mercoledì 11 giugno 2014

Capitolo 10 di THE KING di J.R. Ward



The King

10

"... solo una di esse è un cambiamento rivoluzionario."

Mentre l'acqua nella doccia continuava a scorrere, il suono piacevole riverberava attraverso gli spogliatoi - e la testa di Wrath restava inclinata all'indietro: col pugnale contro la giugulare e una mano pesante stretta sulla treccia che scendeva lungo la sua schiena. Non poteva andare da nessuna parte.

Stringendo i denti, non sapeva se essere impressionato oppure se incoraggiare la lama affinché terminasse il lavoro.

Ma non aveva tendenze suicide. "Quali sono, Payne?" biascicò tra i denti.

La voce della femmina fu un basso ringhio proprio al suo orecchio. "Sappiamo entrambi che puoi liberarti se scegli di farlo. In un istante mi puoi sopraffare - la dimostrazione è stata più che esauriente in palestra."

"E la seconda?"

"Se l'ho fatto una volta, posso farlo di nuovo. E probabilmente la prossima volta non sprecherò il fiato cercando di provare che sono tua pari."

"Io sono il Re, lo sai."

"E io sono la figlia di una divinità, figlio di puttana."

Con quello, lo lasciò e fece un passo indietro.

Coprendosi i genitali, Wrath si voltò verso Payne. Non aveva mai visto le sue sembianze, ma gli era stato detto che somigliava a suo fratello, alta e potente. Sembrava avesse gli stessi capelli corvini e quei pallidi occhi di ghiaccio - e l'intelligenza era qualcosa che poteva giudicare da sé.

E, evidentemente, aveva anche le palle.

"Posso ucciderti," disse lei con durezza. "Quando mi pare. E non ho nemmeno bisogno di un'arma convenzionale. Sei più forte, certo - te lo concedo. Ma sono in grado di fare cose che tu neanche immagini."

"Allora perché non le hai usate?"

"Perché non voglio seppellirti in una tomba. C'è bisogno di te qui. Sei essenziale ai fini della razza."

Maledetto trono. "Quindi stai dicendo che ti saresti lasciata ammazzare in palestra?"

"Non mi avresti ucciso."

Oh, sì, stavo per farlo, pensò con disgusto verso se stesso. "Ascolta, Payne, possiamo girarci intorno per un anno e mezzo e non risolveremo niente. Non mi allenerò più con te. Mai."

"Sul serio ti aspetti che accetti un ragionamento basato sul mio sesso?"

"No, mi aspetto che rispetti il mio rapporto con tuo fratello."

"Non tirare in mezzo la stronzata della vecchia scuola con me. Sono adulta e ho un compagno. In alcun modo non permetterò che mio fratello abbia qualche diritto su di me -"

Wrath balzò in avanti. "Chi cazzo se ne importa. Vishous è mio fratello. Hai una vaga idea di cosa gli avrebbe fatto se ti avessi ucciso?" Si portò una mano alla testa. "Puoi scendere dal piedistallo per un secondo e provare a considerarlo? Anche se me ne sbattessi il cazzo di te, credi che glielo farei?"

Ci fu una pausa e lui ebbe la sensazione che Payne stesse per rispondere. Ma quando non sentì nulla, imprecò.

"E sì, hai ragione," disse evasivamente. "Tu combatti come un Fratello - e mi sono allenato con loro per anni, per cui lo so. Non sto interrompendo gli allenamenti perché sei una fottuta ragazza. È per lo stesso motivo per cui Qhuinn e Blay non possono lottare sul campo insieme, e perché Xhex, se mai decidesse di combattere con noi, non le sarebbe concesso di essere in squadra con John. È perché la dottoressa Jane non opererebbe tuo fratello oppure te. Si è troppo coinvolti in certe situazioni, mi capisci?"

Contro il rumore dell'acqua scrosciante, lui sentì che lei camminava intorno, i piedi nudi quasi silenziosi sul pavimento.

"Se tu fossi suo fratello invece di essere sua sorella, " disse Wrath, "sarebbe lo stesso. Il problema sono io, non tu - per cui fatti un favore e scendi dal pulpito femminista su cui sei salita. Mi sta annoiando."

Un po' rude, probabilmente. Ma aveva già dimostrato che essere civilizzato era fuori discorso per il momento.

Ancora silenzio. Fino a che Wrath quasi sollevò le mani in aria per la frustrazione - ma ricordò che non bisognava sfoggiare le sue bambinate.  "Andiamo, Payne. Apprezzo totalmente il tuo orgoglio nell'essere ferita. Ma ti voglio viva e vegeta più di quanto m'importi ferire i tuoi sentimenti."

Ci fu un altro lungo momento di silenzio. Ma non se n'era andata - riusciva a percepire la sua presenza quasi come la vedesse: era proprio sulla piastrella di fronte a lui, e si frapponeva tra lui e l'uscita.

"Pensi che non ti saresti fermato," disse lei rudemente.

"No." Wrath chiuse gli occhi, il rimorso che pungeva nel petto. "Lo so. E come ho detto, non ha niente a che fare con te. Ora ti prego, per l'amor di Dio, lascia perdere e fammi finire questa doccia."

Quando non ci furono più parole, Wrath percepì di nuovo il ribollire dentro di sé. "Che c'è?"

"Lascia che ti chieda una cosa."

"Non può aspettare fino a -"

"I Fratelli si allenano insieme, giusto?"

"No. Sono troppo occupati a prendere lezioni di lavoro a maglia nel tempo libero."

"Perché non si allenano più con te?" La sua voce divenne più bassa. "Perché non sei stato chiaro con loro? È cambiato dopo che sei salito al trono?"

"Dopo che sono diventato completamente cieco," sputò tra i denti. "È cambiato allora. Vuoi la data esatta?"

"Mi chiedo, se me ne andassi in giro far domande, se la gente sarebbe d'accordo con questa affermazione."

"Stai suggerendo che posso vedere?" Snudò le zanne. "Sul serio?"

"No, sto domandando se i tuoi fratelli sarebbero andati al tappeto per mano tua una volta messa la corona in testa. Ho la sensazione che la risposta sarebbe no."

"Adesso mi spieghi perché questo aspetto è rilevante," sbottò Wrath. "Perché l'altra opzione è vedermi perdere nuovamente il controllo - e entrambi sappiamo che divertimento è stato la prima volta."

Quando lei parlò, la sua voce era distante e lui ebbe la sensazione che si fosse spostata sotto l'arco che conduceva agli armadietti.

"Io credo che l'unico motivo per cui ci alleniamo insieme è perché sono una femmina." Quando Wrath aprì la bocca, lei lo precedette. "E penso che continueresti a combattere con me se fossi un maschio. Continua a ripeterti che riguarda mio fratello, va bene. Ma credo che tu sia più sciovinista di quanto pensi di essere."

"Fanculo, Payne. Davvero."

"Non litigherò con te. Perché non chiedi alla tua shellan, invece."

"Cosa?"

"Chiedile come si sente nel discutere con te."

Wrath colpì l'aria tra loro. "Esci fuori di qui. Prima di darmi una ragione per stringerti in un'altra dannata choke hold."

"Perché non vuole che tu sappia dove va quando lavori?"

"Chiedo scusa?"

"Le femmine non hanno segreti per i compagni che rispettano. E mi fermo qui, non dirò più niente. Ma cieco o no, hai bisogno di una più chiara visione di te stesso."

Wrath marciò in avanti sul pavimento bagnato. "Payne. Payne! Torna subito qui, in questo fottuto istante!"

Invece stava litigando con se stesso.

La femmina l'aveva lasciato da solo.

"Caaaaaaaaaaaazzo!" urlò a pieni polmoni.


*    *    *


Caaaaaaaaaaaazzo, pensò Trez quando ricominciò a respirare.

Riprendersi da un'emicrania era l'esatto contrario di un atterraggio morbido per ritornare cosciente. Di solito la prescrizione era cibo e l'attuale riposo - perché quella merdaccia sapeva che anche se ti trovavi in una stanza buia con nient'altro che il programma radiofonico Howard 100 all'iPhone, non riuscivi a metterti d'accordo con l'omino del sonno.

Eppure in quell'istante stava seriamente prendendo in considerazione anni di ritorno suoi propri passi e di errori. Quando la porta si chiuse alle spalle del fratello e Trez restò solo con l'Eletta Selena, ogni singola cellula del suo corpo cominciò a vibrare.

Oh, cavolo, doveva accendere una lampada col pensiero, anche se era un po' presto per le sue retine affrontare una vera luce -

Salve, dea.

Selena era alta, e anche se indossava la tradizionale tunica bianca del suo rango, era chiaro che il fisico fosse proprio come una donna dovrebbe essere: nulla appesantiva le sue curve, nemmeno il tessuto drappeggiato. E quando si parla di volti stupendi. Aveva labbra rosa e occhi azzurro chiaro, i lineamenti perfettamente simmetrici e disegnati per catturare lo sguardo di un maschio. E poi c'erano i capelli. Lunghi, spessi e scuri come la mezzanotte, che portava acconciati come lo stile delle Eletta, tutti avvolti alla sommità della testa.

Tutto ciò a cui riuscivi a pensare era di scioglierli e passarci le dita in mezzo.

Era perfetta da ogni punto di vista.

E non gli avrebbe dato tempo di giorno.

Il che rendeva la sua apparizione in quella camera con tutto il proprio carico di merda ancora più notevole.

"Sei stato gravemente malato," disse lei con dolcezza.

Trez strinse gli occhi. Quella voce. Merda, quella voce.
Aspetta, lei voleva una risposta, vero? Cosa aveva - "Naaa. Sto benissimo. Davvero."

Ed era duro come una roccia, fanculo a lui, sul serio. Dio, sperava che non avvertisse l'odore della sua eccitazione.

"Come posso aiutarti?"

Umm... che ne dici di lasciar cadere a terra quella tunica e saltare su questo letto? Dopodiché potrai cavalcarmi come un pony fino a sfinirmi?

"Può interessarti un po' di cibo?"

"Quale cibo?" borbottò lui.

"Tuo fratello ha preparato questa borsa."

È forse entrato qui, il bastardo? si chiese.

"Gli hai appena chiesto di andarsene."

Credo di sì. "Oh, sì. Giusto."

Trez si allungò sui cuscini e sobbalzò. Mentre si massaggiava le tempie, sentì che lei si avvicinava al letto - e con un gesto veloce, afferrò il pesante piumone e se lo tirò sulla pancia.

A volte "nudo" significava molto più che "non indossare vestiti."

Cavolo, l'espressione sul volto dell'Eletta era così preoccupata. Al punto che  dovette costringersi a ricordare che in passato lo aveva snobbato. Cosa che aveva realmente fatto.

Già, difettoso come la sua memoria a breve termine - almeno quando si trattava di cose tipo suo fratello che era nella stanza - che ricordava con esattezza  dove lui si trovava quando aveva visto questa femmina l'ultima volta... al pari dello scarso entusiasmo mostrato da parte di lei nei suoi confronti.

Ricordava con precisione anche come era venuto a conoscenza di lei. Aveva sentito il suo nome non appena Phury aveva liberato le Elette dal Santuario della Vergine Scriba e Selena, insieme alle altre, era andata a vivere nella proprietà che Rehvenge possedeva sulle Adirondack. L'aveva vista di tanto in tanto, ma Rehv si era trovato nei casini e lui era stato distratto.

Tuttavia, era passato. E lui e iAm erano andati a stare da poco alla magione su richiesta di Rehv - e lì l'aveva incontrata davvero, faccia a faccia.

Okay, c'era stato iAm con lui ma aveva potuto benissimo toglierselo dalla mente. Inoltre, nel momento in cui aveva visto quella femmina aveva dimenticato il proprio nome, gran parte del vocabolario inglese e il settantacinque per cento del suo senso di equilibrio.

Istantanea. Cosmica. Attrazione.

Almeno da parte sua.

Lei non era una fulminata, naturalmente - sebbene lui avesse delle speranze. E tendenze persecutorie. Nella settimana precedente, si era aggirato nella magione per diverse notti di fila, per poterla vedere nel mezzo di una delle sue visite per servire la Confraternita. Perché, ehi, nulla diceva "Voglio uscire con te," come causa di un ordine restrittivo.

Se fosse stato fortunato avrebbe potuto "imbattersi in lei." Da buon coglione, le aveva detto che era bellissima - e non con una battuta verso un'estranea. Intendeva proprio ciò che aveva detto. Sfortunatamente, e a differenza delle innumerevoli donne umane con cui si era intrattenuto, non ne era stata impressionata.

E quindi, perché quella visita?

Non che volesse porsi il problema di quella domanda nell'immediato.

"Cosa posso fare per te?" esclamò lei. E, diamine, la preoccupazione seria lo fece vergognare.

"Ah... al momento una di quelle bottiglie di Coca Cola, per favore."

Oh, sììììì, il modo in cui si muoveva mentre andava verso quella busta che aveva appoggiato per terra. Così fluido e uniforme, i fianchi si muovevano sotto la tunica, le spalle controbilanciavano, il suo...

Spostò gli occhi dalle sue attività posteriori.

Anche se, incredibile.

Quando lei si avvicinò al letto, lui si spostò al centro del materasso, sperando che non si sedesse. Non lo fece. Si chinò in avanti, porgendogli la bottiglia di plastica. Poi indietreggiò di un passo, tenendo una distanza rispettosa.
La bevanda emise un sibilo quando svitò il tappo.

"Per favore, dimmi cosa ti affligge."

Selena teneva le mani di fronte a lei e le torceva, le strizzava l'una con l'altra.

"Solo un'emicrania." Trez prese una lunga sorsata dalla bottiglia. "Cavolo, è fantastica."

Anche la vista era migliorata.

"Che cos'è?"

"Coca Cola." Trez si fermò prima di sorbire un secondo sorso della bevanda, quando capì che a cosa si stava riferendo. "Un'emicrania è un tipo di mal di testa. Nulla di eccezionale."

Beh, a parte il fatto che nelle ultime dodici ore si era sentito uno schifo.

I suoi bellissimi occhi si strinsero. "Se non è nulla di preoccupante, perché tuo fratello era così inquieto?"

"Lui è così. Un isterico." Trez chiuse le palpebre e beeeeevve. E di nuovo. "È il nettare dei dèi, sul serio."

"Non ho mai pensato a lui in questo modo. Naturalmente tu lo conosci meglio di me."

Quando Selena iniziò a gironzolare, lui desiderò che lei fosse almeno in parte interessata al suo petto completamente esposto: non era presuntuoso, ma di solito le femmine che lo guardavano non distoglievano lo sguardo.

"Non preoccuparti, starà bene," borbottò. "E anch'io."

"Ma sei stato chiuso qui dentro tutto il giorno - da quando sei tornato a casa la notte scorsa."

Stava per incazzarsi sul serio con se stesso quando pensò... aspetta un momento. "Come fai a saperlo?"

Il fatto che lei avesse distolto velocemente lo sguardo lo fece sedere un'altra volta.

"Tuo fratello ne ha parlato al piano inferiore."

Ne dubitava. iAm parlava di rado con le persone a meno che non dovesse farlo.

Quindi lei doveva averlo cercato. Giusto?

Trez abbassò le palpebre. "Ehi, ti spiace sederti qui - trovo difficoltà a guardare in alto."

Bugiardo.

"Oh, certamente."

Beeeeene.

Mentre lei si sistemava la tunica una volta seduta, lui sapeva di approfittarne, ma andiamo. Aveva passato un bel po' di tempo sdraiato sul pavimento di fronte alla tazza del gabinetto soltanto poche ore prima.

"Sei sicuro di non aver bisogno di un guaritore?" chiese lei, i suoi occhi lo ipnotizzarono al punto che le guardava chiudere le palpebre, le lunghe ciglia che salivano e scendevano. " E sii sincero questa volta."

Oh, lui voleva raccontarle una verità, ovviamente. Ma non c'era motivo per comportarsi da idiota.

"È solo un mal di testa che dura più a lungo. Davvero. E ne soffro da quando sono diventato adulto - mio fratello non ne soffre, ma ho sentito che ne soffriva mio padre. Non è proprio una passeggiata, ma nulla che possa ferirmi."

"Tuo padre è mancato?"

Trez irrigidì il viso per assicurarsi di non mostrare alcuna emozione. "È ancora vivo e vegeto. Ma per me è morto."

"Per quale ragione?"

"È una lunga storia."

"E... ?"

"Niente. Troppo lunga e troppo complicata."

"Avevi altri piani per questa sera, allora?" Questa frase venne detta come una piccola sfida.

"Ti stai offrendo di farmi compagnia?"

Lei abbassò lo sguardo sulle mani. "Questa... lunga storia che riguarda i tuoi genitori. È questo il motivo per cui non hai un cognome?"

Come faceva a saperlo... ?

Trez iniziò a sorridere ed era una buona cosa che lei stesse evitando i suoi occhi o avrebbe visto il suo sorriso a trentadue denti.

Qualcuno stava senza alcun dubbio raccogliendo informazioni su di lui - ed era dannatamente interessante.

E riguardo al cognome? "Quello è un falso. Lavoro nel mondo umano e avevo bisogno di una copertura."

"Che tipo di lavoro svolgi?"

Trez aggrottò la fronte, immaginando l'interno del suo club - e poi l'interno del bagno che aveva usato come casa della scopata per quante volte?

"Niente d'importante."

"Allora perché lo fai?"

Lui prese un'ultima sorsata dalla sua Coca Cola e guardò nel vuoto. "Chiunque ha avuto modo di essere da qualche parte."

Dio, non voleva parlare di quella parte della sua vita - al punto in cui lei doveva andarsene perché la conversazione era terminata, bene. Come un lampo, la lunga successione di immagini di lui che faceva sesso con donne umane balenò davanti ai suoi occhi, prendendo il posto di Selena fino a che non riuscì più a percepire il suo odore.

Per le Ombre, il corpo era un'estensione dell'anima - una realtà forse ovvia, ma di fatto, molto più complicata nel modo in cui la intendeva la s'Hisbe. In pratica, ciò che facevi al tuo corpo, come lo trattavi e lo accudivi - o non te ne curavi - era trasmutato direttamente al tuo nucleo interno. E se il sesso era di conseguenza l'atto più sacro della forma corporea, non doveva mai essere intrapreso con leggerezza, e di sicuro mai e poi mai con sporche, disgustose umane - specialmente quelle dalla pelle pallida.

Per le Ombre la pelle pallida equivaleva a una malattia.

Ma le regole non si limitavano alla razza degli Homo Sapiens. Fare l'amore era totalmente ritualizzato nel Territorio. Il sesso era programmato tra le coppie, o le metà, come venivano chiamati, pergamene formali venivano scambiate nei corridoi rivestiti di marmo, acconsentendo a richieste e passando attraverso una serie di direttive prescritte. E quando tutto era a posto? 

L'atto non veniva consumato durante le ore diurne, e mai e poi mai senza aver prima subìto il rituale del bagno. Veniva anche annunciato a tutti quanti, uno striscione speciale veniva appeso sulla porta della camera, un modo raffinato per dichiarare che, a meno che la casa non andasse a fuoco o qualcuno avesse un'emorragia arteriosa, non sarebbero stati ammessi disturbi fino a che uno o entrambi i membri coinvolti non uscissero da lì.

La controparte a tutti quegli ostacoli? Quando due metà si univano, poteva durare per giorni.

Oh, neanche la masturbazione era ammessa. Era considerata uno spreco nella comunione del gesto.

Per cui, sì, la sua gente non avrebbe soltanto aggrottato la fronte a causa della sua vita sessuale; quegli individui l'avrebbero toccato con delle pinze da barbecue mentre indossavano una tuta antiradiazioni e una maschera da saldatore. Aveva scopato delle donne alle undici del mattino, tre nel pomeriggio e mooooolto prima di cena.

Le aveva prese in posti pubblici e sotto i ponti, nei club e nei ristoranti, nei bagni e in squallide camere d'albergo - e nel suo ufficio. Forse solo nella metà dei casi aveva conosciuto i loro nomi, e di quell'immenso gruppo, poteva ricordarne uno su dieci.

E solo perché si erano comportate stranamente o gli avevano ricordato qualcos'altro.

E riguardo al discorso della pelle bianca? Lui non aveva fatto discriminazioni. Si era fatto tutte le razze di umane, qualche volta nello stesso momento. L'unico settore che non si era scopato, o da cui non si era fatto succhiare l'uccello, era stato quello maschile, ma solo perché non ne era stato attratto.

Se lo avessero attratto, se li sarebbe fatti.

Suppose che non tutto era perduto. Le Ombre non credevano nei rimedi e aveva sentito parlare di rituali purificanti - ma c'era solo un tizio che poteva riparare a quel danno.

L'ironia della storia, naturalmente, era che lui aveva sentito un ripugnante orgoglio nel rovinare se stesso per quanto poteva. Infantile, certo, ma era come se avesse mostrato il dito medio alla tribù e a tutte le loro ridicole stronzate - specialmente la figlia della regina, tutti credevano lui dovesse sbrigarsi a fare la cosa giusta e nel modo corretto per il resto della sua vita.

Anche se non l'aveva mai incontrata, non gli interessava diventare un giocattolo sessuale, e non voleva offrirsi volontario per essere rinchiuso in una gabbia dorata.

Ma era curioso.  A scapito di tutto ciò che odiava delle tradizioni in cui era nato, riuscì finalmente a scorgere uno scopo in esse: eccolo lì, fluttuando in uno stato da post emicrania, entro una distanza di bacio con una femmina che moriva dalla voglia di prendere. E sai cosa? Tutta quella ribellione di cui si compiaceva così tanto, lo fece sentire sporco e assolutamente inutile.

Non che la situazione attuale potesse mai verificarsi con Selena - lui era una puttana, ma non un visionario.

Merda.

Con un gemito, si lasciò cadere nuovamente sui cuscini. A dispetto della Coca Cola e del suo carico di zuccheri e caffeina, si sentiva fottutamente esausto.

"Perdonami," mormorò l'Eletta.

Non dire che devi andartene, pensò Trez. Anche se non lo merito in nessun senso, per favore, non lasciarmi -

"Hai bisogno di nutrirti?" chiese lei in tutta fretta.

Trez restò a bocca aperta. Di tutte le cose che si era preparato a sentire... Neanche. Lontanamente.

"Forse ho esagerato," disse lei, abbassando le palpebre. "È che sembri davvero provato... e a volte nutrirsi aiuta parecchio."

Porca... troia.

Non sapeva dire se aveva vinto la lotteria... o se era stato condannato a morte.

Ma il suo uccello sobbalzò di desiderio, e il sangue gli ruggì nelle vene, la parte dignitosa di lui che aveva a lungo seppellito parlò con calma, ma in maniera profonda.

No, disse. Né ora, né mai.


La domanda era... chi avrebbe vinto la sfida dentro se stesso, l'angelo o il diavolo?

10 commenti:

  1. Chris, sempre grande! Grazie infinite per le tue traduzioni! Mi sa che non riusciremo mai abbastanza a dimostrarti quanto apprezziamo il tuo lavoro. Quanto meno io. Lo apprezzo davvero tantissimo e mi piacciono molto anche le cose che scrivi tu. Continua, talentuosissima Chri! =)
    Un bacione, Ross =)

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    1. Dolcissima Ross, grazie infinite a voi, x tutto!!!

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  2. Grazie infinite per le tue traduzioni..non posso aspettare che esca il libro!!!

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  3. grazie per le traduzioni continua così speriamo che presto esca il libro.

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  4. Wooow non avevo mai apprezzato Wrath come in questi primi capitoli di The King - rispetto ai fratelli era per me quello con meno attrattive - ma qui ne sta uscendo un uomo affascinante che mi piglia di brutto �� grazie mia cara e talentuosa Chris - un abbraccio Adele

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  5. Che belle che siete... tutte!!!! Grazieeeee

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  6. Grazieeeee...grazieeee come sarebbe tutto più triste senza teeee....(sembra una canzone). Cri

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  7. Ho fatto il mio commento su amazon per il tuo bel libro...su amazon però sono solo maria....così è più corto.... Baci....spero di essere stata chiara...non è facile descrivere le emozioni che un libro suscita in te..ciao

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  8. La sorellanza è una gran bella cosa ... soprattutto quando l'Eletta Chris ci dona un nuovo capitolo della saga. Bacioni

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