giovedì 28 novembre 2013

In PROMOZIONE!



Mie care consorelle,

ormai sto diventando una piaga!
Lo so, divago e dilago, mi espando a macchia d'olio, ma credo che questa sia un'occasione, per chi crede che ne possa valere la pena, da non perdere!

Da oggi 28 novembre e per 3 giorni fino al 30, Soffio Vitale sarà disponibile in download GRATUITAMENTE

Per chi legge ebook credo di fare cosa gradita, quindi fate tanti download e DIFFONDETE IL VERBO: PRENDI SOFFIO VITALE, PRENDI SOFFIO VITALE.

Come sempre, grazie a tutte!

mercoledì 27 novembre 2013

Traduzione Capitolo 36 di Lover at Last di J.R.Ward


Lover at Last

36


Basandosi sulle vibrazioni regolari che venivano dal taschino, Xcor sapeva che i suoi soldati richiedevano la sua presenza.

Non rispose.

Restando all'esterno della struttura in cui era stata portata la sua Eletta, non aveva nemmeno la forza di smaterializzarsi per andarsene o per presentarsi al portone attraverso cui lei era entrata. Certo, dall'andirivieni di gente non c'era dubbio che si trattasse di un ambulatorio.

Almeno sembrava che nessuno l'avesse notato, troppo preoccupati per qualunque male li stesse affliggendo - a dispetto del fatto che fosse in bella mostra.

Destino infame, il solo pensiero di quel che aveva costretto in quel posto la sua Eletta gli dava un senso di nausea così forte che dovette schiarirsi la gola -

Immettere aria gelida nei suoi polmoni lo aiutò a combattere il riflesso faringeo.

Quando era cominciato il suo periodo di bisogno? Doveva essere accaduto recentemente. L'ultima volta che l'aveva vista...

Chi era il suo padrone? pensò per la centesima volta. Chi aveva osato prendere ciò che era suo -

"Non è tua," disse a se stesso. "Non è tua."

Anche se a parlare era la sua mente, non l'istinto.

Dentro lui, nella parte più profonda di sé, il maschio che era fino al midollo sapeva che era la sua femmina.

E ironia della sorte, fu proprio quello che lo trattenne dall'attaccare l'edificio - coi suoi soldati, se necessario. E la stavano curando, l'ultima cosa che voleva era interrompere il processo.

Mentre il tempo passava e la mancanza d'informazioni prese a torturarlo fin quasi a farlo impazzire, realizzò che non era mai venuto a conoscenza di quella clinica. Se lei fosse stata sua? Non avrebbe saputo dove portarla per chiedere aiuto - sicuramente avrebbe mandato Throe a cercare qualche posto, da qualche parte, per garantirle le cure, ma in caso di emergenza? Un'ora o due spese a cercare un medico potevano fare la differenza tra la vita e la morte.

La Confraternita, d'altro canto, sapeva esattamente dove portarla. E quando sarebbe uscita l'avrebbero di sicuro riportata al calore e alla sicurezza della loro casa, dove ci sarebbero stati cibo in quantità, un morbido letto e almeno sei guerrieri dal sangue puro a vegliare il suo sonno.

Ironico che si sentisse a suo agio con quella visione. Inoltre, la Lessening Society era un avversario davvero tosto - e al pari della Confraternita, avevano dimostrato per secoli e secoli le loro capacità difensive.

Bruscamente, i suoi pensieri andarono al magazzino dove stavano i suoi soldati. Quegli ambienti umidi e inospitali erano appena una spanna in su rispetto ad altri posti in cui si erano accampati. Se fosse stata con lui, dove l'avrebbe portata? A nessun maschio sarebbe stato permesso di vederla, specialmente se doveva cambiarsi d'abito o lavarsi -

Un ringhio gli si diffuse in gola.

No. Nessun maschio avrebbe posato lo sguardo sulla sua carne oppure l'avrebbe scorticato vivo -

Oh, Dio, si era accoppiata con un altro. Aveva accettato un altro maschio tra le sue sacre membra.

Xcor si nascose il viso tra le mani, il dolore nel petto lo fece sbandare nei suoi stivali da combattimento.

Doveva essere stato il Primale. Sì, naturalmente aveva giaciuto con Phury, figlio di Aghony. Era così che le Elette si riproducevano, se la memoria e le voci dicevano il vero.

In un istante, la sua mente venne oscurata dell'immagine del suo viso perfetto e la figura slanciata. Pensare che un altro l'aveva spogliata e coperta col suo corpo -

Smettila, si disse. Smettila.

Distogliendo la mente da quella follia, sfidò se stesso a immaginare un alloggio appropriato che avrebbe potuto offrirle. In qualsiasi circostanza.

L'unico cosa che gli venne in mente fu di tornare indietro e uccidere quella femmina da cui i suoi soldati si erano nutriti. Quel cottage era davvero pittoresco e grazioso...
Ma durante il giorno dove sarebbe andata la sua Eletta?
E inoltre, non l'avrebbe mai oltraggiata obbligandola a camminare su quel tappeto dove tutti avevano consumato il sesso con quella femmina.

"Ci scusi."

Xcor prese la pistola all'interno della giacca e si voltò. Ma non ci fu alcun bisogno di usare la forza - era solo una femmina minuta col suo bambino. Pareva che fossero appena usciti da una station wagon parcheggiata a pochi metri da lui.

Mentre il bambino indietreggiava nascondendosi dietro la madre, gli occhi della femmina erano inondati di paura.
D'altronde, quando t'imbattevi per caso in un mostro, spesso la sua presenza non era accolta con gioia.

Xcor s'inchinò profondamente, soprattutto perché la vista della sua faccia non poteva aiutare la situazione. "Ma naturalmente."

A quella frase, fece un passo indietro allontanandosi da entrambi poi si voltò, tornando nello stesso punto in cui si trovava prima. Ovviamente non aveva realizzato quanto si fosse esposto.

E non voleva combattere. Non con la Confraternita. Non mentre c'era la sua Eletta. Non... lì.

Chiudendo gli occhi, desiderò poter tornare indietro a quella notte in cui Zypher l'aveva portato fuori da quel campo e Throe, con la pretesa di salvarlo, l'aveva condannato a una specie di morte vivente.

Un maschio legato senza la sua compagna?
Era morto anche se si muoveva -

Senza alcun avviso, la porta si aprì e apparve la sua Eletta. All'istante, gli istinti di Xcor urlarono per mettersi in azione, a scapito di tutte le ragioni che aveva per lasciarla stare.

Prendila! Ora!

Ma non lo fece. Le espressioni lugubri dei due che la guidavano con tanta attenzione lo gelarono sul posto - c'erano state brutte notizie lì dentro.

Nel mentre, l'Eletta venne condotta al veicolo. E ancora, l'odore del suo sangue riempì l'aria.

La sua Eletta venne accomodata nel sedile posteriore della berlina, con una femmina al fianco. Poi Phury, figlio di Aghony, e il guerriero con gli occhi spaiati presero posto avanti. L'auto svoltò lentamente, come se fosse preoccupata per il prezioso carico che portava nello scompartimento posteriore.

Xcor seguì la loro scia, materializzandosi rapidamente per tenere la velocità costante che mantennero prima lungo la strada rurale e poi sulla statale.

Quando l'auto si avvicinò al ponte sospeso, si materializzò nuovamente sul punto più alto della trave, e dopo che la sua femmina passò sotto, continuò saltando di tetto in tetto mentre la berlina evitava il centro della città.

Seguì la traccia del veicolo a nord fino a che lasciò la statale  e s'immise in un'area agricola.

Stette con lei per tutto il tempo.


E fu così che trovò la posizione della Confraternita.

mercoledì 20 novembre 2013

Traduzione Capitolo 35 di Lover at Last di J.R.Ward


Lover at Last


35

Quando Layla venne condotta in clinica, il cuore le batteva forte e le tremavano le gambe. Fortunatamente Phury e Qhuinn non ebbero nessuna difficoltà nel sostenere il suo peso.

Comunque, grazie alla presenza del Primale, la sua esperienza fu completamente diversa. Quando la porta dell'ingresso scorrevole dell'edificio si aprì, una delle infermiere era lì per accoglierli, e vennero condotti immediatamente in una diversa parte della clinica rispetto a dove era stata la notte precedente.

Mentre si avviavano in una sala visite, Layla si guardò intorno ed esitò. Che... cos'era? Le pareti era ricoperte di seta pallida, e dipinti con cornici dorate s'intervallano ai muri con intervalli regolari. Non c'era nessuna barella per visite, come quella su cui era stata la notte prima - qui c'era un letto con un elegante piumone e diversi cuscini soffici. E poi, invece del lavabo d'acciaio inossidabile e semplici armadietti bianchi, un pannello dipinto oscurava un intero angolo della stanza - dietro il quale, immaginava, erano sistemati gli attrezzi medici di Havers.

A meno che non fossero stati mandati negli alloggi privati del medico?

"Arriverà tra un istante," disse l'infermiera, sorridendo e inchinandosi a Phury. "Posso portarvi qualcosa? Caffè o tè?"

"Solo il dottore," rispose il Primale.

"Subito, Vostra Eccellenza."
Fece una nuova riverenza e corse via.

"Adesso ti mettiamo comoda, va bene?" disse Phury di fianco al letto.

Layla scosse la testa. "Sei sicuro che sia il posto giusto?"
"Sì." Il Primale l'aiutò ad attraversare la stanza. "Questo è uno dei loro appartamenti privati per i VIP."

Layla guardò oltre la spalla. Qhuinn si era sistemato nell'angolo opposto al pannello, il corpo rivestito di nero come un'ombra minacciosa. Era straordinariamente immobile, gli occhi fissi sul pavimento, le mani dietro la schiena. Eppure non si sentiva a proprio agio. No, sembrava pronto a uccidere, e per un istante, un'ondata di spavento la travolse.

Non aveva mai avuto paura di lui prima, ma c'era da dire, che non l'aveva mai visto in una condizione così potenzialmente aggressiva.

Almeno quel blocco di violenza non era diretto a lei, e neanche al Primale. Sicuramente non contro la dottoressa Jane, che era seduta su una sedia col rivestimento in seta.
"Andiamo," disse con gentilezza Phury. "Salta su."

Layla provò a sollevarsi, ma il materasso era troppo alto e la parte superiore del suo corpo era debole quanto le gambe.

"Ti tengo io." Con attenzione, Phury fece scivolare le braccia attorno la schiena e sotto le ginocchia; poi la sollevò con cura. "Eccoci qui."

Sistemandosi sul letto, Layla trasalì a causa del forte crampo nell'area pelvica. Quando ogni occhio nella stanza si focalizzò su di lei, provò a coprire la smorfia con un sorriso. Ma non funzionò: sebbene l'emorragia fosse stabile, le ondate di dolore si stavano intensificando, la durata degli spasmi di allungava e gli attimi di tregua tra l'uno e l'altro si stavano riducendo drasticamente.

A quel punto, presto sarebbe stata solo agonia.

"Sto bene -"

Il bussare alla porta la zittì. "Posso entrare?"

Il solo suono della voce di Havers era abbastanza da farle desiderare la fuga. "Oh, Beata Vergine Scriba," disse riunendo le poche forze.

"Sì," disse cupamente Phury. "Entra -"

Ciò che accadde dopo fu talmente veloce e improvviso, l'unico modo per descriverlo era col lessico imparato da Qhuinn.

Si scatenò l'inferno.

Havers aprì la porta, mise un piede dentro - e Qhuinn attaccò il dottore, scattando dall'angolo in cui si trovava prima, pugnale alla mano.

Layla urlò spaventata - ma lui non uccise il maschio.

Tuttavia, Qhuinn chiuse la porta col corpo del dottore - o forse con la sua faccia. Era difficile capire se il colpo che risuonò fosse l'uscio contro lo stipite, o l'impatto del medico contro il pannello. Probabilmente era una combinazione di entrambi.

La terrificante lama affilata premeva contro la gola pallida.

"Indovina quale sarà la prima cosa che farai, cazzone?" ringhiò Qhuinn. "Ti scuserai per averla trattata come una fottuta incubatrice."

Qhuinn strattonò il maschio voltandolo. Gli occhiali dalla montatura di tartaruga di Havers erano scheggiati, una lente aveva le rotture a forma di ragnatela, la stanghetta dal lato opposto pendeva con una strana angolazione.

Layla lanciò un'occhiata a Phury. Il Primale non sembrava particolarmente irritato: semplicemente incrociò le braccia sull'enorme torace e si allungò contro il muro di fianco a lei, completamente a suo agio con quello che stava succedendo. Seduta sulla sedia dall'altra parte della stanza, anche la dottoressa Jane si comportò allo stesso modo, i suoi occhi verdi fissavano con calma l'intera tragedia.

"Guardala negli occhi," buttò fuori Qhuinn, "e chiedi le scusa."

Quando il guerriero scosse il medico come se Havers fosse una bambola di pezza, un mucchio di parole vennero fuori dal dottore.

Merda. Layla credeva di doversi comportare come una signora e non godere della cosa, ma sentì una grande soddisfazione a quella che doveva essere vendetta.
Tuttavia provò anche tristezza, perché non si sarebbe mai dovuto arrivare a questo.

"Accetti le sue scuse," chiese Qhuinn in tono cupo. "O preferisci che strisci ai tuoi piedi? Sarei dannatamente felice di trasformarlo in un tappetino."

"È sufficiente. Grazie."

"Adesso le dirai" - Qhuinn lo scosse come prima, le braccia di Havers sbatterono nelle giunture e il largo camice bianco ondeggiò come una bandiera - "e solo a lei, cosa cazzo sta succedendo al suo corpo."

"Ho bisogno... della cartella clinica -"

Qhuinn mostrò le zanne e le avvicinò all'orecchio di Havers - come se stesse considerando l'idea di morderlo. "Stronzate. E se tu dicessi la verità? Quella momentanea perdita di memoria sta per farti perdere la vita. Proprio adesso."

Havers era già pallido, ma a quelle parole sbiancò come il marmo.

"Comincia a parlare, dottore. E se il Primale, da cui se così dannatamente impressionato, sarà abbastanza gentile da dirmi se distogli lo sguardo da lei, sarebbe magnifico."

"Sarà un piacere," disse Phury.

"Non sento niente, dottore. E io non sono per niente un tipo paziente."

"Tu sei..." Da dietro le lenti rotte, gli occhi del maschio incontrarono quelli di Layla. "Il tuo bambino sta..."

Lei quasi desiderò che Qhuinn la smettesse di forzarlo. Era già abbastanza difficile da ascoltare senza doversi confrontare col dottore che l'aveva trattata così male.

Inoltre, era Havers quello che doveva guardare, non lei.

Erano gli occhi di Qhuinn che stava fissando quando Havers disse, "Stai perdendo il bambino."

Le cose cominciarono a ondeggiare a quel punto, il che significava che stava piangendo. Anche se non riusciva a provare nulla. Era come se la sua anima fosse stata risucchiata dal suo corpo, come se tutto ciò che l'aveva animata e connessa al mondo fosse sparito per sempre.

Qhuinn non mostrò alcuna reazione. Non sbatté le palpebre. Non cambiò atteggiamento né mosse la mano che impugnava il pugnale.

"Si può fare qualcosa a livello medico?" chiese la dottoressa Jane.

Havers cominciò a scuotere la testa, ma si bloccò quando la punta affilata del coltello gli tagliò la pelle del collo. Quando il sangue cominciò a scorrere e scese nel colletto inamidato della camicia, la macchia era delo stesso rosso del suo papillon.

"Niente di cui io sia a conoscenza," disse il medico rudemente. "Non sulla Terra, in ogni caso."

"Dille che non è colpa sua," ordinò Qhuinn. "Dille che non ha fatto nulla di sbagliato."

Layla chiuse gli occhi. "Presumendo che sia vero -"

"Negli umani di solito funziona così, a condizione che non ci sia alcun trauma," intervenne la dottoressa Jane.

"Diglielo," sbottò Qhuinn, il suo braccio cominciò a tremare leggermente, come se fosse a un passo dallo scatenare la sua violenza.

"È vero," gracchiò Havers.

Layla guardò il dottore, cercando il suo sguardo dietro le lenti rotte. "Niente?"

Havers parlò in fretta. "L'incidenza di aborto spontaneo si presenta approssimativamente con un tasso di una gravidanza su tre. Io credo, come per la razza umana, che sia causato dal sistema di autoregolazione per garantire che gli individui con vari difetti non vengano alla luce."

"Ma sono sicuramente incinta," disse lei in tono basso.

"Sì. I tuoi esami del sangue lo confermano."

"C'è qualche rischio per la sua salute," chiese Qhuinn, "mentre l'aborto segue il suo corso?"

"Sei il suo whard?" sbottò Havers.

Phury intervenne. "È il padre del bambino. Quindi trattalo con lo stesso rispetto che useresti con me."

Quello fece sgranare gli occhi del medico, le sopracciglia s'innalzarono oltre la montatura in tartaruga rotta degli occhiali. Ed era curioso; a quello Qhuinn mostrò una piccola reazione - appena uno tremolio sul viso prima che i lineamenti riacquistassero la loro ferocità.

"Rispondimi," urlò Qhuinn. "È in pericolo?"

"Io... io -" Havers deglutì rumorosamente. "Non ci sono garanzie in medicina. Parlando in generale, direi di no - è in salute secondo gli altri valori, e sembra che l'aborto sia seguendo il corso naturale. In aggiunta..."

Mentre il dottore continuava a parlare col suo tono fine ed educato molto diverso da quello che aveva usato la sera precedente, Layla si spense.

Tutto prese ad affievolirsi, l'udito scomparve insieme al senso della temperatura nella stanza, il letto su cui si trovava, gli altri corpi. La sola cosa che vide furono gli occhi spaiati di Qhuinn.

L'unico pensiero di Layla mentre lui teneva il coltello contro la gola dell'altro maschio?

Anche se non erano innamorati, lui era esattamente ciò che avrebbe voluto come padre per il suo bambino. Da quando aveva deciso di vivere nel mondo reale, aveva imparato quanto fosse dura la vita, come gli altri cospirassero contro di te - e come a volte la forza di volontà era l'unica cosa che ti faceva superare la notte.
Qhuinn era il massimo di tutto.

Era un grande, temibile protettore, ed era proprio ciò di cui una femmina aveva bisogno quando era incinta, allattava, o si prendeva cura di un bambino.

Quello e la sua innata gentilezza lo rendevano nobile ai suoi occhi.

E non importava di che colore fossero quelli di lui.


*    *    *


Più o meno a cinquanta miglia a sud da dove Havers si era fatto sotto nella sua stessa clinica, Assail era al volante della sua Range Rover e scuoteva la testa incredulo.

Le cose con questa donna diventavano sempre più interessanti.

Grazie al GPS, aveva seguito le tracce della sua Audi da lontano mentre lasciava il suo quartiere per imboccare la Northway. A ogni uscita in periferia, si aspettava che la prendesse, ma quando si lasciarono alle spalle Caldwell, cominciò a pensar che forse era diretta a Manhattan.

Non era così.

West Point, casa della venerabile scuola militare degli umani, era più o meno a metà strada tra New York e Caldwell, e quando lei uscì imboccando la statale, si sentì sollevato. Un sacco di cose erano successe in quella terra dove il codice di avviamento postale iniziava col numero 100, e lui non voleva allontanarsi troppo dalla casa base per due ragioni: la prima era che non aveva ancora sentito i gemelli per sapere se quegli spacciatori di serie B si fossero presentati, e la seconda era che era quasi l'alba, e non gli piaceva l'idea di dover abbandonare la sua Range Rover modificata e rinforzata da qualche parte al lato della strada perché doveva smaterializzarsi e tornare la sicuro.

Una volta lasciata la strada statale, la donna proseguì alla velocità di quarantacinque miglia all'ora attraverso la stazione di rifornimento all'imbocco della circoscrizione, gli hotel turistici, e i diversi fast-food. Poi dopo tutte quelle cose al volo, economiche e alla mano, tutto cominciò a diventare più costoso. Le grandi case, del tipo con prati all'inglese come tappeti, iniziarono a spuntare, le loro basse e ampie mura pittorescamente sgretolate ai lati della strada. Tuttavia lei superò tutte le ville e infine parcheggiò in un piccolo parco con vista sul fiume.

Non appena scese dall'auto, guidò nella sua direzione, voltando la testa per prenderle le misure.

Quasi un chilometro dopo, fuori dalla vista di lei, Assail fermò l'auto sul ciglio della strada, uscì nel vento pungente e si abbottonò il suo cappotto a doppio petto. I mocassini non erano l'ideale per camminare nella neve, ma non gl'importava. i suoi piedi avrebbero incontrato il freddo e il gelo, e aveva dozzine e dozzine di paia di scarpe a casa nell'armadio.

Poiché l'auto e non il suo corpo, aveva un dispositivo di localizzazione, tenne gli occhi ben piazzati su di lei. Ovviamente, indossava gli sci da fondo e poi con la maschera bianca sulla testa e il travestimento pallido a coprirle il corpo agile, scompariva completamente nello scenario azzurro sbiadito invernale.

Restò con lei.

Materializzandosi in avanti di quindici metri, trovò dei pini dietro cui nascondersi mentre lei tornava verso le case, con gli sci che divoravano il manto nevoso.

Era diretta verso una di quelle grandi case, pensò tenendo il passo di lei, anticipando la sua direzione e, il più delle volte, indovinandola.

Ogni volta che andava nella sua direzione senza sapere che lui fosse lì, il suo corpo era tentato di saltare fuori. Di prenderla. Di morderla.

Per qualche strana ragione, questa umana gli faceva venire fame.

E giocare al gatto col topo era altamente erotico, specialmente se era solo il gatto ad essere a conoscenza del gioco.

La proprietà in cui si sarebbe probabilmente infiltrata era lontana quasi un miglio, ma a scapito della distanza, il suo rapidissimo passo su quegli sci non rallentò per niente. Entrò nell'angolo destro del prato frontale, superò il sempreverde sul muro basso, e poi riprese il suo corso.

Non aveva senso. Se si fosse compromessa, quella era una distanza aggiuntiva dalla sua auto. Sicuramente il bordo più vicino avrebbe avuto più senso. Dopo tutto e in ogni caso, ora era esposta, senza alberi a offrirle una copertura, nessuna possibile difesa contro lo sconfinamento se fosse stata vista.

A meno che non conoscesse il proprietario. In quel caso, perché nascondersi e avvicinarsi di soppiatto in piena notte?

Il prato grande sette o otto acri arrivava a una grande casa di pietra tra i quindicimila e i ventimila metri quadri, con sculture moderne come sentinelle brillanti e cieche, il giardino che si apriva nel retro. Per tutto il tempo, lei restò attaccata al muro e lui la osservava da quasi venticinque metri d'altezza, restandone impressionato.

Contro la neve, lei si muoveva come avrebbe fatto la brezza, invisibile e veloce, la sua ombra proiettata contro il muro di pietra grigia sembrava quasi scomparire -

Ahhhhhhh.

Ecco perché aveva scelto quel percorso, vero?

Sì, indubbiamente l'angolazione del raggio lunare piazzava la sua ombra proprio sulle pietre, creando un ulteriore camuffamento.

Un curioso pizzicore lo attraversò.

Scaltra.

Assail scattò in avanti, trovando un posto in cui nascondersi tra le piante sul lato della casa. Vista da così vicino, la villa non era nuova, sebbene non fosse nemmeno antica - inoltre, nel Nuovo Mondo, era raro imbattersi in qualcosa costruito prima del diciottesimo secolo. C'erano parecchie finestre con vetri a piombo. E verande. E terrazze.

Nel complesso? Ricchezza e importanza.

Non c'era alcun dubbio che fosse protetta da una quantità di sistemi d'allarme.

Sembrava improbabile che stesse semplicemente spiando la proprietà come aveva fatto con la sua.

Per prima cosa, c'era una foresta circolare lungo il muro esterno in pietra che aveva attraversato.

Avrebbe potuto liberarsi degli sci, sistemarsi al riparo di quel cespuglio di rovo alto all'incirca sette metri, e avere un quantità di punti da cui controllare la casa. E poi in quel caso non avrebbe avuto bisogno di qualunque cosa ci fosse nello zaino che aveva sulle spalle.

Era abbastanza grosso da contenere un corpo, ed era pieno.

Come se stesse cercando un segnale, si fermò, prese il binocolo e sorvegliò la proprietà restando completamente immobile, solo la testa si muoveva impercettibilmente. E poi iniziò ad attraversare il prato della proprietà, muovendosi anche più in fretta di come aveva fatto prima, al punto che stava praticamente correndo verso la casa.

Verso lui.

Certo, si stava dirigendo verso Assail, in quel punto tra i cespugli che indicavano il fronte della casa, e l'alta siepe che correva attorno tutto il giardino posteriore.

Chiaramente conosceva la proprietà.

E chiaramente lui aveva scelto il posto perfetto.

Al suo avvicinarsi, Assail indietreggiò solo un pochino, perché non voleva essere beccato mentre faceva la spia.
La donna sciò fino ad arrivare e un metro e mezzo da lui, avvicinandosi così tanto che poteva percepire il suo odore non solo col naso, ma anche in fondo alla gola.

E dovette costringersi a non fare le fusa.

Dopo lo sforzo effettuato per coprire in fretta quel pezzo di prato, lei ansimava pesantemente, ma il suo sistema cardiovascolare si ripristinò in fretta - un chiaro segno della totale salute e forza. E la velocità con cui adesso si stava muovendo era oltremodo erotica. Via gli sci. Via lo zaino. Aprirlo. Estrarre...

Stava andando sul tetto, pensò mentre assemblava quello che pareva  essere una fiocina, la puntò in alto e premette il grilletto. Un attimo più tardi si sentì un clangore metallico dall'alto.

Guardando in su, realizzò che aveva scelto uno dei pochi tratti di pietra senza finestre... ed era protetto da un lungo muro di alti cespugli, che lui stesso ne era ostacolato.

Stava per entrare dentro.

A quel punto, Assail aggrottò la fronte... e scomparve dal punto dove la stava osservando.

Materializzandosi sul retro della casa al pian terreno, controllò nelle numerose finestre, mettendo le mani attorno agli occhi contro il vetro freddo e inclinandosi.

L'interno era per la maggior parte buio, ma non completamente: qui e là erano state lasciate accese diverse lampade, che lanciavano un bagliore soffuso sui mobili che erano una combinazione di antichità e arte moderna. Decorato, eccessivo: in quel torpore pacifico, quel posto assomigliava a un museo, oppure a qualcosa che era stato fotografato per una rivista, tutto era sistemato con una tale precisione che ci si chiedeva se fosse state usate delle squadre per sistemare la mobilia e gli oggetti d'arte.

Niente disordine da nessuna parte, nessun giornale lasciato casualmente in giro, né bollette, lettere o incassi. Nessun cappotto poggiato sullo schienale di una sedia o un paio di scarpe scalciato sotto al divano.

Ogni posacenere era lindo come un fischietto.

A lui venne in mente un'unica e sola persona.


"Benloise," mormorò a se stesso.

domenica 17 novembre 2013

'Liberatemi' di Christiana V partecipazione a '7 giorni di follie'

Mie care amiche e consorelle...

ormai conoscete il mio diletto per la scrittura così oggi son qui a chiedervi, ammesso che vi faccia piacere, di perdere due minuti nella lettura di un mio racconto.

Partecipo di continuo a eventi di vario tipo perché mi piace il confronto soprattutto con altri autori e altri generi, provando in questo modo ad ampliare non solo le mie capacità, ma anche la mente inserendo nuovi stili e lessici.

Questa volta il tema si chiama CORDE INTRECCIATE, ma lo stile è libero.
Spero vi piaccia e vi lascio il link QUI.
Quello che vi chiedo, qualora vi piacesse, è un voto da dare in questo modo: c'è una tendina sulla destra, il mio si chiama LIBERATEMI ed è quasi alla fine. Bisogna dare la spunta e cliccare VOTE.

Ma se proprio volete aiutarmi ancora, lasciate un commento che vale due punti aggiuntivi. GRAZIEEEEEEE

giovedì 14 novembre 2013

Finalmente c'è!!!

EEEEEEEEEEEEEe... pare proprio che ci siamo! Pare per i primi di dicembre e se fosse così, avrebbero tenuto la cover originale e cambiato il titolo. Voi che ne dite? Ci può stare? Beh... questa è la Mondolibri, vedremo la Rizzoli!



mercoledì 13 novembre 2013

Traduzione Capitolo 34 di Lover at Last di J.R. Ward


Lover at Last

34


L'idea che i membri della s'Hisbe si trovassero nella zona del codice di avviamento postale di Caldwell faceva venir voglia a Trez di impacchettare tutta la sua roba, prendere il fratello e farsi un bel giro in camper fuori città.

Mentre tornava all'Iron Mask dopo aver lasciato il magazzino, si sentiva la testa talmente confusa che aveva dovuto pensare a dove svoltare, a controllare i segnali di stop per fermarsi e a dove avrebbe dovuto parcheggiare una volta arrivato al club.

Infine, una volta spento il motore della X5, era rimasto seduto al volante a fissare la parete di mattoni del suo edificio per... facciamo un anno.

Un'accidenti di metafora, tutto il non andare di fronte a lui.

E non era che non sapesse quanto stesse deludendo i suoi. Il problema? Non gliene fotteva un cazzo. Non si sarebbe comportato come prima. La vita che conduceva adesso era sua, e non avrebbe lasciato che una promessa fatta alla sua nascita lo rinchiudesse in gabbia ora che era un adulto.

Non sarebbe successo.

Da quando Rehvenge aveva svolto bene il suo compito per un secolo salvando il suo culo e quello del fratello, le cose erano cambiate per Trez. Lui e iAm avevano ricevuto l'ordine di schierarsi col symphath fuori dal Territorio per ripagare il debito, e quel pagamento "forzato" era stato il suo biglietto, l'occasione per fuggire che stava cercando.

E nonostante gli dispiacesse aver coinvolto iAm nella sua tragedia personale, il risultato finale era che suo fratello aveva dovuto seguirlo, il che era solo un altro aspetto della perfetta soluzione che ora stava vivendo. Lasciare la s'Hisbe per il mondo esterno era stato una rivelazione, il suo primo delizioso assaggio di libertà. Nessun protocollo. Nessuna regola da seguire. Niente fiato sul collo.

L'ironia della cosa? Si supponeva fosse uno schiaffo di avvertimento sulla mano per aver osato oltrepassare il Territorio e invischiarsi con gli Inaccessibili. Una punizione intesa a rimetterlo in riga.

Hah.

Da allora in poi, nei recessi della sua mente, era come se sperasse che i prolungati contatti con gli Inaccessibili per oltre una decade o giù di lì lo avrebbero contaminato agli occhi della s'Hisbe, rendendolo indegno dell'onore che gli era stato concesso alla nascita. Sporcandosi in questa costante libertà.

Il problema era che se avevano mandato AnsLai, il gran sacerdote, chiaramente il risultato non era stato raggiunto. A meno che... se la visita fosse stata per ripudiarlo?

Anche se aveva sentito iAm al riguardo. Non era vero?
Trez controllò il telefono e vide che non c'erano né messaggi di testo né vocali. Era ancora nella sua tana col fratello - a meno che iAm non avesse deciso  di mandare tutto a puttane e tornarsene a casa dalla tribù.
Dannazione -

Il secco bussare contro il finestrino lo fece voltare. Tirò fuori la pistola.

Trez aggrottò la fronte. All'esterno dell'auto c'era un maschio umano grosso come una casa. Aveva la pancia tipica da birra, ma le spalle solide indicavano che faceva regolare esercizio fisico, e la dura e rigida linea della mascella rivelava sia la sua discendenza dall'uomo di Cro-Magnon che la comune arroganza tipica degli stupidi animali grossi.

Con le narici fumanti come un toro, si abbassò e batté sul finestrino. Il pugno era grosso come un pallone da football, naturalmente.

Beh, ovviamente richiedeva attenzione, e sai cosa? Trez era più che disponibile e dargliela.

Senza alcun avvertimento, aprì lo sportello, colpendo il tizio giusto nelle palle. Mentre l'umano stupito indietreggiava tenendosi i gioielli ben stretti, Trez si erse in tutta la sua altezza, mise la pistola dietro la schiena fuori vista, ma a portata di mano.

Quando Mister Aggressivo si riprese a sufficienza da alzare lo sguardo, mooolto in alto, sembrò perdere l'entusiasmo per un momento. D'altronde Trez lo sopravanzava di almeno mezzo metro e pesava trentacinque, forse cinquanta chili in più del tizio. A dispetto del copertone Dunlop con cui si esercitava.

"Mi stavi cercando?" disse Trez. tra le righe leggi: sei sicuro di volerlo fare, ragazzone?

"Sì, ti stave cercando."

Okay, quindi sia la grammatica che la valutazione del rischio erano un problema per lui. Probabilmente aveva lo stesso disagio con le addizioni e le sottrazioni.

"Stavo," disse Trez.

"Cosa?" Pronunciato Cusa.

"Credo si dica, 'Sì, ti stavo cercando.' Non 'stave'."

"Puoi baciarmi il culo. Che ne dici di questo?" Il tizio si avvicinò. "E sta' alla larga da lei."

"Lei?" Il che circoscriveva il numero a quanto, un centinaio di migliaio di persone?

"La mia ragazza. Lei non ti vuole, non le servi, e non l'avrai mai più."

"Con esattezza di chi stiamo parlando? Ho bisogno di un nome." E forse anche quello non avrebbe aiutato.

Invece di una risposta, il tizio lanciò un pugno. Sarebbe voluto essere un colpo a sorpresa, ma il movimento fu talmente lento ed elaborato, che avrebbe potuto essere accompagnato dai sottotitoli.

Trez bloccò il pugno come se tenesse in mano una palla da basket. Poi con un veloce avvitamento voltò il pezzo di carne e lo tenne in posizione - un chiaro segno che i punti di pressione funzionavano, e il polso era uno di quelli.

Trez parlò direttamente all'orecchio dell'uomo, in modo che le regole di base arrivassero chiaramente. "Fallo di nuovo e ti spezzerò ogni osso della mano. Tutto in una volta." Puntualizzò la frase con una strattone che fece singhiozzare il tizio. "E poi continuerò col braccio. Seguito dal collo - al quale non potrai sfuggire. Ora, di che cazzo stai parlando?"

"Era qui la scorsa notte."

"C'erano molte donne. Potresti specificare -"

"Intende me."

Trez alzò lo sguardo. Oh... fottuta meraviglia.
Era la pollastra che aveva dato di matto, la sua piccola stalker.

"Ti aveve detto che me ne sarei occupato io!" urlò il suo ragazzo.

Sì, già già, il tizio sembrava proprio avere il controllo. Così all'apparenza entrambi erano delusi - e forse questo spiegava la relazione: lui credeva che lei fosse una top model, e lei pensava che lui possedesse un cervello.

"È il tuo ragazzo?" chiese Trez alla donna. "Perché se lo è, potresti riportartelo a casa prima ti serva una benna da pala che ripulire tutto il casino?"

"Ti aveve detto di non venire qui," disse la donna. "Che stai facendo qua?"

Eeee era ancora più evidente il perché quei due fossero una coppia perfetta.

"Che ne dite se vi lascio risolvere la cosa tra voi?" suggerì Trez.

"Io lo amo!"

Per mezzo secondo la risposta non gli tornò. Poi però, accento rozzo a parte, la merda lo travolse: quella puttana stava parlando di lui.

Quando Trez le lanciò un'occhiata dall'alto in basso, realizzò che quella scopata casuale si era approfondita fiiin troppo.

"No, non lo ami!"

Bene, almeno stavolta il fidanzato aveva usato il verbo corretto.

"Sì, invece!"

Ecco cosa succedeva quando una veniva scopata più volte. Il toro si lanciò verso la donna, spezzandosi lui stesso il polso pur di liberarsi. Poi entrambi si misero naso a naso, urlandosi oscenità, coi corpi inarcati.

Era chiaro che avevano parecchia pratica nel farlo.

Trez si guardò intorno. Non c'era nessuno nel parcheggio, e nemmeno sui marciapiedi, ma non aveva proprio bisogno che una disputa domestica avvenisse sul retro del suo club. Inevitabilmente, qualcuno avrebbe visto e chiamato il 911 - o peggio, quella ochetta sui quarantacinque chili scarsi stava fomentando troppo il suo grosso e stupido fidanzato, che l'avrebbe schiacciata.
Se solo avesse avuto un secchio d'acqua fredda o, tipo, una pompa da giardino per dividerli.

"Ascoltate, ragazzi, dovreste parlarne -"

"Ti amo!" disse la donna, voltandosi verso Trez e stringendo il davanti del bustino. "Non capisci? Ti amo!"

Vista la patina di sudore sulla sua pelle - a dispetto del fatto che la temperatura fosse prossima allo zero - era più che ovvio che avesse assunto qualche sostanza. Cocaina o metanfetamina, se doveva buttarsi a indovinare. Generalmente l'ecstasy non era associata a quel tipo di aggressività.

Grande. Decisamente magnifico.

Trez scosse la testa. "Piccola, non mi conosci."

"Sì, invece!"

"No, invece -"

"Non osare parlarle, cazzo!"

Il tizio si avviò verso Trez, ma la femmina si mise in mezzo, ponendosi di fronte alla velocità di un treno.

Cazzo, questa era la volta in cui sarebbe stato coinvolto: nessuna violenza contro le donne attorno a lui. Mai - neanche se fosse stato un effetto collaterale.

Trez si mosse talmente in fretta quasi da portare indietro il tempo. Spostò il suo "protettore" dalla linea di tiro, e colpì l'animale alla carica proprio alla mascella.
Fece poco o alcuna impressione. Come colpire una mucca con un rotolo di carta.

Trez si beccò un pugno in un occhio, un spettacolo luminoso riempì metà della sua visuale, ma era stato un colpo più fortunato che coordinato. La sua rivalsa comunque fu molto più di quello: con un veloce movimento, liberò due pugni in rapida successione all'addome, trasformando il fegato cirrotico del tizio in un punching bag vivente - fino a che il fidanzato divenne il doppio, sbandando pesantemente verso sinistra.

Trez terminò il lavoro prendendo a calci il peso morto gemente fino a che non toccò terra.

Al che tirò fuori la pistola e poggiò la canna proprio sopra la carotide del tizio.

"Hai una sola opportunità di uscirtene," disse Trez con calma. "Ed ecco come andrà. Ti alzerai e non la cercherai più, né le parlerai. Andrai all'ingresso principale del club, prenderai un fottuto taxi e te ne andrai nella tua cazzo di casa."

A differenza di Trez, l'uomo non aveva un sistema cardio polmonare ben sviluppato e allenato - stava ansimando come una locomotiva. Eppure, dato il modo in cui i suoi vitrei occhi iniettati di sangue stavano guardando in alto in allarme, si concentrò a dispetto dell'ipossia e recepì il dannato messaggio.

"Se l'aggredirai in un qualsiasi modo, anche se trattasse solo di doppie punte, se qualsiasi sua proprietà fosse compromessa da chiunque?" Trez si avvicinò abbassandosi. "Ti verrò alle spalle. Non saprai che ci sono e non sopravvivrai a quello che ti farò. Te lo prometto."

Già, le Ombre avevano modi speciali di disporre dei loro nemici, e sebbene preferisse la carne a basso contenuto di grassi come il pollo o il pesce, era disposto a fare delle eccezioni.

Il fatto era che, sia nel personale che nel professionale, come la violenza domestica s'intensificava. In parecchi casi, qualcosa di particolarmente grosso era dovuto intervenire per spezzare il ciclo - e sai cosa? Lui aveva gli attributi necessari.

"Fai un cenno con la testa se comprendi quel che ho detto." Quando arrivò il cenno, lui spinse ancora di più l'arma contro il collo. "E ora guardami negli occhi e sappi che sto dicendo la verità."

Guardando in basso, Trez inserì un pensiero direttamente in quella corteccia cerebrale, impiantandolo come se fosse un microchip che gli aveva installato tra i padiglioni auricolari. L'innesco sarebbe stato qualsiasi brillante idea nei confronti della donna; l'effetto sarebbe stato un'assoluta convinzione che la morte stessa dell'uomo sarebbe stata inevitabile e veloce.

Il miglior tipo di terapia cognitiva comportamentale.

In percentile un successo del cento per cento.

Trez si spostò e diede al grassone la possibilità di comportarsi da bravo ragazzo. E sì, il figlio di puttana si tirò su dal manto stradale, poi si scrollò come un cane con le gambe spalancate e la camicia aperta che svolazzava.

Quando se ne andò, zoppicava.

E fu allora che sentì il singhiozzo.

Trez si voltò. La donna batteva i denti dal freddo, il suo vestiario da ehi-guardami non offriva alcuna barriera contro la notte dicembrina, la pelle pallida, il calore corporeo apparentemente prosciugato - come se il fatto di mettere una calibro quaranta alla gola del fidanzato avesse avuto l'effetto di farla riflettere.

Rivoli di mascara che correvano lungo il viso mentre guardava la partenza del segugio del Principe Chow.
Trez guardò il cielo discutendo con se stesso.

Alla fine, non poteva lasciarla tutta solo nel parcheggio - specialmente visto quanto tremava.

"Dove vivi, piccola?" Lui stesso riconobbe la stanchezza nella propria voce. "Piccola?"

La donna guardò nella sua direzione e l'espressione del viso cambiò all'istante. "Mai nessuno si è occupato di me così finora."

Okay, ora voleva sbattere la testa contro il muro di mattoni. E caspita, ce n'era proprio uno vicino a lui.
"Lasci che ti riaccompagni a casa. Dove abiti?"

Quando lei si avvicinò, Trez dovette ordinare si suoi piedi di restare dov'erano - e come previsto, lei si schiacciò contro il suo corpo. "Ti amo."

Trez chiuse gli occhi.  

"Andiamo," disse liberandosi dalla presa di lei e portandola verso l'auto. "Andrà tutto bene."