Capitolo 6
RISTORANTE DA SALVATORE, FUORI
LITTLE ITALY, CALDWELL
Con un'imprecazione, iAm interruppe
la chiamata che aveva appena ricevuto al cellulare e si sostenne al bancone di
fronte a lui. Dopo un momento di aritmia, afferrò la giacca da marinaio di lana,
quella nera con la calibro quaranta nella tasca nascosta sul lato sinistro e un
coltello da caccia lungo all'incirca venti centimetri cucito nella fodera sul
quello destro.
Avrebbe potuto avere bisogno di
armi.
«Chef? Tutto bene?»
Lanciò un'occhiata all'altro lato
della cucina industriale ad Antonio diSenza, il suo capo cuoco. «Mi dispiace.
Già. Devo andare - e io già iniziato la mise
en place.»
Afferrò di nuovo il cellulare. «Puoi
terminarla domani.»
Antonio si tolse la toque e appoggiò
un fianco contro il mastodontico piano cottura a dodici fuochi. Tutta l'attrezzatura
usata per servizio della cena era stata ripulita, il persistente vapore dalle
lavastoviglie in funzione rendeva la cucina dodici metri x sei un qualcosa emerso
dalla foresta pluviale amazzonica.
Troppo tranquillo, pensò iAm. E la
stanza illuminata a giorno puzzava di candeggina invece che di basilico.
«Grazie, chef. Vuoi che sbollenti i
pomodori prima di andarmene?»
«È tardi. Vai a casa. Hai fatto un
buon lavoro stasera.»
Antonio si asciugò il viso con un canovaccio
blu e bianco. «Grazie a te, chef.»
«Chiudi al posto mio?»
«Tutto quello che vuoi.»
Con un cenno del capo, iAm uscì
dalla cucina e tagliò attraverso l'ingresso piastrellato per la consegna diretto
all'uscita posteriore. All'esterno, due dei suoi camerieri fumavano bighellonando
attorno alle loro auto, senza le giacche degli smoking, i papillon rossi
disfatti che pendevano dai colletti aperti. «Chef» esclamò uno di loro, raddrizzandosi.
L'altro richiamò subito la sua attenzione.
«Chef.»
Tecnicamente, era più il capo che
lo chef lì al Sal, ma aveva un sacco di esperienza in cucina e lui stesso aveva
creato delle ricette, e il personale lo rispettava per questo. Non era sempre
stato così. La prima volta che vi aveva messo piede per assumere la direzione
di quell'istituzione di Caldwell, non era stato accolto proprio bene. Tutti,
dai camerieri agli chef agli aiuto camerieri, avevano creduto che, visto che
lui era un afro-americano, il profondo orgoglio e la tradizione di quella
proprietà italiana, la cucina e la cultura avrebbero funzionato contro chiunque
non avesse sangue siciliano nelle vene.
In quanto Ombra, iAm aveva capito
l'affare meglio di quanto pensassero. Il suo popolo non voleva avere niente a
che fare con i vampiri o con i symphath
- e di sicuro sfiorare neanche di striscio quegli umani senza palle. E il Sal era
uno dei più famosi ristoranti in Caldwell, non rappresentava solo un ritorno al
periodo in cui andavano di moda i Rat Pack negli anni cinquanta, ma un posto che
di fatto aveva servito il Presidente del Consiglio e il suo astuto seguito. Con la sua carta
da parati damascata, il banco della reception e tutta la formalità, somigliava
al Sardi nella parte nord - ed era sempre stato di proprietà
di italiani e gestito da loro.
Dopo più di un anno che era nelle
sue mani, però, tutto andava alla grande. Lui aveva dimostrato a tutti, dai clienti
al personale ai fornitori, non solo di poter vestire i panni di Salvatore
Guidette III, ma di saperli riempire. Ora? Veniva trattato con un rispetto che sfiorava
la venerazione.
Si chiese che cosa avrebbero
pensato di lui se avessero saputo che non veniva dall'Africa, lui non si riconosceva
come americano - e cosa ancora più importante, non era nemmeno umano.
Un'Ombra era in mezzo a loro.
«Ci vediamo domani» disse ai due
uomini.
«Sì, chef.»
«Notte, chef.»
iAm fece loro un cenno col mento e si
avviò a grandi passi, svoltando all'angolo più lontano. Non appena fu fuori
vista, chiuse gli occhi, sì concentrò e si smaterializzò.
Quando riprese forma, era sul terrazzo
al diciottesimo piano del Commodore, nell'appartamento di proprietà sua e del
fratello. La portafinestra di vetro scorrevole era spalancata, le lunghe tende
bianche svolazzavano dentro e fuori dall'interno buio come fantasmi che
provavano a fuggire senza riuscirci. Aveva avuto due possibili destinazioni: o qui,
oppure lo shAdoWs, e aveva scelto il loro appartamento da scapoli a causa di
ciò che lo attendeva all'interno.
C'erano notizie dalla s'Hisbe, e
tutto sommato iAm preferiva riferirle lui stesso a Trez che lasciare questo
compito al maschio che avevano mandato.
Infilò la mano nella giacca, la
strinse sul calcio della pistola ed entrò. «Dove sei.»
«Da questa parte» fu la profonda,
tranquilla risposta.
iAm si voltò a sinistra, verso il divano
di pelle bianca contro la parete in fondo. I suoi occhi acuti si adattarono in un
attimo, e l'enorme sagoma nera del boia della Regina divenne nitida.
iAm aggrottò la fronte. «Cosa c'è
che non va?»
Il tintinnio dei cubetti di ghiaccio
in un bicchiere tumbler ruppe il silenzio. «Dov'è tuo fratello?»
«Oggi è la serata di apertura del
nuovo locale. È impegnato.»
«Deve rispondere al telefono» disse
s'Ex con tono brusco.
«La regina ha partorito?»
«Sì. Ha partorito.»
Un lungo silenzio. Rotto solo dal
suono di quei cubetti di ghiaccio. iAm inspirò e colse il profumo del bourbon -
insieme a una aspra tristezza talmente intensa che lasciò la sua presa sulla
sua pistola. «s'Ex?»
Il boia si alzò di scatto dal
divano e si diresse a grandi passi verso il bar, la veste gli vorticava alle
spalle come ombre spazzate da un forte vento.
«Vuoi unirti a me?» chiese il
maschio versandosi altro whisky nel bicchiere.
«Dipende. Quali notizie porti e come
influiscono sul mio gemello?»
«Hai bisogno di un drink.»
Giusto. Fantastico. Senza ulteriori
commenti, iAm si avvicinò e si unì a s'Ex al bar. Non importava cosa ci fosse
nel bicchiere, se ci fossero i cubetti di ghiaccio, una spruzzata di soda. Buttò
giù quella che si rivelò essere vodka e se ne versò dell'altra.
«Quindi non era la prossima regina»
esclamò. «La piccola che è nata.»
«No.» s'Ex tornò al divano. «L'hanno
uccisa.»
«Cosa?»
«È stato... decretato. Dalle» - agitò
il bicchiere in aria sopra la sua testa - «stelle. Così hanno ucciso la
bambina. Mia... figlia.»
iAm sbatté le palpebre. Bevve un altro
po'. E poi pensò, Gesù, se la regina poteva fare una cosa del genere a una
neonata innocente nata dal proprio corpo, il capo della s'Hisbe era capace di
tutto.
«Per cui» esordì s'Ex con un tono
ancora più piatto. «Tuo fratello torna a essere la prima preoccupazione di Sua
Maestà. C'è un periodo di lutto obbligatorio da rispettare e adesso io partirò
per parteciparvi. Ma dopo la cerimonia di clausura e i riti che l'accompagnano,
mi manderanno a prelevare il Prescelto.»
La cerimonia di clausura era la
sepoltura formale dei sacri morti, un diritto riservato solo ai membri della
famiglia reale. E il lutto sarebbe durato un determinato numero di notti e
giorni. Dopo di che... le loro proroghe si sarebbero esaurite.
«Merda» sbottò iAm.
«Sarei felice di informare tuo
fratello, ma -»
«No, glielo dirò io.»
«Lo immaginavo.»
iAm si sedette accanto alla boia. Alzando
lo sguardo, ripensò alle caratteristiche del maschio. s'Ex rappresentava qualcosa
di peggio della classe inferiore; era nato da semplici domestici ma, grazie ai
muscoli e all'intelligenza, era riuscito a sedurre la regina. Era stata un'ascensione
senza precedenti attraverso gli strati dei livelli sociali.
«Mi dispiace» sussurrò iAm.
«Per cosa?»
«Per la tua perdita.»
«Era scritto nelle stelle.»
La casuale scrollata di spalle del
maschio fu smentita dall'incrinarsi della voce.
Prima che iAm potesse dire
qualcos'altro, s'Ex si chinò nella sua direzione. «Giusto per essere chiari,
non esiterò a fare tutto ciò è necessario per portare indietro tuo fratello e lui
concederà il suo corpo per lo scopo per cui è nato.»
«Questo lo hai già detto.» Allo
stesso modo di s'Ex, iAm si sporse in avanti e lo fissò negli occhi. «E giusto
per essere realistici, tu non credi davvero a questa stronzata dell'astrologia,
vero?»
«Da noi funziona così.»
«E questo significa che sia
giusto?»
«Tu sei un eretico. Così come lo è
tuo fratello.»
«Lascia che ti chieda una cosa. Hai
sentito la piccola urlare? Quando hanno ucciso la tua bambina, hai -»
L'attacco non fu inaspettato, il boia
si scagliò contro di lui con una tale forza che la sua sedia fu scaraventata
all'indietro e entrambi finirono sul pavimento, s'Ex a cavalcioni su iAm mentre
lo scuoteva con rabbia.
«Dovrei ucciderti» ringhiò il maschio.
«Incazzati con me se vuoi» replicò
secco iAm. «Ma sii onesto, almeno con te stesso. Non sei più così fiero di
compiere il tuo dovere, vero?»
s'Ex si allontanò di scatto e atterrò
sul culo. Si prese la testa tra le mani, il respiro affannoso, come se stesse
cercando riprendere il controllo di se stesso - senza riuscirci.
«Non ho più intenzione di aiutarvi»
disse il boia con la voce roca. «Il dovere richiede di essere soddisfatto.»
iAm si mise a sedere e pensò alle costellazioni
sotto cui suo fratello era nato come a una malattia, un qualcosa per cui non si
era offerto volontario, fagocitato dalla vita che aveva vissuto, una bomba a
orologeria pronta a esplodere.
La detonazione di Trez era stata
rimandata per, oh, così tanto tempo. Adesso, però, sarebbe esplosa senza
ulteriori attese.
Non per la prima volta nella sua
vita, iAm desiderò essere nato prima di Trez. Avrebbe di gran lunga preferito
essere lui quello maledetto, il portatore del fardello. Non che volesse essere
imprigionato per tutta la vita, con nient'altro da fare che provare ripetutamente
a ingravidare l'erede al trono come fosse un passatempo, ma lui era diverso da
Trez.
O forse stava prendendo in giro se
stesso.
Una sola cosa era chiara: avrebbe
fatto tutto quello che doveva per salvare suo fratello.
Ed era pronto a diventare dannatamente
creativo.
* * *
Nel lasso di tempo in cui Trez era tornato
a controllare il salotto privato, Rhage si era svegliato dal coma, trance,
pisolino, qualunque cosa fosse stata. E anche se la diarrea verbale di V era
stata una vera rottura di palle, al pari del proprietario del club e il ragazzo
che aveva attaccato prima, Trez sembrava avesse bisogno di assicurarsi che il Fratello
stesse bene.
«Come andiamo?» chiese non appena rientrò.
Quando Hollywood si mise lentamente
a sedere, fu subito chiaro che stava cercando di riprendere contatto con la
realtà, di ritorno da qualche destinazione mentale lontana dal club.
«Ehi, bella addormentata nel bosco»
borbottò V, tirando fuori una sigaretta rollata a mano e un accendino. «Sei
tornata?»
«Non si può fumare qui dentro» esclamò
Trez.
Vishous inarcò un sopracciglio.
«Cosa intendi fare? Buttarmi fuori a calci in culo?»
«Non voglio dover chiudere il
locale alla serata di apertura.»
«Hai problemi più grossi rispetto
al Dipartimento della Sanità Pubblica.»
Vaffanculo, V, pensò Trez.
«Hai bisogno di qualcosa?» chiese a
Rhage. «Ho un sacco di roba che non contiene alcol.»
«Nah, sto bene.» Il Fratello si
strofinò la faccia e poi distolse lo sguardo. «Quindi ti sei legato a
quell'Eletta, eh?»
«Ho anche da mangiare, se vuoi-»
«Andiamo, amico.» Rhage scosse testa.
«Hai appena cercato di battermi.»
Trez guardò di sfuggita l'orologio.
«In realtà, è stato più di un'ora fa.»
«Voglio dire, di qualunque cosa si
tratti - qual è il problema? Perché non stai con lei?»
«Sei ancora un po' pallido.»
«Okay, okay. Se vuoi metterti in
modalità muta, sono problemi tuoi.»
Che. Imbarazzante. Silenzio.
Oh, mio Dio, questa era la più bella
notte del cazzo, pensò Trez. Cosa sarebbe successo alla prossima? Un meteorite
che colpiva Caldwell?
Nah, probabilmente solo il suo
club.
«Allooora... io prendo la droga» esclamò
V, intascando i pacchetti di cellophane. «Se ne trovi altra -»
Il terzo maledetto lampo nella
stanza fu talmente brillante da accecare, e Trez sollevò un braccio per
coprirsi il volto mentre si metteva in posizione difensiva.
«Oh, cazzo!» abbaiò uno dei
Fratelli.
Era una bomba? Una tremenda rappresaglia
degli assassini?
L'impianto elettrico difettoso che
saltava in aria su scala epica?
O forse non avrebbe dovuto fornire
all'universo un suggerimento riguardo alla cosa della meteora.
Quando Trez sbatté le palpebre e le
macchie nel suo campo visivo sparirono, fu chiaro che non si trattava di nessuna
delle possibilità paventate poc'anzi.
Una figura stava ritta in piedi
dove c'era stata la grande esplosione di luce - una figura impressionante quanto
uno gnomo da giardino stile gotico. Qualunque cosa fosse era alta un metro e
venti, coperta dalla testa ai piedi da una tunica nera... e con un'evidente fonte
di illuminazione: da sotto l'orlo, traspariva una luce brillante. Come se La
Perla si fosse trasferita a Las Vegas e facesse lo strip là sotto.
All'improvviso, Trez smise di
respirare e mentre faceva due più due si avvicinò all'impossibile. Porca
puttana, che fosse la -
«Ciao, mamma» esordì Vishous
seccamente.
- Vergine Scriba.
«Sono venuta per un compito.» La voce
femminile era dura come il cristallo e altrettanto chiara. «E deve essere eseguito.»
«Ma davvero.» V prese una lunga
boccata dalla sigaretta rollata a mano. «Hai intenzione di rubare le caramelle
a un bambino? O è la notte di prendi-a-calci-un-cucciolo?»
La figura voltò le spalle al Fratello.
«Tu.»
Trez si ritrasse, sbattendo la
testa contro il muro. «Chiedo scusa?»
«Si presuppone che tu non debba
rivolgere domande a Lei» sbottò V. «Per
tua informazione.»
«Io?» ripeté Trez. «A cosa ti
servo?»
«Sei stato convocato da una delle
mie figlie.»
«Conti di portarlo a Disneyland?» mormorò
V. «Beato te, Trez - ma Lei probabilmente è in rapporti stretti con Malefica, Dr.
Facilier, Crudelia -»
«Come mai conosci così bene tutta
questa merda della Disney?» lo interruppe Rhage.
«Vieni con me» disse la Vergine
Scriba, stendendo il braccio avvolto dalla veste.
«Io?» sbottò Trez una terza volta.
«Sei stato convocato.»
«Selena...?» mormorò.
Rhage scosse la testa. «Devo tirare
fuori i marshmallow? Perché stai per essere abbrustolito a causa di tutte
queste domande, amico.»
Fu l'ultima cosa che Trez sentì prima
che un vortice di energia lo avvolgesse e lo portasse Dio solo sapeva...
...dove.
Poiché la sensazione di essere
stato trasportato era scomparsa, con un grido Trez si raddrizzò, entrambe braccia
estese ai due lati, la testa gli girava talmente da fargli pensare a una
trottola che sta per cadere.
Un'improvvisa consapevolezza di ciò
che lo circondava mise fine a tutto.
Parcolandia. Era stato trasferito
in una specie di cartolina raffigurante un parco perfetto, verdi prati erbosi intervallati
da alberi dalle chiome folte, aiuole traboccanti di fiori in sboccio e, in
lontananza, costruzioni di marmo bianco in stile greco-romano. Tranne
l'orizzonte tutto gli sembrava sbagliato. Una foresta delimitava una verde distesa
lussureggiante, ma c'era qualcosa di innaturale in tutto quello, gli stessi
alberi sembravano segnare la superficie, come se la natura ripetesse uno schema
prestabilito. E in alto, anche il cielo era tutto sballato, la sua lattea luminosità
sembrava non avere una fonte distinta, come se ci fosse solo un'enorme luce
fluorescente lassù.
«Dove mi trovo?» Quando non ci fu
risposta, si guardò attorno. La piccola figura infagottata se n'era andata.
Fantastico. Cosa avrebbe fatto
adesso?
Più tardi, si sarebbe chiesto cosa
esattamente lo fece girare e iniziare a camminare... e poi correre. Un rumore?
Il suo nome? L'istinto...?
Trovò il corpo sul lato opposto di
una salita nel terreno ondulato. Chiunque fosse era a faccia in giù, indossava
il tradizionale abito delle Elette, le suole del sandali - «Selena!» gridò. «Selena...!»
Fermandosi in scivolata, Trez cadde
in ginocchio. «Selena?»
I suoi capelli neri erano un
disastro, le ciocche avvolte a formare lo chignon erano sciolte e arruffate, e
le cadevano sul viso. Quando lui sollevò il groviglio, si accorse che la pelle
della femmina era bianca come carta.
«Selena...» Non era sicuro se lei fosse
ferita o se avesse perso i sensi, e senza alcuna formazione medica, non aveva la
minima idea di cosa fare.
«La respirazione, stai respirando?»
Appoggiò l'orecchio sulla sua schiena. Poi si chinò su di lei e le afferrò il
braccio per verificare la presenza di -
«Oddio.»
L'arto era rigido, come se fosse in
atto il rigor mortis. Solo che... quando poggiò due dita sulla parte interna
del polso, si accorse che c'era battito.
Selena gemette e il suo piede si
contrasse. Poi la testa scattò contro l'erba.
«Selena?» Il cuore gli batteva così
forte che riusciva a malapena a sentire qualcosa. «Cos'è successo?»
Non c'era alcuna ragione per
chiedere se stava bene. Era un clamoroso no del cazzo.
«Sei ferita?»
Altri gemiti, come se stesse lottando
contro qualcosa.
«Adesso ti volto.»
Preparandosi, la prese per un
braccio e provò a spostarla - ma dovette fermarsi. La sua posizione non era
cambiata, gli arti sagomati e il torso teso erano rigidissimi, era come se
avesse a che fare con una statua di pietra -
«Oh merda!»
Al suono della voce di Rhage, Trez sollevò
di scatto la testa. V e Rhage si erano materializzati dal nulla, e per quanto
gli fossero sempre piaciuti quei due, in quel momento, avrebbe potuto baciarli.
«Dovete aiutarmi» abbaiò. «Non so
cosa ci sia che non va in lei.»
I Fratelli si inginocchiarono e
Vishous toccò il polso, in cerca del battito.
«Sembra che non possa muoversi. Ma
non so il perché.»
«C'è battito» mormorò V. «Sta
respirando. Merda, ho bisogno della mia attrezzatura.»
«Possiamo portarla... dove cazzo siamo?»
chiese Trez.
«Sì, posso trasportarla -»
«Nessuno la toccherà a parte me»
sentì se stesso ringhiare.
Quel promemoria non era di certo un
bene in quella situazione. Tuttavia, al maschio legato in lui non
fotteva un cazzo.
La conversazione si srotolò tra i Fratelli,
ma che fosse dannato se avesse sentito una singola parola. Il suo cervello incespicava
su se stesso, frammenti degli ultimi due mesi si insinuavano mentre provava a
cercare segni di cosa non andasse in lei.
Non c'era stato nulla che lui avesse
visto, o afferrato come chiacchiera da corridoio. Se avesse soltanto perso i
sensi, sarebbe stata in conseguenza all'avere offerto eccessivamente la sua
vena, ma questo non avrebbe spiegato perché il suo corpo si fosse irrigidito in
quel modo - sembrava si fosse letteralmente trasformata in pietra.
Qualcuno gli diede un colpetto
sulla spalla. Rhage.
«Dammi la mano.»
Trez stese il palmo e si sentì tirare
in piedi. Prima che potessero parlargli, disse: «Devo portarla io. Lei è mia.»
«Lo sappiamo» disse Rhage con un
cenno del capo. «Nessuno la toccherà senza il tuo permesso. Dobbiamo tirarla su
- poi V vi riporterà entrambi indietro, va bene? Andiamo adesso, solleva la tua
femmina.»
Le braccia di Trez tremavano così tanto
che si chiese se sarebbe stato in grado di tenerla tra le braccia. Ma non
appena si abbassò, un profondo senso di risolutezza spazzò via tutto il
nervosismo e il tremore. L'obiettivo di condurla alla clinica del centro di addestramento
gli diede una potenza fisica e una lucidità mentale che non aveva mai provato
prima.
Sarebbe morto nello sforzo.
Dio, lei pesava così poco. Meno di quanto
ricordava.
E sotto la veste sentiva le ossa
dure, come se stesse deperendo velocemente.
Poco prima che l'effetto vorticoso lo
invadesse ancora una volta, i suoi occhi si spostarono su una fila fitta di
alberi tarchiati interrotta da un traliccio. Sul lato opposto dell'arco, c'era
una specie di cortile in cui statue di marmo raffiguranti delle femmine in varie
pose erano innalzate su dei pilastri.
Se quella fosse stata la sua strada?
Per qualche ragione, la vista di
quelle statue lo terrorizzò fino al midollo.
Grazie Christiana - come al solito brava! Ciao baci
RispondiEliminaGrazie Christiana! Sto cominciando ad essere veramente solidale con il boia. Prima non mi piaceva ma ora....Susanna
RispondiEliminabene ogni mercoledì sta diventando un'attesa grazie ciao alla prossima tvb
RispondiEliminaGrazie, non vedo l'ora di leggerlo tutto. Ciao smack
RispondiEliminaGuarda un pò la Vergine Scriba finalmente si è svegliata -.- (non la reggo proprio). Grazie infinite per il capitolo bravissimaa!!! -Alessia
RispondiEliminagrazie, bimbe
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