Lover at last
Prologo
Qhuinn,
figlio di Lohstrong, entrò nella casa della sua famiglia attraverso la porta
principale. Nell'istante in cui varcò la soglia, il profumo della casa gli invase
le narici. Cera al limone. Candele di cera d'api. Fiori freschi dal giardino
che il doggen coglieva tutti i
giorni. Profumo - quello di sua madre. Acqua di colonia - quelle di suo padre e
suo fratello. Cannella - quello di sua sorella.
Se
la compagnia Glade avesse mai brevettato un deodorante per ambienti come
quello, l'avrebbe chiamato qualcosa come Pascolo del Vecchio Conio. Oppure
Aurora su un grasso Conto in Banca.
O
forse il solito Noi siamo Migliori di Tutti gli Altri.
Delle
voci distanti vennero dalla sala da pranzo, le vocali arrotondate come
brillanti intagliati, le consonanti strascicate morbide e allungate come nastri
di seta.
"Oh,
Lillie, è delizioso, grazie," disse sua madre alla cameriera.
"Ma
è troppo per me. Non darne così tanto a Solange. Si sta appesantendo."
Ah
già, la perenne dieta di sua madre inflitta alla nuova generazione: si
supponeva che le femmine della Glymera
sparissero alla vista quando svoltavano l'angolo, mostrando ogni clavicola
sporgente, guancia infossata e braccio scarno come un fottuto distintivo
d'onore.
Come
se assomigliare a un attizzatoio facesse diventare una persona migliore.
E
la Vergine Scriba ti evitava se tua figlia pareva essere in salute.
"Ah,
sì, grazie Lilith," aggiunse suo padre. "Ancora per me, grazie."
Qhuinn
chiuse gli occhi cercando di convincere il suo corpo a proseguire. Un piede
dopo l'altro. Non era poi così dura.
Le
sue Ed Hardy nuove di pacca gli mostrarono il dito medio a quell'idea. E poi,
in diversi modi, a entrare nella sala da pranzo come Steven Seagal in Belly of
the Beast.
Lasciò
cadere il suo borsone sul pavimento. I due giorni che aveva trascorso a casa di
Blay lo avevano tirato su, una pausa dalla totale mancanza d'aria in questa
casa. Sfortunatamente l'ustione del rientro era talmente forte che il beneficio
dell'essere andato via quasi si equiparava.
Okay,
era ridicolo. Non poteva continuare a starsene lì come un oggetto inanimato.
Voltandosi
verso il muro di lato, si sporse verso lo specchio antico a tutt'altezza che
era proprio affianco alla porta. Molto ponderato, pensato per la necessità
dell'aristocrazia di tenere un bell'aspetto. In questo modo i visitatori
potevano controllare capelli e abiti mentre il maggiordomo prendeva in consegna
cappotti e cappelli.
La
faccia del giovane pretrans che lo guardò di riflesso aveva tutti i lineamenti
regolari, una bella mascella e una bocca che, doveva ammetterlo, sembrava
capace di danneggiare seriamente la pelle nuda una volta che sarebbe cresciuto.
O forse era solo un desiderio. I capelli erano come Vlad l'Impalatore, con le
punte dritte sulla sua testa. Al collo portava una catena di bicicletta - e non
una comprata da Urban Outfitters, ma l'anello che aveva precedentemente spinto
la sua dodici marce.
Tutto
era bilanciato, assomigliava a un ladro che aveva fatto irruzione e si
preparava a distruggere tutto alla ricerca dell'argenteria, dei gioielli e i
computers portatili.
L'ironia
era che quella cazzata gotica non era la parte più offensiva della sua
apparizione in famiglia. Infatti lui poteva fare lo spogliarello, piazzare un
impianto d' illuminazione sul suo culo e correre al primo piano fingendo
d'essere Jose Canseco con maestria e non avvicinarsi neanche lontanamente al
problema che rodeva ai suoi genitori.
Erano
i suoi occhi.
Uno
blu. L'altro verde.
Alla
Glymera non piacevano i difetti. Non
nelle loro porcellane o nei roseti. Nella carta da parati o nei tappeti oppure
ai banconi. Non nella seta della loro biancheria intima o nella lana delle loro
giacche o nello chiffon dei loro abiti da sera.
E
sicuramente mai nei loro figli.
La
sorella era a posto - beh, eccetto per il "piccolo problema del peso"
che al momento non esisteva e un difetto di pronuncia che la transizione non
aveva risolto - oh, e il fatto che aveva la personalità della madre. E niente
poteva sistemare quella merda.
Il
fratello, d'altro canto, era la vera fottuta stella di casa, fisicamente
perfetto, primogenito pronto a portare avanti l'eredità di famiglia
riproducendosi in maniera molto raffinata, senza gemiti o gocce di sudore con
una femmina scelta per lui dalla famiglia.
Dannazione,
il suo recipiente per lo sperma era già pronto. Ci si sarebbe accoppiato non
appena avesse superato la transizione -
"Come
ti senti, figlio mio?" chiese suo padre con esitazione.
"Stanco,
signore," una voce profonda rispose. "Ma questo mi aiuterà."
Un
brivido risalì lungo la spina dorsale di Qhuinn. Non sembrava la voce di suo
fratello. Troppo bassa, troppo mascolina, troppo...
Cazzo,
il ragazzo aveva superato la transizione.
Ora
le Ed Hardy di Qhuinn erano pronte a procedere col programma, portandolo fino a
vedere la sala da pranzo. Il padre era al suo posto a capo tavola. Confermato.
La madre era seduta ai piedi del tavolo
di fronte alla porta incernierata della cucina. Confermato. La sorella era
fuori vista, ma pronta a leccare il bordo dorato del piatto dalla fame. Confermato.
Il
maschio che dava le spalle a Qhuinn non faceva parte della Procedura Operativa
Standard.
Luchas
era due volte la taglia che era stato quando Qhuinn era stato avvicinato da un doggen che gli aveva portato le sue cose
e mandato da Blay.
Beh,
questo spiegava la vacanza. Aveva creduto che suo padre si fosse finalmente
ammorbidito e avesse ceduto alla richiesta che aveva inoltrato settimane prima. Ma no,
voleva solo Qhuinn fuori di casa, perché il cambiamento era arrivato per il suo
figliolo dal gene d'oro.
Suo
fratello si era sbattuto la ragazza? Chi avevano usato per il sangue -
Suo
padre, che non esternava mai, allungò una mano e diede a Luchas un' imbarazzata pacca sul
braccio. "Siamo così orgogliosi di te. Sei... perfetto."
"Sì," la madre di Qhuinn aprì la bocca.
"Assolutamente perfetto. Tuo fratello non sembra perfetto, Solange?"
"Sì.
Perfetto."
"E
ho qualcosa per te," disse Lohstrong.
Il
maschio mise la mano nella tasca della sua giacca sportiva e tirò fuori una
scatola di velluto nero grande quanto una palla da baseball.
La
madre di Qhuinn iniziò a piangere e a picchiettarsi sotto gli occhi.
"Questo
è per te, mio prezioso figlio."
La
scatola scivolò lungo la tovaglia bianca damascata e le grandi mani di suo
fratello tremarono quando la prese e aprì il coperchio.
Qhuinn
vide il lampo d'oro in ogni direzione nell' atrio. Mentre ognuno al tavolo
taceva, suo fratello fissò l'anello con sigillo, chiaramente sopraffatto,
mentre la loro madre continuava il picchiettio e anche il padre cominciava a
emozionarsi. E sua sorella prendeva di nascosto un panino dal cestino del pane.
"Grazie,
signore," disse Luchas indossando il pesante anello d'oro all'indice.
"Va
bene, non è vero?" chiese Lohstrong.
"Sì,
signore. Perfettamente."
"Abbiamo
la stessa misura, allora."
Ovviamente.
In
quel momento, il loro padre distolse lo sguardo, come se sperasse che il
movimento degli occhi bastasse a eliminare il luccichio delle lacrime che gli
offuscavano la vista.
Colse
Qhuinn nascosto fuori la sala da pranzo.
Ci
fu un breve lampo di riconoscimento. Non il Ciao
come stai o il Oh bene, l'altro mio
figlio è a casa. Era più come quando cammini sull'erba e ti accorgi della
merda di cane troppo tardi per evitare che il tuo piede ci vada a finire sopra.
Il
maschio tornò a fissare la sua famiglia chiudendo fuori Qhuinn. Chiaramente
l'ultima cosa che Lohstrong voleva era che quel momento storico fosse rovinato
- che probabilmente era il motivo per cui non avesse fatto gli scongiuri per
tenere lontano l'occhio maligno. Di solito ognuno in quella casa eseguiva il
rituale quando vedeva Qhuinn. Ma non quella sera. Il paparino non voleva che
gli altri lo sapessero.
Qhuinn
tornò al suo borsone. Sistemandosi il peso sulla spalla, salì le scale centrali
per andare nella sua stanza. Di solito sua madre preferiva che lui usasse
quelle di servizio, ma questo significava che avrebbe dovuto passare attraverso
tutto l'amore che c'era là. La sua stanza era molto lontana da quella degli
altri, alla fine della zona destra della casa. Si era domandato spesso perché
non facessero completamente il salto mettendolo coi doggen - in quel caso la servitù di sarebbe licenziata
probabilmente.
Chiudendo
la porta, scaricò i suoi fallimenti sul pavimento spoglio e si sedette sul
letto. Fissando il suo unico bagaglio, pensò di doversi sbrigare a fare quel
bucato, c'era ancora un costume da bagno inzuppato dentro.
Le
domestiche si rifiutavano di toccare i suoi abiti - come se il male che era in
lui indugiasse nelle fibre dei suoi jeans o delle sue T-shirt.
Il
lato positivo era che non essendo benvenuto agli eventi formali, il suo era un
guardaroba che non richiedeva stiratura.
Si
accorse che stava piangendo quando guardando le sue Ed Hardy vide che c'erano
un paio di gocce d'acqua giusto al centro delle stringhe.
Qhuinn
non avrebbe mai ricevuto un anello.
Ah
diamine... questo faceva male.
Si
stava passando le mani sul viso quando il suo telefono squillò.
Lo
tirò fuori dalla sua giacca da motociclista e dovette sbattere le palpebre un
paio di volte prima che potesse mettere a fuoco la vista.
Schiacciò
invio per accettare la chiamata, ma
non rispose.
"L'ho
appena saputo," disse Blay all'apparecchio. "Che stai facendo?"
Qhuinn
aprì la bocca per rispondere, il suo cervello tossì tutti i tipi di risposte:
"Fottuto, eccezionale esperto di un civile."Almeno non sono 'grasso' come
mia sorella." "No, non so se mio fratello ha fatto sesso."
Invece
disse: "Mi hanno buttato fuori. Non volevano che maledissi la transizione.
Credo che abbia funzionato, perché sembra esserne venuto fuori bene."
Blay
imprecò piano.
"Oh,
e gli ha appena dato l'anello. Mio padre gli ha dato... il suo anello."
L'anello
con sigillo con lo stemma della famiglia, il simbolo che tutti i maschi di una
buona linea di sangue indossavano per affermare il valore della loro
discendenza.
"Ho
visto Luchas metterlo al dito," disse Qhuinn sentendo che se stesse
prendendo un coltello affilato e lo avvicinasse all'interno delle sue braccia.
"Gli va benissimo. Davvero perfetto. Lo sai, beh... come, come poteva non
-"
Cominciò
a piangere a quel punto.
Perse
il dannato controllo.
La
tremenda verità era che sotto la sua controcultura del fanculo, voleva che la sua famiglia lo amasse. Voleva essere lezioso
come sua sorella, secchione come il fratello, riservato come i suoi genitori,
lui vedeva l'amore tra loro quattro. Sentiva
l'amore tra loro quattro. Era il laccio che univa quegli individui insieme,
la corda invisibile da un cuore a un altro, l'impegno ad aver cura di ogni cosa
riguardante la merda mondana di ogni mortale tragedia. E la sola cosa più
potente di quella connessione... era esserne estromesso.
Ogni
fottuto giorno della tua vita.
La
voce di Blay irruppe attraverso il suo conato mentale. "Io ci sono. E mi
dispiace così tanto... sono qui... non fare niente di stupido, va bene?
Lasciami arrivare -"
Lasciare
che Blay sapesse che stava pensando a cose che includevano corde e pigne della
doccia.
Infatti
la sua mano libera era già scesa alla cintura improvvisata che aveva creato con
un bel, forte intreccio di nylon - perché i suoi genitori non gli davano molti
soldi per i vestiti e quella che aveva si era rotta anni prima.
Liberandola
per tutta la lunghezza, guardò la porta chiusa del suo bagno. Tutto ciò di cui
aveva bisogno era legarla all'impianto nella sua doccia - Dio sapeva che quei
tubi dell'acqua avevano visto giorni migliori, quando erano forti abbastanza da
sostenere del peso. Doveva prendere anche una sedia su cui salire e poi scalciarla
da sotto.
"Devo
andare -"
"Qhuinn?
Non attaccare - non osare attaccare con me -"
"Ascolta
amico, devo andare -"
"Sto
venendo adesso." Si sentì un rumore di sottofondo, come se Blay si stesse
vestendo.
"Qhuinn!
Non attaccare il telefono - Qhuinn...!"