno, per magia si compariva nello stesso punto da cui si era entrati.

Continuò ad avanzare fino a che fu troppo tardi per accorgersi di dove l'avevano condotta i piedi.

Il cimitero nascosto aveva pergolati su ogni lato, la collinetta nascosta di proposito alla vista da un'intricata rete di fogliame verde e spessa quanto un prato verticale. L'ingresso era ugualmente ostacolato da un arco intrecciato di rose rampicanti e il sentiero di ciottoli che serpeggiava all'interno era ampio a malapena per il passaggio di una singola persona.

Selena non voleva andare là -

I piedi si mossero di propria volontà, andarono avanti come se servissero uno scopo più importante.

Entro i confini degli alberi che abbracciavano il cimitero delimitandolo, l'aria era mite come al solito, eppure lei fu scossa da un brivido.

Si strinse le braccia attorno al corpo, Selena odiava tutto di quel posto - soprattutto l'immobilità dei monumenti. In posa sui piedistalli di pietra bianca, c'erano forme femminili in varie pose, le loro braccia aggraziate e le gambe piegate in un modo o in un altro sui corpi nudi. Le espressioni delle statue erano serene, dalle palpebre immobili, gli occhi guardavano l'aldilà nel Fado, le labbra con gli stessi, malinconici sorrisi.

Selena pensò di nuovo al maschio in quel letto. Così vivo. Così vitale.

Perché era andata lì? Perché, perché, perché... al cimitero -
Le ginocchia cedettero nello stesso istante in cui le lacrime sgorgarono dal suo cuore, piangendo toccò il terreno morbido, i singhiozzi tormentati le fecero dolere la gola.

Fu ai piedi delle sue sorelle che percepì il destino della sua morte prematura.

Durante il corso della sua vita,  aveva creduto che tutte le sfaccettature della sua imminente scomparsa fossero state esplorate.


Stare vicino a Trez Latimer le aveva fatto comprendere che si sbagliava.