mercoledì 22 ottobre 2014

Capitolo 26 di THE KING di J.R. Ward



The King


26


Saxton si guardò nello specchio dello spogliatoio, afferrò le estremità del farfallino e le annodò insieme. Quando lasciò andare la seta adornata, il papillon mantenne forma e simmetria come un cucciolo bene addestrato.

Facendo un passo indietro, lisciò i capelli appena tagliati e indossò il suo cappotto invernale di cashmere di Marc Jacobs. Tirò prima una manica e poi l'altra, infine allargò le braccia in modo che i gemelli ai polsini sotto la giacca del completo fossero visibili.

Non erano quelli con lo stemma di famiglia.

Quelli non li indossava più.

No, questi erano dei gemelli di Van Cliff & Arpels degli anni quaranta, in platino, zaffiri e diamanti.

"Ho già messo il profumo?" Guardò le sue bottiglie di Gucci, Prada e Chanel ben allineate sul vassoio a specchio con le maniglie in ottone. "Nessun commento da parte vostra?"

Diede una veloce annusata a un polso. Sì, era Égoïste quello che indossava, e l'aveva appena messo.

Voltandosi, attraversò il pesante pavimento in marmo venato color panna e entrò nella sua camera da letto bianco-su-bianco. Avvicinandosi al letto, ebbe l'istinto di rifarlo daccapo, ma erano i nervi a farlo agire in quel modo.

"Solo una ricontrollata."

Sprimacciò i cuscini e sistemò il copriletto nell'esatta posizione in cui era prima che lui si vestisse, lanciò un'occhiata alla sveglia vintage di Cartier sul comodino.

Non poteva più rimandare.

Eppure guardò ancora una volta la chaise lounge bianca e le poltrone dello stesso colore. Ispezionò i tappeti in mohair bianchi. Incamminandosi, si assicurò che il Jackson Pollock sul camino fosse perfettamente allineato.

Questa non era la sua vecchia casa, quella in stile vittoriano in cui Blay aveva trascorso una giornata. Era l'altra, una villetta  a un piano di Frank Lloyd Wright che aveva acquistato non appena era stata messa in vendita - e perché non avrebbe dovuto comprarla? Ne erano rimaste talmente poche sul mercato.

Naturalmente aveva dovuto effettuare delle ristrutturazioni e degli ampliamenti clandestini del seminterrato, ma era ormai da molto tempo che i vampiri avevano trovato i loro metodi per aggirare gli umani e i loro fastidiosi ispettori edili.

Controllando di nuovo il suo Patek Philippe, si chiese il perché di quel terribile pellegrinaggio. Ancora una volta.
Era come un orrendo Giorno della Marmotta. Ma perlomeno non accadeva con grande regolarità.

Mentre risaliva le scale, era vagamente consapevole di sistemare nuovamente il papillon. Aprì la porta che collegava il seminterrato alla zona superiore ed entrò in una raffinata cucina anni quaranta completa di moderne riproduzioni perfettamente funzionanti di elettrodomestici identici a quelli della sitcom I Love Lucy.
Ogni volta che attraversava la casa col suo mobilio Jetsons e l'assoluta mancanza fronzoli, si sentiva come se si trovasse nell'America del secondo dopoguerra - e la cosa lo calmava. Gli piaceva il passato. Gli piacevano le differenti impronte delle varie epoche. Gradiva vivere in posti quanto più possibile autentici.

E non era intenzionato a tornare presto in quella casa vittoriana. Non dopo che, in pratica, era iniziata lì la storia tra lui e Blay.

Uscendo dalla porta principale, Saxton pensò al maschio e sentì una stretta al petto - e si fermò, concentrandosi sulla sensazione, sui ricordi che l'accompagnavano, sul cambio di pressione sanguigna e sul corso dei pensieri.

Dopo che si erano lasciati, che era accaduto sotto sua istigazione, aveva letto parecchio sul dolore. Le fasi. il processo. Ed era stato buffo... stranamente, la miglior risorsa era stata un libricino che aveva trovato e che parlava di come superare la perdita di un animale da compagnia. Conteneva domande a cui si presumeva si dovesse rispondere riguardo ciò che il cane aveva insegnato o quello che mancava di più del gatto o ancora quali sono stati i più bei momenti col tuo pappagallo.

Non l'avrebbe mai ammesso con nessuno, ma aveva risposto ad ognuna di quelle domande sul suo diario riferendosi a Blay - e farlo l'aveva aiutato. Fino a un certo punto. Dormiva ancora da solo, e anche se aveva ripreso a fare sesso, invece di fare tabula rasa e ricominciare daccapo, la situazione lo faceva soffrire ancora di più.

Ma le cose andavano meglio di prima. Almeno il suo principio operativo era per metà normale: per le prime due notti era stato un morto vivente. Ora, invece, la ferita aveva formato una crosta e mangiava e dormiva.

Però capitavano ancora situazioni capaci d'innescare certi meccanismi - ad esempio ogni volta che doveva vedere Blay o Qhuinn.

Era così difficile essere felici per colui che amavi... quando quel qualcuno stava con un altro.

Tuttavia, come in ogni aspetto della vita, c'erano cose che potevi cambiare e altre invece no.

Riguardo a quello...

Chiuse gli occhi, si smaterializzò e riprese forma su un prato ricoperto di neve grande quanto un parco cittadino - e altrettanto curato. D'altronde suo padre odiava tutto ciò che non era ordinato: piante, erba, objets d'art, mobili... figli. L'immensa villa padronale più avanti si estendeva su una superficie di millequattrocento metri quadrati, diverse ali erano state aggiunte da generazioni di umani. Guardandola avvolta dalla notte invernale, Saxton si ricordò dell'esatta motivazione per cui il padre l'aveva acquistata quando alcuni ex allievi l'avevano lasciata all'Union College - si trattava del Vecchio Continente nel Nuovo Mondo, una casa lontana dalla terra natia.

Da tradizionalista, suo padre aveva apprezzato il ritorno alle origini. Non che le avesse mai davvero abbandonate.
Mentre si avvicinava all'ingresso principale, entrambe le fiammelle nelle lampade a gas ai lati dell'imponente portone tremolarono, investendo di una luce antica le lavorazioni in pietra scolpite nel diciannovesimo secolo come espressione dello stile neogotico. Quando si fermò, Saxton pensò che forse non avrebbe dovuto suonare il campanello, perché i domestici lo stavano attendendo. 

Loro, come suo padre, si affrettavano sempre a farlo entrare e uscire da casa - come se lui fosse un documento da elaborare o una cena da servire e dopo sparecchiare in tutta fretta.

Eppure nessuno aprì il portone in anticipo.

Allungandosi, Saxton tirò una catena in ferro rivestita di velluto per far suonare il campanello.

Non ci fu risposta.
Accigliandosi, lui fece un passo indietro e guardò di lato, senza scoprire nulla. C'erano troppi cespugli ultra curati per riuscire a vedere all'interno di qualcuna di quelle vetrate a piombo.

Restare chiuso fuori casa rappresentava l'esatta testimonianza del rapporto che aveva col padre, giusto? 
Il maschio gli aveva chiesto di tornare per il suo compleanno e poi l'aveva lasciato fuori al freddo davanti al portone.

In realtà, al momento attuale, Saxton aveva deciso che la sua esistenza era un gran vaffanculo a suo padre. Da ciò che aveva capito, Thym aveva sempre desiderato un bambino - un figlio, per essere esatti. Aveva pregato la Vergine Scriba pur di averne uno. E il suo desiderio era stato esaudito.

Sfortunatamente, c'era stata una condizione che aveva decretato un insuccesso.

Proprio mentre si chiedeva se dovesse bussare ancora, il portone venne aperto dal maggiordomo. La faccia del doggen era glaciale come al solito, ma il fatto che non si inchinasse dinanzi al primo e unico figlio del suo padrone la diceva lunga sull'opinione che avesse nei confronti di chi stava lasciando entrare in casa.

Non era stato sempre così in quella casa. Ma sua madre era morta, e poi il suo piccolo segreto era venuto a galla, quindi...

"Vostro padre al momento è impegnato." E basta. Niente Posso-prendere-il-cappotto?, Come state?, o ancora, Fa piuttosto freddo questa notte, nevvero?

Per lui non si sarebbero sprecate nemmeno due chiacchiere sul tempo.

Il che andava bene. Non gli era mai importato di quel tizio, in ogni caso.

Quando il maggiordomo si fece di lato, concentrandosi sulla parete rivestita in seta di fronte a sé, passare davanti a quello sguardo fisso fu come essere colpito da una recinzione elettrificata - almeno a quello Saxton era abituato. E poi conosceva la strada.

Il salottino della padrona era a sinistra, e quando entrò nella stanza vezzosa, si mise le mani nelle tasche del cappotto. Le pareti color lavanda e il tappeto giallo limone erano luminosi e allegri, e la verità era che, anche se farlo entrare in quella stanza rappresentava un insulto, la preferiva molto di più all'equivalente maschile rivestita in legno dall'altra parte dell'ingresso.

Sua madre era morta da tre anni, ma quella camera non rappresentava un mausoleo preposto alla perdita. In realtà, Saxton non credeva che al padre mancasse la moglie.

Thym era sempre stato più attratto dalla legge - anche in questioni relative alla glymera -

Saxton si bloccò, voltandosi verso la parte posteriore della stanza.
In lontananza, si sentirono delle voci confuse - e quello era inconsueto. L'intera casa di solito era silenziosa come una biblioteca, la servitù camminava in punta di piedi, i doggen comunicavano tra di loro attraverso un complesso sistema di segnali con le mani che avevano messo a punto per non disturbare il padrone.

Saxton si avvicinò alle altre porte. A differenza di quelle che conducevano all'ingresso, queste erano chiuse.
Socchiudendo un battente, Saxton scivolò  nella austera stanza a pianta ottagonale in cui suo padre teneva i tomi rilegati in pelle che riguardavano le Antiche Leggi. Il soffitto era alto quasi dieci metri, le modanatura di tutti quegli scaffali erano in mogano scuro, le cornici al di sopra delle porte erano intagliate con dei rilievi rappresentanti immagine gotiche - o almeno delle riproduzioni del diciannovesimo secolo.

Al centro di quello spazio circolare, c'era un enorme tavolo rotondo col piano in marmo che... lo scioccò.

Era pieno di libri aperti.

Guardando le mensole in alto, vide dei vuoti tra i volumi allineati. All'incirca una ventina.

Un allarme gli risuonò alla base del cranio, tenne le mani in tasca e si allungò per leggere le frasi esposte in bella vista...

"Oh, Gesù..."

Successione.

Suo padre stava studiando le leggi che riguardavano la successione.

Saxton sollevò la testa in direzione delle voci. Erano più forti adesso che si trovava in questa stanza, anche se ancora smorzate da un altro paio di doppie porte.
Quale che fosse questo incontro stava avvenendo nello studio privato di suo padre.

Altamente insolito. Il maschio non lasciava mai entrare nessuno lì - non permetteva neanche ai clienti di entrare in casa.

Si trattava di una cosa seria - e Saxton non era uno stupido. C'era una cabala contro Wrath nella glymera e, ovviamente, suo padre era coinvolto.

Non c'era motivo di preoccuparsi del futuro Re se non si puntava a prendere di mira quello attualmente sul trono.
Saxton girò intorno al tavolo, posando lo sguardo su ogni pagina aperta. Più leggeva, più si allarmava.

"Oh… merda," sussurrò in una delle sue rare imprecazioni.

Male. Molto male…

Il rumore di una porta che si apriva nello studio gli diede una scossa. Correndo sulla punta dei mocassini, tornò nel salottino della padrona e, senza fare rumore, richiuse i battenti alle sue spalle.

Se ne stava di fronte al John Singer Sargent sopra il camino quando il maggiordomo lo chiamò un paio di minuti dopo.

"Ora può ricevervi."

Inutile buttare lì un grazie. Si limitò a seguire il doggen sulla scia della sua disapprovazione - e si preparò a riceverne ancora da parte di suo padre.

Di solito detestava andare lì.

Ma non quella sera. No, quella sera aveva uno scopo ben più grande che contrastare quello che si preannunciava come l'ennesimo tentativo paterno di umiliarlo per costringerlo a rigare diritto.


*    *    *


Purrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.

Trez aggrottò la fronte a quel suono. Dischiudendo un occhio, vide suo fratello ritto accanto al letto con in braccio il gatto nero Boo, e un'espressione di disapprovazione negli occhi di ghiaccio.

Gli occhi di suo fratello, non del gatto.

"Conti di battere la fiacca un'altra notte" sbottò iAm.

Non era una domanda, dunque perché disturbarsi a tirar fuori una risposta.

Rizzandosi a sedere con un gemito, Trez dovette puntellarsi sulle braccia per tenere il busto in verticale.

A quanto pareva, mentre lui era fuori servizio, il mondo si era trasformato in un hula hop e il pianeta girava vorticosamente intorno al suo collo.

Alzando bandiera bianca, si lasciò ricadere sul materasso.

Quando suo fratello rimase lì rigido, Trez capì che quella era la sirena che lo richiamava alla realtà. E voleva rispondere, sul serio. Ma il suo corpo era a secco di carburante.

"Quando è stata l'ultima volta che ti sei attaccato a una vena?" pretese di sapere iAm.

Trez lo guardò ed eluse la domanda. "Da quando sei diventato un amante degli animali?"

"Odio questo maledetto gatto."

"Si vede."

"Rispondi."

Il fatto che non riuscisse nemmeno a ricordare quando aveva… no, buio più assoluto.

"Ti mando qualcuno," borbottò iAm. "Poi io e te dobbiamo parlare."

"Parliamo adesso."

"Perché? Così dopo potrai fingere di non aver capito bene?"

Beh, quella sì che era un'idea. "No."

"Se la prenderanno con nostro padre e nostra madre."

Trez si tirò di nuovo su, e stavolta senza bisogno di aiuti aggiuntivi. Merda. Avrebbe dovuto aspettarselo dalla s'Hisbe, ma…

"In che modo?"

"Secondo te?" Suo fratello smise di grattare delicatamente le orecchie del gatto nero e passò sotto al mento. "Cominceranno con lei."

Trez si sfregò la faccia. "Gesù Cristo. Non mi aspettavo che l'alto sacerdote fosse così…"

"Non era lui. Nah. Lui è stato la seconda persona che è passata a trovarmi ieri sera."

"Che ore sono?" Anche se il fatto che potesse vedere fuori dalle finestre che era notte rispose almeno in parte alla domanda. "Perché non mi hai svegliato quando sei arrivato a casa?"

"Ci ho provato. Tre volte. Avevo in mente di mandarti un carrello emergenze, se non ti svegliavi adesso."

"Allora, cos'ha detto l'alto sacerdote?"

"È di s'Ex che dobbiamo preoccuparci."

Trez abbassò le mani. Fissò suo fratello; doveva aver capito male, per forza. "Chi, scusa?"

"Non c'è bisogno di ripeterlo, quel nome, giusto?"

"Oh, Dio." Cosa cavolo credeva di fare il sicario della regina andando a trovare suo fratello? D'altronde…

"Stanno proprio alzando la posta di brutto, vero?"

iAm si sedette sul bordo del letto, il materasso s'infossò sotto al suo peso. "Siamo al dunque, Trez. Basta fingere, basta persuasione. Hanno usato la carota; ora useranno il bastone."

Trez pensò ai suoi genitori, ricordava a malapena i loro volti. L'ultima volta che li aveva visti era stata… beh, ecco un'altra cosa che non ricordava. Un ricordo però era nettissimo. Gli appartamenti in cui vivevano. Marmo ovunque. Infissi d'oro. Tappeti di seta. Domestici dappertutto. Gioielli appesi alle lampade per creare un effetto scintillante.

All'inizio non era così - e quella era un'altra cosa che ricordava: era nato in un modesto trilocale in un angolo sperduto della corte - abbastanza grazioso secondo i normali standard.

Niente a che vedere con quello che avevano ottenuto quando avevano venduto il suo futuro.

Dopo di che? Mentre loro salivano i gradini della scala sociale, ottenendo il meglio del meglio, lui era stato cresciuto dal personale della regina, in solitudine in una stanza bianca. Soltanto quando si era rifiutato di mangiare e di bere per diverse notti di fila gli avevano mandato iAm.

Ecco come era iniziato il loro rapporto disfunzionale.

Da allora? In qualche modo, iAm si era assunto la responsabilità di portarlo avanti.

"Ti ricordi quando li abbiamo visti l'ultima volta?" si scoprì a chiedere.

"A quel ricevimento. Sai, quello in onore della regina."

"Oh… giusto." I loro genitori erano seduti con i Primari della regina, come venivano chiamati. Al centro e in prima fila. Tutti sorridenti.

Non avevano riconosciuto né lui né iAm, quando erano entrati, ma non era un fatto insolito. Una volta venduto, Trez era diventato di proprietà della regina. E, una volta arruolato per appianare le cose, nemmeno iAm era più appartenuto a loro.

"Non si sono mai voltati indietro, vero?" mormorò Trez. "Io sono solo una merce per loro. E, cavolo, hanno spuntato un ottimo prezzo."

iAm rimase in silenzio, come al suo solito. Rimase seduto lì, ad accarezzare quel gatto.

"Quanto tempo mi rimane?" chiese Trez.

"Devi andare stanotte." Due occhi scuri si spostarono su di lui. "Cioè subito."

"E se non lo faccio…" Inutile rispondere, e iAm non lo fece: se non si alzava dal letto per consegnarsi, i suoi genitori sarebbero stati massacrati. O peggio.

Probabilmente molto peggio.

"Quei due sono parte integrante del sistema," disse. "Hanno ottenuto esattamente ciò che volevano."

"Allora non ci andrai."

Una volta rimesso piede nel Territorio, non avrebbe mai più rivisto il mondo esterno. La guardia della regina lo avrebbe rinchiuso in quel labirinto di corridoi e tenuto sottochiave per trasformarlo nell'equivalente maschile di un harem, separandolo perfino da suo fratello.

E nel frattempo, i suoi genitori avrebbero continuato a vivere, incuranti.

"Lei mi ha guardato," borbottò. "La sera del ricevimento. Ha puntato gli occhi nei miei - e mi ha rivolto quel sorrisetto di superiorità. Come se avesse fatto tutte le mosse giuste, col vantaggio supplementare di non avermi più tra i piedi. Che razza di madre fa una cosa così?"

"Quindi li lascerai morire."

"No."

"Allora ritornerai lì."

"No."

iAm scosse la testa. "O una cosa o l'altra, Trez. Lo so che sei incazzato con loro, con la regina, con centomila altre cose. Ma ormai siamo arrivati al bivio, e ci sono solo due possibilità. Ficcatelo bene in testa - e io tornerò lì con te."

"No, tu resterai qui." Mentre la sua testa confusa tentava di mettere insieme le variabili, il suo cervello era tutto un lavorio, ma niente lampi di genio. "E poi non ho intenzione di andare."

Merda, aveva bisogno di nutrirsi prima di provare ad affrontare la faccenda.

"Cazzo, quel sangue umano fa proprio schifo," biascicò massaggiandosi le tempie, come se quella frizione potesse dare un'impennata al suo Quoziente Intellettivo. 

"Sai cosa? Adesso non posso proprio parlarne - e non perché voglio fare lo stronzo. È che non riesco a pensare, nel vero senso della parola."

"Ti mando qualcuno." iAm si alzò e andò alla porta che separava le loro suite. "Poi però devi prendere una decisione. Hai due ore."

"Mi odierai," sbottò Trez.

"Per loro?"

"Già."

La risposta si fece attendere a lungo. Poi il gatto smise di fare le fusa, le mani di iAm si immobilizzarono intorno al suo collo.

"Non lo so."

Trez annuì. "É giusto."

La porta era già chiusa e suo fratello era già lontano quando il cervello di Trez tirò fuori un ehi–aspetta–un–attimo.

"Non Selena," gridò Trez. "iAm! Ehi! Non Selena!"


Già non si fidava di quello che poteva farle quando gli diceva bene - l'ultima cosa che gli serviva al momento era starle vicino.

5 commenti:

  1. Ciao Chris come al solito salutino veloce dopo la lettura del capitolo - brava! Baci Adele

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  2. ehi non è giusto, ieri non vedevo il capitolo ... ma oggi SI!!!
    :P
    grazie ancora chris :)

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  3. come sempre grazie di tutto christiana tvb ciao

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