martedì 12 maggio 2015

Capitolo 6 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 6


RISTORANTE DA SALVATORE, FUORI LITTLE ITALY, CALDWELL


Con un'imprecazione, iAm interruppe la chiamata che aveva appena ricevuto al cellulare e si sostenne al bancone di fronte a lui. Dopo un momento di aritmia, afferrò la giacca da marinaio di lana, quella nera con la calibro quaranta nella tasca nascosta sul lato sinistro e un coltello da caccia lungo all'incirca venti centimetri cucito nella fodera sul quello destro.

Avrebbe potuto avere bisogno di armi.

«Chef? Tutto bene?»

Lanciò un'occhiata all'altro lato della cucina industriale ad Antonio diSenza, il suo capo cuoco. «Mi dispiace. Già. Devo andare - e io già iniziato la mise en place

Afferrò di nuovo il cellulare. «Puoi terminarla domani.»

Antonio si tolse la toque e appoggiò un fianco contro il mastodontico piano cottura a dodici fuochi. Tutta l'attrezzatura usata per servizio della cena era stata ripulita, il persistente vapore dalle lavastoviglie in funzione rendeva la cucina dodici metri x sei un qualcosa emerso dalla foresta pluviale amazzonica.

Troppo tranquillo, pensò iAm. E la stanza illuminata a giorno puzzava di candeggina invece che di basilico.

«Grazie, chef. Vuoi che sbollenti i pomodori prima di andarmene?»

«È tardi. Vai a casa. Hai fatto un buon lavoro stasera.»

Antonio si asciugò il viso con un canovaccio blu e bianco. «Grazie a te, chef.»

«Chiudi al posto mio?»

«Tutto quello che vuoi.»

Con un cenno del capo, iAm uscì dalla cucina e tagliò attraverso l'ingresso piastrellato per la consegna diretto all'uscita posteriore. All'esterno, due dei suoi camerieri fumavano bighellonando attorno alle loro auto, senza le giacche degli smoking, i papillon rossi disfatti che pendevano dai colletti aperti. «Chef» esclamò uno di loro, raddrizzandosi.

L'altro richiamò subito la sua attenzione. «Chef.»

Tecnicamente, era più il capo che lo chef lì al Sal, ma aveva un sacco di esperienza in cucina e lui stesso aveva creato delle ricette, e il personale lo rispettava per questo. Non era sempre stato così. La prima volta che vi aveva messo piede per assumere la direzione di quell'istituzione di Caldwell, non era stato accolto proprio bene. Tutti, dai camerieri agli chef agli aiuto camerieri, avevano creduto che, visto che lui era un afro-americano, il profondo orgoglio e la tradizione di quella proprietà italiana, la cucina e la cultura avrebbero funzionato contro chiunque non avesse sangue siciliano nelle vene.

In quanto Ombra, iAm aveva capito l'affare meglio di quanto pensassero. Il suo popolo non voleva avere niente a che fare con i vampiri o con i symphath - e di sicuro sfiorare neanche di striscio quegli umani senza palle. E il Sal era uno dei più famosi ristoranti in Caldwell, non rappresentava solo un ritorno al periodo in cui andavano di moda i Rat Pack negli anni cinquanta, ma un posto che di fatto aveva servito il Presidente del  Consiglio e il suo astuto seguito. Con la sua carta da parati damascata, il banco della reception e tutta la formalità, somigliava al Sardi nella parte nord - ed era sempre stato di proprietà di italiani e gestito da loro.

Dopo più di un anno che era nelle sue mani, però, tutto andava alla grande. Lui aveva dimostrato a tutti, dai clienti al personale ai fornitori, non solo di poter vestire i panni di Salvatore Guidette III, ma di saperli riempire. Ora? Veniva trattato con un rispetto che sfiorava la venerazione.

Si chiese che cosa avrebbero pensato di lui se avessero saputo che non veniva dall'Africa, lui non si riconosceva come americano - e cosa ancora più importante, non era nemmeno umano.

Un'Ombra era in mezzo a loro.

«Ci vediamo domani» disse ai due uomini.

«Sì, chef.»

«Notte, chef.»

iAm fece loro un cenno col mento e si avviò a grandi passi, svoltando all'angolo più lontano. Non appena fu fuori vista, chiuse gli occhi, sì concentrò e si smaterializzò.

Quando riprese forma, era sul terrazzo al diciottesimo piano del Commodore, nell'appartamento di proprietà sua e del fratello. La portafinestra di vetro scorrevole era spalancata, le lunghe tende bianche svolazzavano dentro e fuori dall'interno buio come fantasmi che provavano a fuggire senza riuscirci. Aveva avuto due possibili destinazioni: o qui, oppure lo shAdoWs, e aveva scelto il loro appartamento da scapoli a causa di ciò che lo attendeva all'interno.

C'erano notizie dalla s'Hisbe, e tutto sommato iAm preferiva riferirle lui stesso a Trez che lasciare questo compito al maschio che avevano mandato.  

Infilò la mano nella giacca, la strinse sul calcio della pistola ed entrò. «Dove sei.»

«Da questa parte» fu la profonda, tranquilla risposta.

iAm si voltò a sinistra, verso il divano di pelle bianca contro la parete in fondo. I suoi occhi acuti si adattarono in un attimo, e l'enorme sagoma nera del boia della Regina divenne nitida.

iAm aggrottò la fronte. «Cosa c'è che non va?»

Il tintinnio dei cubetti di ghiaccio in un bicchiere tumbler ruppe il silenzio. «Dov'è tuo fratello?»

«Oggi è la serata di apertura del nuovo locale. È impegnato.»

«Deve rispondere al telefono» disse s'Ex con tono brusco.

«La regina ha partorito?»

«Sì. Ha partorito.»

Un lungo silenzio. Rotto solo dal suono di quei cubetti di ghiaccio. iAm inspirò e colse il profumo del bourbon - insieme a una aspra tristezza talmente intensa che lasciò la sua presa sulla sua pistola. «s'Ex?»

Il boia si alzò di scatto dal divano e si diresse a grandi passi verso il bar, la veste gli vorticava alle spalle come ombre spazzate da un forte vento.

«Vuoi unirti a me?» chiese il maschio versandosi altro whisky nel bicchiere.

«Dipende. Quali notizie porti e come influiscono sul mio gemello?»

«Hai bisogno di un drink.»

Giusto. Fantastico. Senza ulteriori commenti, iAm si avvicinò e si unì a s'Ex al bar. Non importava cosa ci fosse nel bicchiere, se ci fossero i cubetti di ghiaccio, una spruzzata di soda. Buttò giù quella che si rivelò essere vodka e se ne versò dell'altra.

«Quindi non era la prossima regina» esclamò. «La piccola che è nata.»

«No.» s'Ex tornò al divano. «L'hanno uccisa.»

«Cosa

«È stato... decretato. Dalle» - agitò il bicchiere in aria sopra la sua testa - «stelle. Così hanno ucciso la bambina. Mia... figlia.»

iAm sbatté le palpebre. Bevve un altro po'. E poi pensò, Gesù, se la regina poteva fare una cosa del genere a una neonata innocente nata dal proprio corpo, il capo della s'Hisbe era capace di tutto.

«Per cui» esordì s'Ex con un tono ancora più piatto. «Tuo fratello torna a essere la prima preoccupazione di Sua Maestà. C'è un periodo di lutto obbligatorio da rispettare e adesso io partirò per parteciparvi. Ma dopo la cerimonia di clausura e i riti che l'accompagnano, mi manderanno a prelevare il Prescelto.»

La cerimonia di clausura era la sepoltura formale dei sacri morti, un diritto riservato solo ai membri della famiglia reale. E il lutto sarebbe durato un determinato numero di notti e giorni. Dopo di che... le loro proroghe si sarebbero esaurite.

«Merda» sbottò iAm.

«Sarei felice di informare tuo fratello, ma -»

«No, glielo dirò io.»

«Lo immaginavo.»

iAm si sedette accanto alla boia. Alzando lo sguardo, ripensò alle caratteristiche del maschio. s'Ex rappresentava qualcosa di peggio della classe inferiore; era nato da semplici domestici ma, grazie ai muscoli e all'intelligenza, era riuscito a sedurre la regina. Era stata un'ascensione senza precedenti attraverso gli strati dei livelli sociali.

«Mi dispiace» sussurrò iAm.

«Per cosa?»

«Per la tua perdita.»

«Era scritto nelle stelle.»

La casuale scrollata di spalle del maschio fu smentita dall'incrinarsi della voce.

Prima che iAm potesse dire qualcos'altro, s'Ex si chinò nella sua direzione. «Giusto per essere chiari, non esiterò a fare tutto ciò è necessario per portare indietro tuo fratello e lui concederà il suo corpo per lo scopo per cui è nato.»

«Questo lo hai già detto.» Allo stesso modo di s'Ex, iAm si sporse in avanti e lo fissò negli occhi. «E giusto per essere realistici, tu non credi davvero a questa stronzata dell'astrologia, vero?»

«Da noi funziona così.»

«E questo significa che sia giusto?»

«Tu sei un eretico. Così come lo è tuo fratello.»

«Lascia che ti chieda una cosa. Hai sentito la piccola urlare? Quando hanno ucciso la tua bambina, hai -»

L'attacco non fu inaspettato, il boia si scagliò contro di lui con una tale forza che la sua sedia fu scaraventata all'indietro e entrambi finirono sul pavimento, s'Ex a cavalcioni su iAm mentre lo scuoteva con rabbia. 

«Dovrei ucciderti» ringhiò il maschio.

«Incazzati con me se vuoi» replicò secco iAm. «Ma sii onesto, almeno con te stesso. Non sei più così fiero di compiere il tuo dovere, vero?»

s'Ex si allontanò di scatto e atterrò sul culo. Si prese la testa tra le mani, il respiro affannoso, come se stesse cercando riprendere il controllo di se stesso - senza riuscirci.

«Non ho più intenzione di aiutarvi» disse il boia con la voce roca. «Il dovere richiede di essere soddisfatto.»

iAm si mise a sedere e pensò alle costellazioni sotto cui suo fratello era nato come a una malattia, un qualcosa per cui non si era offerto volontario, fagocitato dalla vita che aveva vissuto, una bomba a orologeria pronta a esplodere.

La detonazione di Trez era stata rimandata per, oh, così tanto tempo. Adesso, però, sarebbe esplosa senza ulteriori attese.

Non per la prima volta nella sua vita, iAm desiderò essere nato prima di Trez. Avrebbe di gran lunga preferito essere lui quello maledetto, il portatore del fardello. Non che volesse essere imprigionato per tutta la vita, con nient'altro da fare che provare ripetutamente a ingravidare l'erede al trono come fosse un passatempo, ma lui era diverso da Trez.

O forse stava prendendo in giro se stesso.

Una sola cosa era chiara: avrebbe fatto tutto quello che doveva per salvare suo fratello.

Ed era pronto a diventare dannatamente creativo.



*    *    *



Nel lasso di tempo in cui Trez era tornato a controllare il salotto privato, Rhage si era svegliato dal coma, trance, pisolino, qualunque cosa fosse stata. E anche se la diarrea verbale di V era stata una vera rottura di palle, al pari del proprietario del club e il ragazzo che aveva attaccato prima, Trez sembrava avesse bisogno di assicurarsi che il Fratello stesse bene.

«Come andiamo?» chiese non appena rientrò.

Quando Hollywood si mise lentamente a sedere, fu subito chiaro che stava cercando di riprendere contatto con la realtà, di ritorno da qualche destinazione mentale lontana dal club.

«Ehi, bella addormentata nel bosco» borbottò V, tirando fuori una sigaretta rollata a mano e un accendino. «Sei tornata?»

«Non si può fumare qui dentro» esclamò Trez.

Vishous inarcò un sopracciglio. «Cosa intendi fare? Buttarmi fuori a calci in culo?»

«Non voglio dover chiudere il locale alla serata di apertura.»

«Hai problemi più grossi rispetto al Dipartimento della Sanità Pubblica.»

Vaffanculo, V, pensò Trez.

«Hai bisogno di qualcosa?» chiese a Rhage. «Ho un sacco di roba che non contiene alcol.»

«Nah, sto bene.» Il Fratello si strofinò la faccia e poi distolse lo sguardo. «Quindi ti sei legato a quell'Eletta, eh?»

«Ho anche da mangiare, se vuoi-»

«Andiamo, amico.» Rhage scosse testa. «Hai appena cercato di battermi.»

Trez guardò di sfuggita l'orologio. «In realtà, è stato più di un'ora fa.»

«Voglio dire, di qualunque cosa si tratti - qual è il problema? Perché non stai con lei?»

«Sei ancora un po' pallido.»

«Okay, okay. Se vuoi metterti in modalità muta, sono problemi tuoi.»

Che. Imbarazzante. Silenzio.

Oh, mio Dio, questa era la più bella notte del cazzo, pensò Trez. Cosa sarebbe successo alla prossima? Un meteorite che colpiva Caldwell?

Nah, probabilmente solo il suo club.

«Allooora... io prendo la droga» esclamò V, intascando i pacchetti di cellophane. «Se ne trovi altra -»

Il terzo maledetto lampo nella stanza fu talmente brillante da accecare, e Trez sollevò un braccio per coprirsi il volto mentre si metteva in posizione difensiva.
«Oh, cazzo!» abbaiò uno dei Fratelli.

Era una bomba? Una tremenda rappresaglia degli assassini?

L'impianto elettrico difettoso che saltava in aria su scala epica?

O forse non avrebbe dovuto fornire all'universo un suggerimento riguardo alla cosa della meteora.

Quando Trez sbatté le palpebre e le macchie nel suo campo visivo sparirono, fu chiaro che non si trattava di nessuna delle possibilità paventate poc'anzi.

Una figura stava ritta in piedi dove c'era stata la grande esplosione di luce - una figura impressionante quanto uno gnomo da giardino stile gotico. Qualunque cosa fosse era alta un metro e venti, coperta dalla testa ai piedi da una tunica nera... e con un'evidente fonte di illuminazione: da sotto l'orlo, traspariva una luce brillante. Come se La Perla si fosse trasferita a Las Vegas e facesse lo strip là sotto.

All'improvviso, Trez smise di respirare e mentre faceva due più due si avvicinò all'impossibile. Porca puttana, che fosse la -

«Ciao, mamma» esordì Vishous seccamente.

- Vergine Scriba.

«Sono venuta per un compito.» La voce femminile era dura come il cristallo e altrettanto chiara. «E deve essere eseguito.»

«Ma davvero.» V prese una lunga boccata dalla sigaretta rollata a mano. «Hai intenzione di rubare le caramelle a un bambino? O è la notte di prendi-a-calci-un-cucciolo?»

La figura voltò le spalle al Fratello. «Tu.»

Trez si ritrasse, sbattendo la testa contro il muro. «Chiedo scusa?»

«Si presuppone che tu non debba rivolgere domande a  Lei» sbottò V. «Per tua informazione.»

«Io?» ripeté Trez. «A cosa ti servo?»

«Sei stato convocato da una delle mie figlie.»

«Conti di portarlo a Disneyland?» mormorò V. «Beato te, Trez - ma Lei probabilmente è in rapporti stretti con Malefica, Dr. Facilier, Crudelia -»

«Come mai conosci così bene tutta questa merda della Disney?» lo interruppe Rhage.

«Vieni con me» disse la Vergine Scriba, stendendo il braccio avvolto dalla veste.

«Io?» sbottò Trez una terza volta.

«Sei stato convocato.»

«Selena...?» mormorò.

Rhage scosse la testa. «Devo tirare fuori i marshmallow? Perché stai per essere abbrustolito a causa di tutte queste domande, amico.»

Fu l'ultima cosa che Trez sentì prima che un vortice di energia lo avvolgesse e lo portasse Dio solo sapeva...

...dove.

Poiché la sensazione di essere stato trasportato era scomparsa, con un grido Trez si raddrizzò, entrambe braccia estese ai due lati, la testa gli girava talmente da fargli pensare a una trottola che sta per cadere.

Un'improvvisa consapevolezza di ciò che lo circondava mise fine a tutto.

Parcolandia. Era stato trasferito in una specie di cartolina raffigurante un parco perfetto, verdi prati erbosi intervallati da alberi dalle chiome folte, aiuole traboccanti di fiori in sboccio e, in lontananza, costruzioni di marmo bianco in stile greco-romano. Tranne l'orizzonte tutto gli sembrava sbagliato. Una foresta delimitava una verde distesa lussureggiante, ma c'era qualcosa di innaturale in tutto quello, gli stessi alberi sembravano segnare la superficie, come se la natura ripetesse uno schema prestabilito. E in alto, anche il cielo era tutto sballato, la sua lattea luminosità sembrava non avere una fonte distinta, come se ci fosse solo un'enorme luce fluorescente lassù.

«Dove mi trovo?» Quando non ci fu risposta, si guardò attorno. La piccola figura infagottata se n'era andata.

Fantastico. Cosa avrebbe fatto adesso?

Più tardi, si sarebbe chiesto cosa esattamente lo fece girare e iniziare a camminare... e poi correre. Un rumore? Il suo nome? L'istinto...?

Trovò il corpo sul lato opposto di una salita nel terreno ondulato. Chiunque fosse era a faccia in giù, indossava il tradizionale abito delle Elette, le suole del sandali - «Selena!» gridò. «Selena...!»

Fermandosi in scivolata, Trez cadde in ginocchio. «Selena?»

I suoi capelli neri erano un disastro, le ciocche avvolte a formare lo chignon erano sciolte e arruffate, e le cadevano sul viso. Quando lui sollevò il groviglio, si accorse che la pelle della femmina era bianca come carta.

«Selena...» Non era sicuro se lei fosse ferita o se avesse perso i sensi, e senza alcuna formazione medica, non aveva la minima idea di cosa fare.

«La respirazione, stai respirando?» Appoggiò l'orecchio sulla sua schiena. Poi si chinò su di lei e le afferrò il braccio per verificare la presenza di -

«Oddio.»

L'arto era rigido, come se fosse in atto il rigor mortis. Solo che... quando poggiò due dita sulla parte interna del polso, si accorse che c'era battito.

Selena gemette e il suo piede si contrasse. Poi la testa scattò contro l'erba.

«Selena?» Il cuore gli batteva così forte che riusciva a malapena a sentire qualcosa. «Cos'è successo?»

Non c'era alcuna ragione per chiedere se stava bene. Era un clamoroso no del cazzo.

«Sei ferita?»

Altri gemiti, come se stesse lottando contro qualcosa.

«Adesso ti volto.»

Preparandosi, la prese per un braccio e provò a spostarla - ma dovette fermarsi. La sua posizione non era cambiata, gli arti sagomati e il torso teso erano rigidissimi, era come se avesse a che fare con una statua di pietra -

«Oh merda!»

Al suono della voce di Rhage, Trez sollevò di scatto la testa. V e Rhage si erano materializzati dal nulla, e per quanto gli fossero sempre piaciuti quei due, in quel momento, avrebbe potuto baciarli.

«Dovete aiutarmi» abbaiò. «Non so cosa ci sia che non va in lei.»

I Fratelli si inginocchiarono e Vishous toccò il polso, in cerca del battito.

«Sembra che non possa muoversi. Ma non so il perché.»

«C'è battito» mormorò V. «Sta respirando. Merda, ho bisogno della mia attrezzatura.»

«Possiamo portarla... dove cazzo siamo?» chiese Trez.

«Sì, posso trasportarla -»

«Nessuno la toccherà a parte me» sentì se stesso ringhiare.

Quel promemoria non era di certo un bene in quella situazione. Tuttavia, al maschio legato in lui non fotteva un cazzo.

La conversazione si srotolò tra i Fratelli, ma che fosse dannato se avesse sentito una singola parola. Il suo cervello incespicava su se stesso, frammenti degli ultimi due mesi si insinuavano mentre provava a cercare segni di cosa non andasse in lei.

Non c'era stato nulla che lui avesse visto, o afferrato come chiacchiera da corridoio. Se avesse soltanto perso i sensi, sarebbe stata in conseguenza all'avere offerto eccessivamente la sua vena, ma questo non avrebbe spiegato perché il suo corpo si fosse irrigidito in quel modo - sembrava si fosse letteralmente trasformata in pietra.

Qualcuno gli diede un colpetto sulla spalla. Rhage.

«Dammi la mano.»

Trez stese il palmo e si sentì tirare in piedi. Prima che potessero parlargli, disse: «Devo portarla io. Lei è mia.»

«Lo sappiamo» disse Rhage con un cenno del capo. «Nessuno la toccherà senza il tuo permesso. Dobbiamo tirarla su - poi V vi riporterà entrambi indietro, va bene? Andiamo adesso, solleva la tua femmina.»

Le braccia di Trez tremavano così tanto che si chiese se sarebbe stato in grado di tenerla tra le braccia. Ma non appena si abbassò, un profondo senso di risolutezza spazzò via tutto il nervosismo e il tremore. L'obiettivo di condurla alla clinica del centro di addestramento gli diede una potenza fisica e una lucidità mentale che non aveva mai provato prima.

Sarebbe morto nello sforzo.

Dio, lei pesava così poco. Meno di quanto ricordava.

E sotto la veste sentiva le ossa dure, come se stesse deperendo velocemente.

Poco prima che l'effetto vorticoso lo invadesse ancora una volta, i suoi occhi si spostarono su una fila fitta di alberi tarchiati interrotta da un traliccio. Sul lato opposto dell'arco, c'era una specie di cortile in cui statue di marmo raffiguranti delle femmine in varie pose erano innalzate su dei pilastri.

Se quella fosse stata la sua strada?


Per qualche ragione, la vista di quelle statue lo terrorizzò fino al midollo.

6 commenti:

  1. Grazie Christiana - come al solito brava! Ciao baci

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  2. Grazie Christiana! Sto cominciando ad essere veramente solidale con il boia. Prima non mi piaceva ma ora....Susanna

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  3. bene ogni mercoledì sta diventando un'attesa grazie ciao alla prossima tvb

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  4. Grazie, non vedo l'ora di leggerlo tutto. Ciao smack

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  5. Guarda un pò la Vergine Scriba finalmente si è svegliata -.- (non la reggo proprio). Grazie infinite per il capitolo bravissimaa!!! -Alessia

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