Capitolo 7
In piedi davanti al lungo specchio della sua camera da letto, Layla
cercò di sistemarsi addosso quella che avrebbe dovuto essere una mantella
morbida, ma drappeggiare le numerose pieghe sul suo ventre era come chiedere a
un plaid di coprire un letto king size.
Abbassò lo sguardo. Non riusciva più a vedersi i piedi, e per
una volta nella sua vita, i suoi seni erano grandi abbastanza da creare un vero
solco sotto la sua veste.
Data la sua ampiezza, era difficile credere che le mancassero
ancora parecchi mesi per portare a termine la gravidanza.
Perché i vampiri non potevano essere più simili gli esseri
umani? Quelle creature inferiori impiegavano solo nove mesi. La sua specie? Almeno
diciotto.
Con sguardo da sopra la spalla, si controllò nello specchio della
credenza. Secondo i vari programmi sulla gravidanza umana che aveva visto in
televisione, avrebbe dovuto sentirsi raggiante. Avrebbe dovuto gioire dei
cambiamenti del proprio corpo e accogliere il miracolo del concepimento, della
crescita, e infine del parto.
Certo che gli esseri umani appartenevano proprio a una razza
diversa.
L'unico aspetto positivo ricevuto da questa esperienza - che
senza dubbio era l'unica cosa che contava davvero- era che il suo bambino era
attivo e apparentemente in buona salute. I controlli regolari con la dottoressa
Jane avevano indicato che tutto procedeva alla perfezione, le tappe fondamentali
erano giunte e passate, le varie fasi arrivate e andatesene con grazia.
E questo riguardava gli aspetti positivi. Tutto il resto? Ma
anche no, grazie. Detestava la nausea che la colpiva ogni santa volta che si
metteva in piedi. I grossi meloni incassati nel suo petto che le rendevano
difficile respirare. Il gonfiore alle caviglie e alle mani che trasformava gli arti
sinuosi in tronchi d'albero. Poi c'erano gli ormoni in fermento...
Che le facevano venire voglia di fare cose che le femmine
incinte non dovrebbero fare.
Soprattutto visto con chi avrebbe voluto farle -
«Basta. Adesso smettila.»
Si prese la testa tra le mani e lottò contro il lancinante senso
di colpa che era stato la sua ombra quegli ultimi mesi, plasmandosi addosso come
la propria pelle, pesante come una cotta di maglia.
A differenza della gravidanza, al cui termine il disagio e la preoccupazione
sarebbero cessati, non ci sarebbe stato alcun conforto con l'altra situazione.
Nessun evento da portare a compimento, almeno non uno che avrebbe portato
gioia.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso, e lei aveva fatto la
sua scelta.
Arrivò alla porta della sua camera e la socchiuse, attenta a
scorgere il rumore di passi. Voci. Gli aspirapolvere in funzione. Quando non sentì
più nulla, uscì nella galleria delle statue e guardò a sinistra e a destra. Una
rapida occhiata al suo orologio le disse che aveva circa un'ora e mezza prima
che il sorgere dell'alba la costringesse a rientrare alla magione della
Confraternita.
Una volta fuori dalla camera avrebbe voluto correre, ma riusciva
a malapena a camminare a passo svelto mentre si dirigeva verso l'ala del
personale.
Aveva pianificato il suo percorso verso l'uscita in precedenza e
in maniera funzionale, era molto brava a gestire i dettagli. Le ci volevano sei
minuti per scendere le scale posteriori ed entrare in garage. Due minuti per raggiungere
l'auto che le avevano messo a disposizione e con cui usciva regolarmente
dicendo alla gente che andava a "schiarirsi le idee."
Sedici minuti di viaggio costeggiando i terreni coltivati a est
della città.
Due minuti a piedi fino che al campo con l'acero al centro.
Dove l'avrebbe aspettata -
«Layla?»
Lei incespicò nei suoi piedi mentre si voltava. Blay era
all'inizio della galleria delle statue in tenuta da combattimento, con i
pantaloni imbrattati e il volto esausto.
«Ah - ciao» rispose. «Sei di ritorno dal campo di battaglia?»
«Stai per uscire?» Blay aggrottò la fronte. «È tardissimo.»
«Faccio solo un giretto in auto» esclamò rilassata. «Sai, per
schiarirmi le idee.»
Beata Vergine Scriba, odiava mentire.
«Beh, sono contento di averti incontrata prima che uscissi. Qhuinn
non se la passa bene.»
Layla si accigliò avvicinandosi al guerriero. Il padre della sua
bambina era una delle persone più importanti nella sua vita, al pari di Blay. Quella
coppia era la sua famiglia. «Perché?»
«Luchas.» Blay sganciò il fodero del pugnale dal petto. «Si
rifiuta di nutrirsi e Qhuinn non sa più cosa fare.»
«È stato quasi un mese fa.»
«Di più.»
Di solito, se un vampiro
maschio in salute si abbeverava alla vena di un'Eletta, potevano trascorrere tranquillamente
diversi mesi tra un nutrimento e l'altro, a seconda dell'attività svolta, dallo
stress, e dal quadro di salute generale. Tuttavia, per qualcuno malato
come Luchas? Molto più di una settimana o due potevano trasformarsi velocemente
in una condanna a morte.
«Dov'è Qhuinn adesso?»
«Giù nella sala da biliardo. Mi hanno richiamato prima dalle
strade perché...» Blay scosse la testa. «Già, non se la sta passando bene.»
Layla chiuse gli occhi e poggiò una mano sulla pancia. Doveva
andare. Doveva restare...
«Devo fare una doccia.» Blay guardò la porta della stanza che divideva
con Qhuinn. «C'è la possibilità che tu possa stare un po' con lui fino a quando
non arrivo?»
«Oh, sì, certo.»
Blay allungò una mano e le strinse spalla. «Avrò bisogno del tuo
aiuto con lui. Questa storia sta diventando...»
«Lo so.» Layla si tolse il cappotto e non si preoccupò di
riportarlo nella sua stanza. Lo lasciò cadere sul pavimento di fronte alla
propria porta. «Adesso scendo giù.»
«Grazie. Dio, ti ringrazio.» Si abbracciarono per un istante e poi
lei si allontanò con la sua andatura a papera diretta alla scalinata e dal
maschio che le aveva dato il dono inestimabile del bambino che portava in
grembo.
Non c'era nulla che non avrebbe fatto per Qhuinn o per il suo hellren.
Comunque, era conscia del maschio che la stava aspettando in
quel momento sotto quell'albero di acero, fuori in quel campo.
La sua coscienza la tormentava, soprattutto mentre passava davanti
alla doppia porta aperta dello studio del re. Attraverso la porta regale, vide
il trono dietro la grande scrivania intagliata... e ricordò perché aveva sancito
il patto che aveva stretto.
Aveva venduto il proprio corpo al capo della Banda dei Bastardi affinché
tutti lì alla magione fossero al sicuro. Tuttavia l'accordo non era ancora
stato consumato per via della sua gravidanza - il che l'aveva sorpresa in un
primo momento. Xcor era un brutale guerriero, non solo di nome ma di fatto, in
realtà faceva del male agli altri - godendone. Eppure con lei, sembrava contento
di prendersi il suo tempo prima di riscuotere ciò che gli era dovuto.
Si erano incontrati regolarmente sotto quell'albero per parlare.
O a volte semplicemente per stare seduti in silenzio, con i suoi occhi che le scivolavano
lungo il corpo come se...
Beh, a volte pensava che lui sembrava acquisire forza solo
guardandola, come se la connessione visiva fosse una specie di vena da cui
aveva bisogno di abbeverarsi a intervalli specifici.
Altre volte, lei sapeva che la immaginava nuda - allora ripeteva
a se stessa che avrebbe dovuto sentirsi offesa da questo. Avrebbe dovuto
esserne spaventata.
Preoccupata.
Ultimamente, però, una strana curiosità che lo riguardava si era
radicata sotto la paura, una curiosità legata al suo corpo possente, agli occhi
socchiusi... alle labbra, sebbene quello superiore fosse rovinato...
Era tutta colpa dei suoi ormoni - e cercò di non soffermarsi sulle
brame. L'unica cosa che doveva tenere a mente era che fino a quando lei avesse
continuato a incontrarlo, lui aveva giurato su tutto ciò che per lui
rappresentava l'onore che non avrebbe fatto irruzione nel complesso.
Dopotutto, l'unica ragione per cui lui conosceva la posizione
del loro quartier generale, era a causa sua.
Indirettamente, forse, ma si
sentiva come se quella falla nella sicurezza fosse solo colpa sua.
L'intero accordo rappresentava un patto con il diavolo, eseguito
per far sì che le persone a cui lei teneva fossero al sicuro. Lei odiava le
bugie, la doppia vita, il senso di colpa... e la paura che prima o poi avrebbe
dovuto onorare le sua parte dell'accordo.
Ma non c'era nulla che potesse fare.
E stasera, la sua famiglia aveva la precedenza sul suo inganno.
* * *
Giù nella sala visite principale del centro di addestramento,
Trez stava vivendo un'esperienza extracorporea mentre il vorticoso spostamento si fermava e ancora una volta lui dovette ricalibrare la sua posizione. Grazie
a Dio erano tornati tutti interi. Ora, se solo ci fosse stato qualcuno in grado
di aiutarli.
Cullando tra le braccia il corpo rigido e contorto di Selena, lanciò
un'occhiata oltre la sua spalla. La dottoressa Jane, la shellan di V, era in piedi da un lato in completa tenuta da medico:
camice blu, guanti in gomma nitrilica verde, scarpette ai piedi. Però non si
avvicinò a Selena. Rimase dov'era a fissarli, per un tempo che a lui parve
un'eternità.
Merda. Trez non ne capiva di medici, ma in generale, quando qualcuno
con un enorme "Dottor" scritto davanti al proprio nome vedeva per la
prima volta un paziente, non doveva effettuare una visita completa?
Non era un buon segno.
Rhage e V erano al lato opposto, e allo stesso modo fissavano
inebetiti lui e Selena, come se anche loro non avessero nessun idea su come
poter essere d'aiuto.
La dottoressa Jane si schiarì la gola. «Trez...?»
«Chiedo scusa, cosa ha detto?»
«Mi lasci darle un'occhiata?»
Trez aggrottò la fronte. «Certo - prego.» Quando la dottoressa Jane
non si mosse, Trez cominciò a perdere la pazienza. «Quale diavolo è il problema-»
«Hai snudato le zanne e stai ringhiando. Ecco qual è il
problema.» Fece un rapido autoesame e scoprì che -caspita, in effetti si era
trasformato in Cujo, con il peso del corpo infossato sulle cosce abbassate,
sfoderando l'attrezzatura in dotazione, e ringhiando come se avesse un tagliaerba
industriale nel retro della gola.
«Già, mi dispiace.» A quel punto, si accorse anche che era
indietreggiato con la schiena in un angolo e teneva Selena stretta al petto
come se qualcuno stesse cercando di portargliela via. «Quindi dovrei metterla sul
tavolo.»
«Sarebbe un buon punto di partenza» sottolineò V.
Il suo corpo si prese il suo tempo con calma mentre lui dava il
comando di muoversi avanti, e alla fine, solo il fatto che lei aveva bisogno di
cure per mano di qualcuno che avesse anche solo mezzo cervello e uno stetoscopio lo
convinse a raggiungere il centro della stanza.
Abbassandosi, la allungò sul
piano di acciaio inossidabile - e lui rabbrividì perché era come spostare una
sedia di legno: il corpo di Selena rimase nella stessa posizione in cui lui
l'aveva trovato, le gambe tese, il tronco contorto, le braccia rannicchiate al
petto. E la cosa peggiore? La testa era rimasta voltata in quella brutta
angolazione, ritorta nella direzione opposta alle spalle come se stesse
soffrendo un enorme dolore.
La sua mano tremava mentre le scostava i capelli dal viso. Aveva
gli occhi aperti, ma non era sicuro che lei fosse cosciente. Non sembrava
concentrarsi su niente, di tanto in tanto dei lenti battiti di ciglia erano l'unica
indicazione che lei era sveglia.
Che era ancora viva.
Trez abbassò il viso all'altezza dei suoi occhi. «Sei al centro
di addestramento. Adesso loro ti...»
Quando la sua voce s'incrinò, ordinò a se stesso di mettere una dannata
distanza da quel tavolo e lasciare che la dottoressa Jane facesse il suo
lavoro.
Incrociando le braccia sul petto, marciò all'indietro fino a
quando sentì una mano pesante sulla sua spalla. Era Rhage. E Trez era
abbastanza sicuro che il gesto fosse in parte compassione, in parte l'assicurarsi
che il maschio legato in lui non decidesse di afferrare di nuovo le redini.
«Lasciali lavorare» disse Hollywood mentre Ehlena, che era sia
la shellan di Rehv che l'infermiera,
irruppe nella stanza. «Vediamo cosa abbiamo.»
Trez annuì. «Va bene. Sì. »
Il buon dottore si chinò e scrutò gli occhi opachi di Selena. Qualunque
cosa le avesse detto a voce troppo bassa per poterla sentire, ma il ritmo di Selena nel battere le palpebre era cambiato - anche se era difficile capire se era un bene o un male.
Pressione sanguigna. Battito. Reazione delle pupille. I primi
tre controlli si svolsero in fretta, ma Jane non sprecò tempo nell'annunciare i
risultati. Lei e la sua infermiera continuavano a lavorare velocemente,
misurarono la temperatura di Selena, le inserirono una flebo sul dorso della mano,
perché le curve dei gomiti erano bloccate.
«Voglio farle un elettrocardiogramma, ma non riesco a
posizionare gli elettrodi sul petto» disse la dottoressa Jane. Poi guardò oltre
la spalla verso il suo compagno. «Sai di qualche sindrome che causa questi
effetti? È come un attacco epilettico che irrigidisce tutto il corpo, solo le
pupille restano reattive.»
«No. Vuoi che chiami Havers per un consulto?»
«Sì. Per favore.» Quando V uscì dalla stanza, Jane scosse la
testa. «Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo nel suo cervello, ma non
abbiamo né un apparecchio per la risonanza magnetica né per la tomografia
assiale computerizzata.»
«Quindi dobbiamo portarla da Havers» esclamò Trez.
«Neanche lui possiede quell'attrezzatura tecnologica.»
«Cazzo.» Quando la presa di Rhage si strinse su di lui, Trez si focalizzò
sul volto di Selena. «Sta soffrendo? Non voglio che lei soffra.»
«Devo essere onesta?» disse il dottore. «Non lo so. E fino a quando
non capirò qualcosa sul stato neurologico, non ho intenzione di imbottirla di
farmaci che potrebbero inibirle le funzioni. Ma mi muoverò più veloce che
posso.»
Sembrò volerci un'eternità, il tempo si fermò completamente
mentre tutto quello che lui poteva fare era guardare il complicato andirivieni
medico intorno a quel tavolo. E Rhage rimase accanto a lui, nei panni di una sentinella
con funzioni di babysitter mentre Trez cavalcava gli estremi del Me La Sto
Facendo Sotto e Voglio Farmi Saltare Le Cervella senza alcuna grazia.
E poi l'Eletta Cormia spalancò la porta.
Nell'istante in cui la femmina vide Selena, ansimò e portò
entrambe le mani alla bocca. «Beata Vergine Scriba...»
La dottoressa Jane distolse lo sguardo dal prelievo di sangue che
stava effettuando sul dorso della mano di Selena. «Cormia, sai cosa potrebbe
avere-»
«Lei ha la malattia.»
Tutti si paralizzarono. Eccetto Cormia. L'Eletta corse al fianco
della sorella e accarezzò i capelli scuri di Selena, sussurrandole parole nell'Antico
Idioma.
«Quale malattia?» domandò la dottoressa Jane.
«La traduzione dall'Antico Idioma è grossomodo 'l'Arresto'.» L'Eletta
si asciugò gli occhi. «Lei ha l'Arresto.»
Trez sentì la propria voce fendere il silenzio. «Che cos'è?»
«Ed è trasmissibile?» intervenne Jane.
ok tutto bene grazie come al solito ci vediamo mercoledì ti dirò la storia si fa interessante ciao tvb
RispondiEliminaCaspita è già finito il capitolo, peccato. Grazie baci
RispondiEliminaNe vogliamo sempre di piùù!! Bravissima continua così!
RispondiEliminaMa grazie a tutte!
EliminaMa povero Trez! Grazie Christiana: sei fantastica! Susanna
RispondiEliminaPeccato che sia stato cosi corto, ma e stato bello e non vedo l'ora che continui, purtroppo so già alcune cose....:(
RispondiEliminaPS: Cristina sei bravissima !! complimenti