giovedì 3 dicembre 2015
Capitolo 1 di BLOOD KISS di J.R. Ward
Capitolo 1
Palazzo
delle Udienze del Re, Caldwell, New York
Certe promozioni avvenivano in
privato.
Alcune di queste importanti tappe
che conducevano al passaggio successivo nella vita non prevedevano tocchi e
toghe, né orchestre che eseguivano la marcia "Pomp and Circumstance."
Non c'era un palco da attraversare oppure un diploma da appendere al muro. Non
c'erano neanche testimoni.
Alcune cerimonie erano
contrassegnate dalla semplicità e dalla routine giornaliera, dalla banalità
come un individuo che si allunga verso il monitor della Dell e accende il
bottone blu nell'angolo in basso a destra. Un'azione quotidiana, ripetuta
diverse volte in una settimana, in un mese, in un anno - eppure per un
particolare caso, si verifica un grande divario tra il prima e il dopo.
Paradise, figlia diletta di
Abalone, Primo Consigliere di Wrath, figlio di Wrath, padre di Wrath, Re di
tutti i vampiri, era seduta alla scrivania del suo ufficio e fissava lo schermo
del monitor ormai spento di fronte a lei. Fantastico. La notte che stava
attendendo con ansia era quasi giunta.
Per la maggior parte delle ultime
otto settimane, il tempo si era trascinato, ma nelle ultime due sere sembrava
avere inserito il turbo. Adesso, dopo aver penato per settemila ore di attesa
che la luna s'innalzasse in cielo, si sentiva come se volesse fare rallentare
la giostra.
Il suo primo lavoro ormai faceva
parte del passato.
Lanciò un'occhiata dall'altra parte
della scrivania, spostò il telefono di appena un centimetro - poi riportò l'AT&T
qualunque cosa fosse nella posizione iniziale. Sistemò la lampada di vetro
Tiffany Dragonfly. Si assicurò che le penne blu fossero in un contenitore e le
rosse in un altro. Passò il panno antistatico sulla superficie del monitor.
La sala d'attesa era vuota, le
sedie rivestite di seta libere, le riviste ben allineate sui tavolini, delle
bevande che erano state servite dai doggen
a coloro che erano venuti quella sera non c'era alcuna traccia.
L'ultimo civile se n'era andato circa
venti minuti prima. L'alba sarebbe sorta entro due ore. Nel complesso, era la
normale conclusione di una notte di duro lavoro, il momento in cui lei e suo
padre sarebbero rientrati nella villa di famiglia per godersi un buon pasto
accompagnato da chiacchiere, programmi e rispetto reciproco.
Paradise si allungò in avanti e
guardò oltre la soglia della sala d'attesa. Dall'altra parte dell'atrio le
porte che conducevano in quella che precedentemente era stata la sala da pranzo
erano chiuse.
Già, proprio una normale notte come
tante tranne che per la riunione anormale che vi stava avendo luogo: appena
l'ultimo appuntamento si era concluso, suo padre era stato convocato nella camera
delle udienze, le cui porte erano state sigillate.
Lui era lì dentro con il Re e due
membri della Confraternita del Pugnale Nero.
"Non fatemi questo"
mormorò lei. "Non portatemelo via."
Paradise si alzò e cominciò a
camminare per la stanza, riallineò le riviste, sprimacciò di nuovo i cuscini,
si fermò davanti al dipinto a olio di un re francese.
Si voltò verso la soglia, fissò i
pannelli chiusi della sala da pranzo e restò in ascolto del battito del proprio
cuore.
Sollevò le mani e sfiorò i calli
che aveva sui palmi. Non le erano venuti grazie al lavoro che aveva svolto in
quella casa con suo padre e la Confraternita negli ultimi due mesi,
organizzando le difficoltà di pianificazione e monitoraggio, le soluzioni e gli
ulteriori approfondimenti. No, per la prima volta nella sua vita era stata in
palestra. A sollevare pesi. A correre sui tapis roulant. A salire e scendere sulla
StairMaster. Trazioni alla sbarra, flessioni, addominali. Esercizi al vogatore.
Prima di allora non sapeva nemmeno
che tipo di attrezzo fosse il vogatore.
E tutto in funzione della notte successiva.
Presumendo che il gruppo di maschi
nella Camera delle Udienze del Re non la stesse facendo fuori.
Il giorno seguente, a mezzanotte,
si sarebbe dovuta unire a solo la Vergine Scriba sapeva quanti maschi e femmine
in un posto segreto - dove lei avrebbe provato a entrare nel programma di
addestramento per soldati della Confraternita del Pugnale Nero.
Era un buon piano - qualcosa che
lei aveva deciso di perseguire, l'opportunità di essere indipendente e prendere
a calci qualche culo, e provare a se stessa di valere più del suo pedigree. Qual
era il problema? Le figlie dilette della glymera,
addirittura di una delle Famiglie Fondatrici, non si addestravano per diventare
soldati. Non maneggiavano pistole e coltelli. Non imparavano a combattere o a
difendersi. Non sapevano neanche come fosse fatto un lesser.
Nemmeno li frequentavano i soldati.
Figlie come lei erano istruite nel
ricamo, in musica classica e canto, leggevano il galateo, e imparavano a gestire abitazioni
immense piene di doggen. Da loro ci
si aspettava che conoscessero il complicato calendario sociale e i cicli delle
festività, ad aggiornare il guardaroba di tutto il necessario, e a riconoscere
la differenza tra Van Cleef & Arpels, Boucheron e Cartier. Vivevano da
recluse, erano protette e adorate come
veri e propri gioielli.
L'unico pericolo che era loro
concesso? Mettere al mondo dei figli. Con un hellren scelto dalle loro famiglie per garantire la santità della
discendenza.
Era un miracolo che suo padre le
avesse concesso di partecipare al programma.
La prima volta che gli aveva
mostrato il modulo non era stato per niente d'accordo - ma aveva cambiato idea consentendole
di aderire al programma. Gli assalti che erano avvenuti un paio di anni prima,
in cui così tanti vampiri erano stati assassinati dalla Lessening Society,
avevano dimostrato quanto la città di Caldwell, nello stato di New York, potesse
essere pericolosa. E lei gli aveva detto di non voler uscire e combattere in
guerra. Voleva solo imparare a difendersi.
Una volta messa in termini di
sicurezza? Ecco dove suo padre aveva cambiato registro.
La verità era che lei voleva
qualcosa che fosse solo sua. Un'identità che non provenisse dal diritto di
nascita.
E poi Peyton le aveva detto che non
poteva farcela.
Perché lei era una femmina.
Fanculo!
Paradise controllò di nuovo le
porte chiuse. "Andiamo..."
Andando avanti e indietro, si
spinse nell'atrio, ma non si avvicinò troppo a dove i maschi erano riuniti -
come se potesse portare male.
Dio, di cosa stavano parlando là
dentro?
Di solito il Re se ne andava subito
dopo l'ultima udienza della notte. Se lui e la Confraternita avevano delle
questioni private di cui discutere oppure roba riguardante la guerra, se ne sarebbero
occupati nella residenza della Prima Famiglia, un luogo così nascosto che
perfino suo padre non era mai stato invitato ad andarci.
Per cui... già, la discussione
riguardava lei.
Tornò nella sala d'attesa, andò
alla scrivania e contò le ore in cui ci era seduta. Aveva avuto il lavoro solo
un paio di mesi prima, ma le piaceva - fino a un certo punto. In sua assenza,
ipotizzando che fosse ammessa al programma di addestramento della
Confraternita, una sua cugina avrebbe preso il suo posto, e lei aveva trascorso
le ultime sette notti a istruirla, spiegandole le procedure che Paradise
utilizzava, assicurandosi che il passaggio di testimone scivolasse liscio come
l'olio.
Si sedette di nuovo, aprì il
cassetto centrale e tirò fuori il suo modulo d'iscrizione - come se in qualche
modo bastasse a rassicurarla che tutto si sarebbe ancora fatto.
Tenendo il foglio tra le mani, si
chiese chi altro ci sarebbe stato all'orientamento il giorno successivo... e pensò
a un maschio che si era presentato alla casa delle udienze in cerca di un
modulo d'iscrizione stampato.
Alto, spalle ampie, dalla voce
profonda. Indossava un cappellino dei Syracuse e un paio di jeans consunti.
La comunità dei vampiri era piccola
e lei non lo aveva mai visto prima - ma forse si trattava di civile? Il che
rappresentava un ulteriore cambiamento nel programma di addestramento. Prima di
allora, solo i maschi dell'aristocrazia venivano invitati a unirsi alla
Confraternita.
Le aveva detto il suo nome, ma non
aveva voluto stringerle la mano.
Craeg. Era tutto ciò che sapeva di
lui.
Non era stato sgarbato, anzi.
Infatti l'aveva spinta a compilare il modulo.
Era stato anche... attraente in un
modo che l'aveva sconvolta - al punto che lei aveva atteso settimane che le
riportasse indietro il modulo. Non lo aveva fatto. Forse lo aveva scannerizzato
e lo aveva inviato via mail.
O forse, dopotutto aveva deciso di
non provare a entrare nel programma.
Era folle sentirsi irritata dalla
possibilità di non poterlo rivedere.
Quando il suo cellulare trillò, Paradise
trasalì e lo afferrò. Era Peyton. Di nuovo.
Lo avrebbe visto al corso di
orientamento la notte successiva - ed era più che sufficiente. Dopo il litigio
riguardante la sua partecipazione al programma, lei aveva dovuto fare un passo
indietro.
D'altronde, se la Confraternita
avesse preso una posizione ferma con suo padre? L'indignazione morale provata
nei confronti del ragazzo sarebbe stata una questione fine a se stessa. Ma
andiamo, alle femmine era concesso iscriversi.
Il problema era che lei non era una
femmina "normale".
Per l'amor del cielo, non aveva
idea di cosa avrebbe fatto se suo padre si fosse rimangiato tutto. Di sicuro la
Confraternita non avrebbe aspettato l'ultimo secondo per negarle la possibilità
di partecipare.
Giusto?
* * *
Dall'altra parte della città,
Marissa, shellan del fratello della
Confraternita del Pugnale Nero noto come Dhestroyer,
alias Butch O'Neal, era seduta dietro la sua scrivania al Porto Sicuro. Quando
la sedia scricchiolò, lei batté la penna Bic sul calendario sul piano e spostò
la cornetta del telefono da un orecchio all'altro.
Interrompendo il flusso incessante di
parole, lei esclamò, "Beh, ovviamente apprezzo l'invito, ma non posso
-"
La femmina dall'altra parte della
linea non si perse d'animo. Continuò semplicemente a parlare, l'intonazione
aristocratica che risucchiava tutta la banda larga - fino a che fu un miracolo
che l'intera provincia non avesse sofferto di un calo di tensione elettrica.
"... e di certo comprenderà perché abbiamo bisogno del suo aiuto. Questo è
il primo Festival Danzante del Dodicesimo Mese che sarà celebrato da quando
sono avvenuti gli attacchi. In quanto shellan
di un Fratello, e membro di una Famiglia Fondatrice, sarebbe perfetta per
presiedere l'evento -"
Senza concederle una ulteriore opportunità,
Marissa la interruppe, "Sono certa che già ne sarete al corrente, ma ho un
lavoro che mi occupa a tempo pieno come direttrice del Porto Sicuro e -"
"... e suo fratello dice che
lei sarebbe un'ottima scelta."
Marissa tacque.
Il suo primo pensiero fu che lei
trovò enormemente spiacevole che Havers, il medico della razza e il suo molto,
molto, molto lontano parente più prossimo, avesse raccomandato lei per
qualcos'altro che non fosse una morte prematura. Suo fratello minore era più il
tipo da macchinazioni... quanto tempo era passato dall'ultima volta che gli
aveva parlato? Due anni? Tre? Non da quando l'aveva sbattuta fuori dalla loro
casa solo cinque minuti prima che sorgesse l'alba, quando aveva scoperto che
lei era interessata a un semplice essere umano.
Che poi si era rivelato essere un
cugino di Wrath e l'incarnazione del leggendario Dhestroyer.
Quindi
adesso vado bene, sentì nella sua testa.
"Per cui lei deve presiedere l'evento" concluse
la femmina. Come se avesse concluso un affare.
"Deve perdonarmi."
Marissa si chiarì la gola. "Ma mio fratello non è nella posizione di
proporre il nome per nessun evento, non ci vediamo da moltissimo tempo."
Quando l'intero totale silenzio arrivò dall'altra parte del telefono, Marissa decise che avrebbe
dovuto lavare i panni sporchi della sua famiglia in pubblico dieci minuti prima.
Si supponeva che i membri della glymera
osservassero un rigido codice di comportamento - e esporre l'immensa frattura nella sua
famiglia, anche se ben nota, era un qualcosa che semplicemente non andava
fatto.
Molto più appropriato che gli altri
ne parlassero sottovoce alle tue spalle.
Sfortunatamente, la femmina
recuperò in fretta e cambiò tattica. "In ogni caso, è di vitale importanza
per tutti i membri della nostra razza ripristinare i festival -"
Qualcuno bussò alla porta del suo
ufficio e Marissa voltò la testa. "Sì?"
"All'altro capo della linea,
la femmina esclamò, "Magnifico! Può venire nella mia villa -"
"No, no. C'è qualcuno che ha
bisogno di me." Alzò la voce. "Avanti."
Nel momento in cui vide
l'espressione sul viso di Mary, imprecò. Nessuna buona notizia. La shellan di Rhage era una professionista
esperta, quindi cosa era successo perché avesse quella faccia? Era davvero un
problema -
Era sangue quello sulla sua camicia?
Marissa abbassò il tono e mise da
parte la diplomazia. "La mia risposta è no. Il lavoro richiede tutto il
mio tempo. Inoltre, se è così infervorata, dovrebbe essere lei ad accettare il
compito. Addio."
Rimise la cornetta al proprio posto
e si alzò in piedi. "Cosa succede?"
"Abbiamo un caso che necessita
di cure mediche immediate. Non riesco a trovare né la dottoressa Jane né Ehlena
da nessuna parte. Non so cosa fare."
Marissa girò attorno alla
scrivania. "Dov'è lei?"
"Di sotto."
Entrambe scesero le scale di corsa,
Marissa in testa. "Come è arrivata qui?"
"Non ne ho idea. Una delle
telecamere di sicurezza l'ha inquadrata sul prato, si trascinava."
"Cosa?"
"Il cellulare mi ha avvisato
con un segnale e sono corsa fuori con Rhym. L'abbiamo portata nel
salotto."
Svoltando l'angolo, Marissa scivolò
su uno dei tappeti...
Si fermarono entrambe.
Quando vide in che condizioni era
la donna sul divano, portò la mano alla bocca. "Oh, buon Dio..."
sussurrò.
Sangue. C'era sangue ovunque, scorreva
sul pavimento in rivoli, gocciolava dall'asciugamano bianco premuto sulle
ferite fino a formare una pozza sotto uno dei piedi della donna sulla moquette.
La ragazza era stata picchiata così
brutalmente che non c'era modo di identificarla, i lineamenti erano talmente
gonfi che, se non avesse avuto i capelli lunghi e la gonna strappata, non se ne
sarebbe potuto identificare il sesso. Un braccio era chiaramente lussato,
l'arto pendeva dalla spalla... e aveva un'unica scarpa con il tacco alto, i
collant lacerati.
Il respiro era laborioso, parecchio
affaticato. Come un rantolo nel petto, come se stesse soffocando nel suo stesso
sangue.
Rhym, supervisore all'accettazione,
sollevò lo sguardo dalla sua posizione accovacciata vicino al divano. Con le
lacrime agli occhi, mormorò, "Non credo che riuscirà a sopravvivere. Come
può..."
Marissa dovette ricomporsi. C'era
un'unica opzione. "La dottoressa Jane ed Ehlena sono entrambe irraggiungibili?"
chiese con voce aspra.
"Ho provato alla
magione," rispose Mary. "Alla clinica. Ai cellulari. Due volte a
tutti i numeri."
Per un istante, Marissa fu
terrorizzata di ciò che quella situazione poteva significare per la propria
vita. I Fratelli avevano problemi fisici? Butch stava bene?
Durò solo un attimo. "Dammi il
tuo telefono - e porta le residenti nella dependance di Wellsie. Voglio che
siano tutte lì qualora dovessi far entrare un maschio."
Mary le lanciò il cellulare e
annuì. "Vado."
Il Porto Sicuro era esattamente
quello - un posto protetto in cui le femmine vittime di violenza domestica e
abusi trovavano rifugio e si riprendevano con i loro figli. E dopo che Marissa
aveva trascorso infiniti e inutili secoli nella glymera, essendo nulla se non
la promessa sposa rifiutata dal Re, aveva trovato il suo posto lì, al servizio
di chi aveva subito abusi verbali, o peggio, torture orrende.
Lì non era consentito l'accesso ai
maschi.
Ma per salvare la vita di quella
femmina, lei avrebbe infranto quella regola.
Rispondi
al telefono, Manny, pensò al primo squillo. Rispondi al maledetto telefono...
martedì 10 novembre 2015
Estratto di Blood Kiss di J.R. Ward
Nuovo estratto della Zietta, gente, e stavolta si tratta nientepopodimeno che di Blood Kiss, primo volume della serie spinoff parallela della Confraternita del Pugnale Nero in old paranormal style!
Vi chiedo scusa se ho tardato, ma a causa dei millemila impegni, me l'ero perso. Eccolo qui!
Butch si trovava nel grande atrio della magione quando, aggrottando la fronte, guardò il cellulare. Aveva controllato l'ora sull'Audemars Piguet che aveva al polso circa tre minuti prima, e aveva capito che il suo Samsung, o qualunque cazzo di marca fosse, poteva dargli una risposta che lo avrebbe fatto vivere meglio.
Butch si trovava nel grande atrio della magione quando, aggrottando la fronte, guardò il cellulare. Aveva controllato l'ora sull'Audemars Piguet che aveva al polso circa tre minuti prima, e aveva capito che il suo Samsung, o qualunque cazzo di marca fosse, poteva dargli una risposta che lo avrebbe fatto vivere meglio.
Negativo.
Era la settima chiamata che inviava a Marissa a cui non riceveva
risposta. Proprio come le altre sei.
In lontananza, i rumori dell'Ultimo Pasto che veniva consumato venivano
fuori dalla sala da pranzo.
Senza alcun motivo in particolare, pensò alla prima notte in cui
aveva ascoltato quel genere di rumori. Era accaduto oltre quella che adesso era
sala adibita alle udienze. Era un detective della omicidi allora, fuori
controllo e alla ricerca di una fonte di immolazione totale in modo da chiudere
per sempre con la vita.
E poi era arrivata la tana del Bianconiglio.
Beth ci era scivolata dentro per prima, grazie all'eredità mista
metà umana e metà vampiro succhiasangue insita in lei. Il suo ingresso, invece,
era stato qualcosa di completamente diverso...
Se avete intenzione di far sanguinare l'umano, sareste così
cortesi da spostarvi nel cortile sul retro? aveva chiesto Fritz ai Fratelli.
«Le hai parlato?»
Butch chiuse gli occhi al suono di quella familiare voce
maschile. Anche se non era neanche lontanamente vero, a volte sentiva come se il
borbottio aspro di Vishous gli fosse stato in testa per tutta la vita.
«No» esclamò Butch. «Non risponde... qualcosa non va.»
Blood Kiss, pag. 25-26
venerdì 9 ottobre 2015
Primo estratto The Beast!
Mary si era sollevata sulla punta dei piedi e si era appoggiata al
bordo del cassettone mentre cercava di infilare un orecchino con la perla nel
suo lobo e mancava il foro. Con la testa inclinata da un lato, i capelli castano
scuro le scivolarono oltre la spalla, e cavolo, a lui venne voglia di accarezzarglieli.
E lui sapeva bene che non erano l'unica cosa su cui voleva mettere le mani.
La linea decisa della mascella catturò e trattenne la luce dell'applique
di cristallo sul muro, la camicetta di seta color crema le avvolse il seno con
sinuosi drappi e i pantaloni attillati che scendevano fino alle scarpe dal tacco basso. Sul viso non c'era alcun
trucco. Non indossava profumo.
Ma sarebbe stato come toccare la Gioconda o colpire un cespuglio
di rose con il Febreeze.
C'erano centinaia di migliaia di modi per descrivere gli attributi
fisici della sua compagna, e non un'unica frase, o addirittura un intero libro,
che potesse solo avvicinarsi a esprimere la sua presenza.
Lei era l'orologio al suo polso, il roast beef quando moriva di fame, e la caraffa di limonata quando aveva sete. Lei era la sua cappella e
il suo coro, la catena montuosa su cui soddisfare la sua voglia di viaggiare,
la biblioteca per la sua curiosità e ogni alba e tramonto che ci sia mai stato
o che potrebbe mai esserci. Con uno sguardo o la semplice sillaba di una
parola, lei aveva il potere di trasformare il suo umore, facendogli spiccare il
volo anche se i suoi piedi rimanevano piantati a terra.
Con un solo tocco, lei poteva incatenare il suo drago interiore,
o farlo venire prima che fosse completamente duro per lei. Era tutta la potenza
dell'universo fusa in una creatura vivente che respirava, il miracolo che gli
era stato concesso, nonostante fosse stato a lungo indegno.
Molto semplicemente, Mary era la sua vita.
Sì... anche dopo tutto questo tempo, era ancora pazzo di lei.
The Beast, pag. 8
martedì 6 ottobre 2015
HABEMUS BONA COVER!
Consorelle ci siamo!!!
Anche se... a me non sembra troppo di colore! Vero???
martedì 15 settembre 2015
Capitolo 17 di THE SHADOWS di J.R. Ward
Capitolo 17
Trez si trovava in un angolo della stanza d'ospedale di Selena, e
si sentiva... merda, completamente con le spalle al muro.
Non voleva essere arrabbiato con la femmina. Per l'amor del cielo,
era quasi morta di fronte a lui.
«Cosa c'è?» chiese lei. «A cosa stai pensando?»
La buona notizia era che lui aveva osservato, negli ultimi venti
minuti o giù di lì, come avesse ripreso il suo colorito, come i suoi occhi adesso
fossero acuti, come il suo corpo, sebbene ancora rigido, fosse molto più vicino
alla normalità.
La cattiva notizia era quella sua piccola dissertazione riguardo alla natura della sua dipendenza dal sesso, e con il fatto che stava cercando di comportarsi
bene con lei, era una storia che non voleva proprio sentire. E pregò Dio affinché
lei lasciasse cadere l'argomento.
«Selena, credo che tu abbia bisogno di riposare.»
«Non provare a distrarmi, Trez.»
Trez si passò la mano sulla testa. Avrebbe voluto avere i
capelli lunghi fino al culo come Wrath giusto per avere qualcosa da tirare. «Guarda,
non mi va di discutere con te.»
«Allora dimmi che mi sbaglio. Anche se non credo. Ma di'
qualcosa. Qualunque cosa.»
Trez fece una smorfia e scosse la testa. «Adesso devo andare e-»
«Trez-»
«No, non ne parleremo.»
«Perché? Se avessimo un migliaio di notti, cosa vuoi che sia una
conversazione imbarazzante.»
«Questo è molto più che imbarazzante, tesoro.» Dio, poteva sentire
la rudezza nella sua stessa voce. L'incalzare del suo corpo. «Sì, credo che
tornerò-»
«Sarà ancora qui quando ritornerai.» Lei fece un cenno con la
mano tra di loro, e per un istante, fu così maledettamente grato per il
movimento che dimenticò di cosa stavano parlando. «Lo stare distanti non
aiuterà quello che c'è tra di noi.»
Il suo cuore cominciò a battere. Come se lui avesse paura o
qualche stronzata simile.
Ma non era quello che stava accadendo.
Davvero. Per niente.
«Cosa vuoi che dica?» mormorò lui. «Dammi le parole e il tono e
lo farò. Farò qualunque cosa purché questo discorso si chiuda.»
«Cosa non mi stai dicendo?»
«Niente.»
Una lunga pausa. «Va bene» concluse lei, sconfitta.
Oh, perfetto. Quello lo faceva sentire davvero mooooolto meglio.
Come avevano fatto a percorrere la distanza dal sollievo ,alla
sua sopravvivenza, a tutta questa tensione così in fretta?
Non aveva intenzione di dirle la novità dalla s'Hisbe. Selena
aveva abbastanza preoccupazioni di suo e lui non voleva aggiungere anche che, da un
momento all'altro, il boia della Regina sarebbe arrivato per metterlo in catene
e trascinarlo di nuovo al Territorio.
«Selena, ascolta...» Trez scosse la testa. «Sono imbarazzato per
quello che ho fatto con tutti quelle umane? Assolutamente sì. Ho dei rimpianti?
In ogni istante della giornata. Se credo di essere corrotto? Secondo la mia cultura,
sono completamente rovinato. Ma è necessario che tu sappia che, a volte, una troia è solo una troia. Una
puttana non è nulla più di una puttana. Mi è stata data un'opportunità e non ho
saputo sfruttarla diversamente.»
Trez distolse lo sguardo, seguendo le assi del pavimento con gli
occhi.
Il silenzio si fece più forte di un urlo.
«Credo che tu abbia ragione» constatò lei.
Trez sospirò di sollievo. Grazie a Dio se la sta bevendo-
«Hai bisogno di andartene.»
«Che cosa?»
«Fino a quando non sarai onesto, penso che tu abbia bisogno di
stare lontano. Perché o stai mentendo a te stesso, o stai mentendo a me. In
entrambi i casi, è necessario - come direbbero i Fratelli - che tu rimetta
ordine tra la tua merda.»
Trez scosse la testa. «Già. Cavoli. Non me ne ero accorto.»
«Neanche io.»
«D'accordo. Allora. Okay.»
Quando lei si limitò a fissarlo, nella stanza venne risucchiata
via tutta l'aria. Almeno per quanto lo riguardava.
Trez si schiarì la gola. «Cazzo... allora me ne vado.»
Lui preferì uscire dalla porta che conduceva nel corridoio
piuttosto che correre il rischio di incrociare la dottoressa Jane ed Ehlena in
quella stanza visite.
Già, come se sentisse il bisogno di avere un pubblico. Grazie al
cielo iAm se n'era andato a controllare lo shAdoWs, l'Iron Mask e il Sal. In
quel momento suo fratello era l'ultima persona che voleva intorno.
Muovendosi in fretta, proseguì lungo il corridoio e si fermò
davanti alla porta a vetri dell'ufficio. Quando non sentì alcuna voce, Trez sbirciò
all'interno. Vuoto.
Bene.
Attraversò l'armadio delle scorte e uscì nel tunnel senza
intoppi, e corse giù lungo la scalinata. Inserì i codici.
Eseguì i passaggi. La porta sotto le
scale venne aperta senza alcun rumore.
Il ronzio di un aspirapolvere in funzione nella biblioteca non
era una sorpresa. Ma la mancanza di Fratelli in giro per la magione sì.
Normalmente, a quell'ora della notte, quelli che erano di riposo si rilassavano
nella sala da biliardo, guardando la TV, giocando a biliardo e bevendo quel che
capitava.
Approfittò della situazione da città-fantasma e si diresse al
bar. Non appena si avvicinò al ripiano superiore, Trez si fermò un momento per
considerare le sue opzioni e infine ha scelse una Woodford Reserve. E la Grey
Goose. E una bottiglia di chardonnay che se ne stava lì, a temperatura ambiente,
sul bancone di granito.
Come se davvero gliene fottesse un cazzo di quello che beveva.
Salire l'immenso scalone fu una sciocchezza, e non fu sorpreso
di trovare lo studio del Re vuoto perché Wrath trascorreva la maggior parte
delle sue notti a incontrare i civili. Svoltando verso la galleria delle statue,
superò il pavimento di marmo e aprì la porta delle scale che lo avrebbero
condotto al terzo piano.
Le camere dalla suite della Famiglia Reale erano nascoste dietro
a una porta blindata, ma la sua stanza e quella del fratello erano in bella
vista, solo due normali porte affiancate.
Nonostante la discussione con Selena, lui non aveva intenzione
di correre al Commodore. Voleva trovarsi sul posto qualora lei...
Già.
Chiudendosi a chiave in camera, poggiò i suoi tre nuovi migliori
amici sul comodino e accese la lampada. Le tende di velluto erano tirate e le
lasciò in quel modo mentre si avviava in bagno, sparpagliando i vestiti lungo
il tragitto. Con una manovella del soffione, aprì l'acqua e fece attenzione a
lasciare le luci spente.
Non aveva motivo di incontrare i propri occhi nello specchio.
Aspettò che tutte le superfici si appannassero con il vapore prima
di entrare nella enclave di marmo. Aveva una quantità più che sufficiente di
cose che lo mettevano a disagio, grazie tante.
Sapone - ovunque. Risciacquo - ovunque. Shampoo - sulla testa, seguito
dal balsamo. Rasoio - lungo la mascella, il mento, le guance.
Poi venne il momento di liberarsi dell'asciugamano e ficcarsi nudo
nel letto.
Si mise sotto le coperte per abitudine, il suo cervello che controllava
meticolosamente tutta quella confusione mentale, solo la pratica comune lo
guidava verso un luogo e una situazione in cui poteva ubriacarsi orizzontalmente.
Svitò il tappo della Grey Goose, ne ingollò una buona sorsata e digrignò
i molari non appena il fuoco gli attraversò la gola e gli incendiò il ventre
come il Fenway Park (lo stadio di Boston che ospita la squadra di baseball dei
Red Sox).
Come avrebbe detto V.
Come diavolo aveva fatto a concludere la notte in quel modo?
* * *
iAm non aveva intenzione di perdere tempo allo shAdoWs, all'Iron
Mask o al Sal. Fanculo. C'era personale a sufficienza e più che competente in
tutti e tre per occuparsi degli affari. Aveva appena detto a suo fratello quella
menzogna perché non voleva che Trez andasse ancora di più fuori di testa.
Materializzandosi sulla terrazza del loro appartamento, iAm diede
un'occhiata all'orologio e poi entrò. Passando da un ambiente all'altro, accese
alcune luci, controllò il frigorifero, anche se sapeva che non c'era granché, e
curiosò nei pensili.
Non mangiava da... dalla sera prima al Sal, in effetti. E non si
nutriva da... merda, non sapeva più da quanto tempo.
Probabilmente avrebbe dovuto occuparsene, ma come sempre,
nutriva poco interesse per una vena. Non che non apprezzasse e rispettasse
l'Eletta che aveva servito lui e suo fratello. A lui non piaceva tutta l'intera
faccenda del succhiare dai polsi di qualcuno che era un estraneo.
Già, già, il dovere, qualunque cosa fosse.
Suppose di essere molto più Ombroso di suo fratello.
Nella loro cultura, qualunque cosa di fisico come quella era considerata
sacra. Il che era uno schifo, perché la necessità biologica lo costringeva a nutrirsi
probabilmente sei volte l'anno, e ogni volta che lo faceva, era un esercizio di
autodisciplina - e non perché volesse scoparsi chiunque si prestasse alla
pratica.
Lui era, a scapito della sua maturità, ancora vergine.
Incolpava il celibato per quello schifo con Trez e gli
insegnamenti e le tradizioni della sua specie, che a volte lui stesso si
sentiva di prendere un po' troooooppo seriamente-
Accidenti. Si sentiva talmente ferito che stava parlando da solo.
Di merda che conosceva già.
Il che non era nemmeno interessante.
Gironzolò per l'appartamento. Guardò l'orologio di nuovo e poi
guardò il terrazzo. Dove cazzo era -
«Sei tu?»
iAm si voltò alla voce maschile che veniva dalle camere da
letto. A grandi passi lungo il corridoio, imbracciò la sua calibro 40, ma visto
il tono della voce non sarebbe dovuto essere un problema.
E infatti, non appena svoltò l'angolo in quella che era stata la
sua stanza, trovò s'Ex steso sul letto, le lenzuola ammucchiate attorno al suo corpo
nudo, una bottiglia doppio formato di Ciroc accoccolata tra le braccia come fosse
un neonato.
«Pensavo fossi in lutto» esclamò iAm, mettendo da parte la pistola.
«Lo sono.» s'Ex sollevò la bottiglia mezza vuota. «Questo è il
mio Kleenex.»
«La Regina non richiede la tua presenza sul Territorio?»
«Non proprio.» Il maschio attraversò l'aria con un gesto secco
della mano. «Troppo imbarazzante. Vado bene per scopare a porte chiuse, ma sotto
il sole? Non va per niente bene. Naturalmente, tutto sarebbe stato perdonato se
le carte fossero state giuste. Ma non è così.»
iAm si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia. «Per
quanto tempo hai stato qui?»
«Da quando te ne sei andato - era la notte scorsa? C'è bisogno
di più di liquori qui. Quando puoi portarli? E voglio un po' femmine.»
Il primo istinto di iAm era quello di dire al tizio di andare a
farsi fottere. Naturalmente. Ma aveva bisogno di qualcosa dal bastardo.
«Posso fare in modo che accada» disse.
s'Ex chiuse gli occhi e ruotò
il bacino sotto le lenzuola. «Quando.»
«Prima devi fare qualcosa per me.»
Quelle palpebre si sollevarono lentamente, un luccichio negli occhi
neri. «Non è così che funziona.»
«Al momento attuale, sì.»
«Vaffanculo.»
«Vaffanculo tu.» iAm
tenne lo sguardo fermo. «Ho bisogno di entrare a palazzo.»
s'Ex chiuse la bocca. Poi sollevò l'enorme busto in verticale,
le coperte scivolarono giù, raccogliendosi alla vita. Nella luce proveniente
dal bagno, i tatuaggi che coprivano ogni centimetro della sua carne brillavano
come simboli fluorescenti contro la pelle scura.
«Non è quello che pensavo avresti detto» mormorò. «Non senza una
pistola alla testa.»
«Quello che mi serve da te è la garanzia di venirne fuori.»
«Quindi hai intenzione di rubare qualcosa.»
«Voglio solo l'accesso alla biblioteca.»
«C'è un sacco di lettura ricreativa qui fuori nel mondo umano.»
«E ho bisogno di andarci adesso.»
s'Ex lo fissò per un po'. E poi sbadigliò come un leone, le grandi
zanne balenarono dalla mascella spalancata.
«Ora» sbottò iAm.
«Il palazzo è chiuso per lutto.»
«Tu sei uscito.»
s'Ex emise un suono vago. «Che tipo di informazioni stai cercando?»
«Non è rilevante per i tuoi scopi.»
«Col cazzo che non lo è.»
«Guarda, ho bisogno di andarci adesso e devo tornare prima
dell'alba. Questa è un'emergenza. Non ti sto chiedendo l'impossibile.»
s'Ex aggrottò la fronte. «Come ho già detto, il palazzo è
chiuso.»
«Allora mi farai entrare di nascosto.»
«Perché cazzo pensi che ti aiuterò?»
iAm sorrise freddamente. «Fammi entrare e uscire e fotterai per
bene quella tua Regina.»
«La nostra. E se voglio scoparmela, non devo fare altro che
scivolare nel suo letto.»
«Pensi ancora di poterlo fare adesso?»
«Non farti un'idea romantica di me» esclamò s'Ex cupo.
iAm si strinse nelle
spalle. «Come ti pare. La conclusione è che non avrai più Trez a quel punto.
Devo cercare di aiutarlo.»
Se Selena fosse morta? Lo avrebbero perso tutti. Merda, tutto quello
che iAm doveva fare era pensare a suo fratello che schizzava fuori da quella sala
visite, di corsa nel corridoio con una pistola alla tempia, pronto a premere il
grilletto.
s'Ex lo fissò più a lungo. «Che diamine sta succedendo?»
«Te lo renderò più chiaro. I tuoi interessi e i miei sono gli
stessi. Io non voglio mio fratello morto e nemmeno tu. Combatteremo contro
quello che gli sta accadendo alla fine di tutto questo, ma adesso? Hai bisogno
di me per fargli superare una certa crisi.»
«Definisci crisi.»
iAm distolse lo sguardo. «Qualcuno che gli è vicino è malato.»
«Però non si tratta di lui.»
«No.»
«Tu?»
«Ti sembro malato?» iAm incontrò di nuovo gli occhi del boia. «Guarda,
sia tu che io abbiamo un problema di gestione con lui. Pensi che mi piaccia
fidarmi di te? Se ci fosse una qualsiasi altra opzione, la prenderei. Ma come tu
sai in prima persona, bisogna fare i conti con ciò che la vita ti dà. E io ho
bisogno di entrare in quella maledetta biblioteca.»
La s'Hisbe aveva lunghi e illustri trascorsi come guaritori. E
poiché le Ombre erano, come i symphath,
un ramo evolutivo dei vampiri, sembrerebbe logico pensare che questa malattia definita
l'Arresto potesse essersi palesata a un certo punto nel passato della sua razza - se
così fosse, di sicuro era in quella biblioteca.
Se fossero stati fortunati, i guaritori potrebbero avere trovato
un qualche tipo di trattamento - a quel punto, il secondo passo sarebbe stato
l'estesa camera blindata farmaceutica della s'Hisbe. Le Ombre erano state
capaci di sintetizzare farmaci da piante e materiale animale per secoli, titolando
tutti i tipi di composti per affrontare malattie e disturbi - e come con la
tenuta dei registri, i guaritori erano meticolosi circa i loro tentativi e
studi.
La sua gente aveva portato il razionalismo nella medicina molto
prima che gli umani respingessero il misticismo e abbracciassero il pensiero
scientifico.
Forse c'era speranza. Doveva scoprirlo.
«Non voglio fare affidamento su di te» disse iAm con voce rude.
«Ma devo. Proprio come tu farai questa cosa per me se vuoi avere la possibilità
che Trez obbedisca. Sarà morto nel giro di un'ora se quella femmina muore.»
«Femmina?» Quando iAm tacque, s'Ex imprecò. «Voi due siete
proprio due enormi rompicoglioni, lo sai?»
«Provo la stessa cosa per te e la tua Regina.»
«La nostra. Sei un membro della s'Hisbe, non importa dove hai
scelto di vivere.»
Ovviamente, era stata una stronzata totale quella su Trez che
tornava al Territorio e che obbediva a quella sua carta astrologica. Non
sarebbe mai accaduto. Ma iAm doveva usare qualsiasi leva a disposizione, e probabilmente
s'Ex abbastanza era abbastanza ubriaco da non guardare troppo da vicino la motivazione
che aveva adotto.
E sai cosa? Aveva funzionato.
Con un'imprecazione, l'enorme maschio allontanò le coperte e si
alzò in piedi - e per un momento, iAm si soffermò su quei tatuaggi. Cristo. La
carne del boia era coperta dalla gola alle caviglie, da spalla a polso, da
simboli bianchi, gli unici posti in cui la pelle era pulita erano il volto, il cazzo e le palle. Persino
iAm ne fu impressionato. L'"inchiostro" era in realtà un veleno che scoloriva
la pelle. La maggior parte dei maschi si vantava di sopportare il dolore e l'infezione
dovuta a un piccolo simbolo delle loro famiglie
sulla spalla o il nome della propria compagna sul cuore.
Il fatto che s'Ex avesse vissuto tutto ciò era la conferma visibile
che lui era un duro. O uno psicopatico masochista.
Lasciando che il tizio si vestisse, iAm andò nella zona giorno. Quando
si avvicinò alle porte scorrevoli di vetro, lasciò scivolare lo sguardo sul paesaggio
notturno di Caldwell: l'illuminazione punteggiata distribuita in modo casuale nei
grattacieli, le linee gemelle del rosso dei fanali posteriori e del bianco dei fari che abbracciavano le curve del fiume Hudson, uno o due aerei che lampeggiavano ben
sopra l'orizzonte.
Dentro e fuori, si disse. Ecco come doveva essere.
E se davvero esisteva un Dio, iAm sarebbe riuscito a trovare qualcosa che avrebbe aiutato Selena.
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