martedì 26 marzo 2013

Prologo di Lover at Last


Lover at last

Prologo

Qhuinn, figlio di Lohstrong, entrò nella casa della sua famiglia attraverso la porta principale. Nell'istante in cui varcò la soglia, il profumo della casa gli invase le narici. Cera al limone. Candele di cera d'api. Fiori freschi dal giardino che il doggen coglieva tutti i giorni. Profumo - quello di sua madre. Acqua di colonia - quelle di suo padre e suo fratello. Cannella - quello di sua sorella.
Se la compagnia Glade avesse mai brevettato un deodorante per ambienti come quello, l'avrebbe chiamato qualcosa come Pascolo del Vecchio Conio. Oppure Aurora su un grasso Conto in Banca.
O forse il solito Noi siamo Migliori di Tutti gli Altri.
Delle voci distanti vennero dalla sala da pranzo, le vocali arrotondate come brillanti intagliati, le consonanti strascicate morbide e allungate come nastri di seta.
"Oh, Lillie, è delizioso, grazie," disse sua madre alla cameriera.
"Ma è troppo per me. Non darne così tanto a Solange. Si sta appesantendo."
Ah già, la perenne dieta di sua madre inflitta alla nuova generazione: si supponeva che le femmine della Glymera sparissero alla vista quando svoltavano l'angolo, mostrando ogni clavicola sporgente, guancia infossata e braccio scarno come un fottuto distintivo d'onore.
Come se assomigliare a un attizzatoio facesse diventare una persona migliore.
E la Vergine Scriba ti evitava se tua figlia pareva essere in salute.
"Ah, sì, grazie Lilith," aggiunse suo padre. "Ancora per me, grazie."
Qhuinn chiuse gli occhi cercando di convincere il suo corpo a proseguire. Un piede dopo l'altro. Non era poi così dura.
Le sue Ed Hardy nuove di pacca gli mostrarono il dito medio a quell'idea. E poi, in diversi modi, a entrare nella sala da pranzo come Steven Seagal in Belly of the Beast.
Lasciò cadere il suo borsone sul pavimento. I due giorni che aveva trascorso a casa di Blay lo avevano tirato su, una pausa dalla totale mancanza d'aria in questa casa. Sfortunatamente l'ustione del rientro era talmente forte che il beneficio dell'essere andato via quasi si equiparava.
Okay, era ridicolo. Non poteva continuare a starsene lì come un oggetto inanimato.
Voltandosi verso il muro di lato, si sporse verso lo specchio antico a tutt'altezza che era proprio affianco alla porta. Molto ponderato, pensato per la necessità dell'aristocrazia di tenere un bell'aspetto. In questo modo i visitatori potevano controllare capelli e abiti mentre il maggiordomo prendeva in consegna cappotti e cappelli.
La faccia del giovane pretrans che lo guardò di riflesso aveva tutti i lineamenti regolari, una bella mascella e una bocca che, doveva ammetterlo, sembrava capace di danneggiare seriamente la pelle nuda una volta che sarebbe cresciuto. O forse era solo un desiderio. I capelli erano come Vlad l'Impalatore, con le punte dritte sulla sua testa. Al collo portava una catena di bicicletta - e non una comprata da Urban Outfitters, ma l'anello che aveva precedentemente spinto la sua dodici marce.
Tutto era bilanciato, assomigliava a un ladro che aveva fatto irruzione e si preparava a distruggere tutto alla ricerca dell'argenteria, dei gioielli e i computers portatili.
L'ironia era che quella cazzata gotica non era la parte più offensiva della sua apparizione in famiglia. Infatti lui poteva fare lo spogliarello, piazzare un impianto d' illuminazione sul suo culo e correre al primo piano fingendo d'essere Jose Canseco con maestria e non avvicinarsi neanche lontanamente al problema che rodeva ai suoi genitori.
Erano i suoi occhi.
Uno blu. L'altro verde.
Alla Glymera non piacevano i difetti. Non nelle loro porcellane o nei roseti. Nella carta da parati o nei tappeti oppure ai banconi. Non nella seta della loro biancheria intima o nella lana delle loro giacche o nello chiffon dei loro abiti da sera.
E sicuramente mai nei loro figli.
La sorella era a posto - beh, eccetto per il "piccolo problema del peso" che al momento non esisteva e un difetto di pronuncia che la transizione non aveva risolto - oh, e il fatto che aveva la personalità della madre. E niente poteva sistemare quella merda.
Il fratello, d'altro canto, era la vera fottuta stella di casa, fisicamente perfetto, primogenito pronto a portare avanti l'eredità di famiglia riproducendosi in maniera molto raffinata, senza gemiti o gocce di sudore con una femmina scelta per lui dalla famiglia.
Dannazione, il suo recipiente per lo sperma era già pronto. Ci si sarebbe accoppiato non appena avesse superato la transizione -
"Come ti senti, figlio mio?" chiese suo padre con esitazione.
"Stanco, signore," una voce profonda rispose. "Ma questo mi aiuterà."
Un brivido risalì lungo la spina dorsale di Qhuinn. Non sembrava la voce di suo fratello. Troppo bassa, troppo mascolina, troppo...
Cazzo, il ragazzo aveva superato la transizione.
Ora le Ed Hardy di Qhuinn erano pronte a procedere col programma, portandolo fino a vedere la sala da pranzo. Il padre era al suo posto a capo tavola. Confermato. La madre era  seduta ai piedi del tavolo di fronte alla porta incernierata della cucina. Confermato. La sorella era fuori vista, ma pronta a leccare il bordo dorato del piatto dalla fame. Confermato.
Il maschio che dava le spalle a Qhuinn non faceva parte della Procedura Operativa Standard.
Luchas era due volte la taglia che era stato quando Qhuinn era stato avvicinato da un doggen che gli aveva portato le sue cose e mandato da Blay.
Beh, questo spiegava la vacanza. Aveva creduto che suo padre si fosse finalmente ammorbidito e avesse ceduto alla richiesta che aveva inoltrato settimane prima. Ma no, voleva solo Qhuinn fuori di casa, perché il cambiamento era arrivato per il suo figliolo dal gene d'oro.
Suo fratello si era sbattuto la ragazza? Chi avevano usato per il sangue -
Suo padre, che non esternava mai, allungò una mano e  diede a Luchas un' imbarazzata pacca sul braccio. "Siamo così orgogliosi di te. Sei... perfetto."
"Sì,"  la madre di Qhuinn aprì la bocca. "Assolutamente perfetto. Tuo fratello non sembra perfetto, Solange?"
"Sì. Perfetto."
"E ho qualcosa per te," disse Lohstrong.
Il maschio mise la mano nella tasca della sua giacca sportiva e tirò fuori una scatola di velluto nero grande quanto una palla da baseball.
La madre di Qhuinn iniziò a piangere e a picchiettarsi sotto gli occhi.
"Questo è per te, mio prezioso figlio."
La scatola scivolò lungo la tovaglia bianca damascata e le grandi mani di suo fratello tremarono quando la prese e aprì il coperchio.
Qhuinn vide il lampo d'oro in ogni direzione nell' atrio. Mentre ognuno al tavolo taceva, suo fratello fissò l'anello con sigillo, chiaramente sopraffatto, mentre la loro madre continuava il picchiettio e anche il padre cominciava a emozionarsi. E sua sorella prendeva di nascosto un panino dal cestino del pane.
"Grazie, signore," disse Luchas indossando il pesante anello d'oro all'indice.
"Va bene, non è vero?" chiese Lohstrong.
"Sì, signore. Perfettamente."
"Abbiamo la stessa misura, allora."
Ovviamente.
In quel momento, il loro padre distolse lo sguardo, come se sperasse che il movimento degli occhi bastasse a eliminare il luccichio delle lacrime che gli offuscavano la vista.
Colse Qhuinn nascosto fuori la sala da pranzo.
Ci fu un breve lampo di riconoscimento. Non il Ciao come stai o il Oh bene, l'altro mio figlio è a casa. Era più come quando cammini sull'erba e ti accorgi della merda di cane troppo tardi per evitare che il tuo piede ci vada a finire sopra.
Il maschio tornò a fissare la sua famiglia chiudendo fuori Qhuinn. Chiaramente l'ultima cosa che Lohstrong voleva era che quel momento storico fosse rovinato - che probabilmente era il motivo per cui non avesse fatto gli scongiuri per tenere lontano l'occhio maligno. Di solito ognuno in quella casa eseguiva il rituale quando vedeva Qhuinn. Ma non quella sera. Il paparino non voleva che gli altri lo sapessero.
Qhuinn tornò al suo borsone. Sistemandosi il peso sulla spalla, salì le scale centrali per andare nella sua stanza. Di solito sua madre preferiva che lui usasse quelle di servizio, ma questo significava che avrebbe dovuto passare attraverso tutto l'amore che c'era là. La sua stanza era molto lontana da quella degli altri, alla fine della zona destra della casa. Si era domandato spesso perché non facessero completamente il salto mettendolo coi doggen - in quel caso la servitù di sarebbe licenziata probabilmente.
Chiudendo la porta, scaricò i suoi fallimenti sul pavimento spoglio e si sedette sul letto. Fissando il suo unico bagaglio, pensò di doversi sbrigare a fare quel bucato, c'era ancora un costume da bagno inzuppato dentro.
Le domestiche si rifiutavano di toccare i suoi abiti - come se il male che era in lui indugiasse nelle fibre dei suoi jeans o delle sue T-shirt.
Il lato positivo era che non essendo benvenuto agli eventi formali, il suo era un guardaroba che non richiedeva stiratura.
Si accorse che stava piangendo quando guardando le sue Ed Hardy vide che c'erano un paio di gocce d'acqua giusto al centro delle stringhe.
Qhuinn non avrebbe mai ricevuto un anello.
Ah diamine... questo faceva male.
Si stava passando le mani sul viso quando il suo telefono squillò.
Lo tirò fuori dalla sua giacca da motociclista e dovette sbattere le palpebre un paio di volte prima che potesse mettere a fuoco la vista.
Schiacciò invio per accettare la chiamata, ma non rispose.
"L'ho appena saputo," disse Blay all'apparecchio. "Che stai facendo?"
Qhuinn aprì la bocca per rispondere, il suo cervello tossì tutti i tipi di risposte: "Fottuto, eccezionale esperto di un civile."Almeno non sono 'grasso' come mia sorella." "No, non so se mio fratello ha fatto sesso."
Invece disse: "Mi hanno buttato fuori. Non volevano che maledissi la transizione. Credo che abbia funzionato, perché sembra esserne venuto fuori bene."
Blay imprecò piano.
"Oh, e gli ha appena dato l'anello. Mio padre gli ha dato... il suo anello."
L'anello con sigillo con lo stemma della famiglia, il simbolo che tutti i maschi di una buona linea di sangue indossavano per affermare il valore della loro discendenza.
"Ho visto Luchas metterlo al dito," disse Qhuinn sentendo che se stesse prendendo un coltello affilato e lo avvicinasse all'interno delle sue braccia. "Gli va benissimo. Davvero perfetto. Lo sai, beh... come, come poteva non -"
Cominciò a piangere a quel punto.
Perse il dannato controllo.
La tremenda verità era che sotto la sua controcultura del fanculo, voleva che la sua famiglia lo amasse. Voleva essere lezioso come sua sorella, secchione come il fratello, riservato come i suoi genitori, lui vedeva l'amore tra loro quattro. Sentiva l'amore tra loro quattro. Era il laccio che univa quegli individui insieme, la corda invisibile da un cuore a un altro, l'impegno ad aver cura di ogni cosa riguardante la merda mondana di ogni mortale tragedia. E la sola cosa più potente di quella connessione... era esserne estromesso.
Ogni fottuto giorno della tua vita.
La voce di Blay irruppe attraverso il suo conato mentale. "Io ci sono. E mi dispiace così tanto... sono qui... non fare niente di stupido, va bene? Lasciami arrivare -"
Lasciare che Blay sapesse che stava pensando a cose che includevano corde e pigne della doccia.
Infatti la sua mano libera era già scesa alla cintura improvvisata che aveva creato con un bel, forte intreccio di nylon - perché i suoi genitori non gli davano molti soldi per i vestiti e quella che aveva si era rotta anni prima.
Liberandola per tutta la lunghezza, guardò la porta chiusa del suo bagno. Tutto ciò di cui aveva bisogno era legarla all'impianto nella sua doccia - Dio sapeva che quei tubi dell'acqua avevano visto giorni migliori, quando erano forti abbastanza da sostenere del peso. Doveva prendere anche una sedia su cui salire e poi scalciarla da sotto.
"Devo andare -"
"Qhuinn? Non attaccare - non osare attaccare con me -"
"Ascolta amico, devo andare -"
"Sto venendo adesso." Si sentì un rumore di sottofondo, come se Blay si stesse vestendo.
"Qhuinn! Non attaccare il telefono - Qhuinn...!"

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