mercoledì 24 giugno 2015

Capitolo 12 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 12


SCUOLA FEMMINILE BROWNSWICK, CALDWELL, NEW YORK


Denzel aveva proprio ragione in American Gangster.
I migliori spacciatori erano buoni uomini d'affari. E non serviva essere laureato ad Harvard per esserlo.

Mr. C, il Forelesser della Lessening Society, non aveva un cazzo a che vedere con una stronzata di pezzo di carta incorniciato su un muro. Ma lui era nato e cresciuto per le strade ed era dannatamente in gamba a piazzare la roba.

Mentre calava il tramonto attraverso le finestre rotte dell'ufficio, aveva continuato a sistemare il contante, le pile di biglietti da venti cenciosi tenuti insieme con gli elastici che aveva rubato dal settore fotocopiatrici nell'ufficio della FedEx. Poteva non sembrare tanto, ma era qualcosa che di solito andava storto nei film.

Mr. C si chinò e il pugno stretto su un'altra manciata di Andrew Jacksons spiegazzati e macchiati venne fuori dalla borsa Hefty sul pavimento. I suoi uomini erano tenuti a svuotare le loro tasche ogni alba lì nell'ufficio del preside, e anche se gli ci fosse voluto tutto il giorno, nessuno lo avrebbe aiutato a contare.

A questo punto, dopo circa un anno di affari, aveva più o meno un centinaio di spacciatori che lavoravano per lui, il numero oscillava su e giù a seconda di come i suoi sforzi nel reclutare uomini tenevano il passo con l'efficienza nell'uccidere della Confraternita del Pugnale Nero. La sua idea per mettere la Lessening Society tutta in un unico luogo, in questa defunta scuola privata, era stata intelligente. Poteva addestrare gli assassini come un'unità militare, farli alloggiare insieme, far seguire loro un programma prestabilito, monitorando ogni respiro e ogni vendita personalmente.

C'era un fottuto botto di ricostruzione da fare.

Subito dopo che l'Omega gli si era presentato elevandolo a Forelesser, aveva realizzato che quella promozione era una vera merda. La Society non aveva soldi. Niente armi vere o munizioni. Nessun alloggio. Nessuna organizzazione e nessun piano. Tutto era diverso ora: un'insolita, difficile alleanza aveva risolto il primo problema, e si stava occupando anche del secondo e del terzo. Il quarto toccava a lui.

A questo punto, tutto quello che doveva fare era continuare a guadagnare con quella merda. Assicurarsi che i suoi uomini stessero in riga. Tracciare il movimento del denaro. Iniziare la raccolta di alcuni giocattoli di guerra. Possibile che in passato avesse usato le armi?

Stava per fare a pezzi la Confraternita del Pugnale Nero, e passare alla storia come quello che aveva finalmente portato a termine quel fottuto lavoro.

Mr. C terminò il conteggio proprio quando l'ultimo fascio di luce veniva risucchiato dal cielo ormai scuro. 

Tirandosi in piedi, indosso le due calibro 40 e mise le mazzette di contanti in un borsone. Il totale era di quattrocentomila dollari.

Non male per 48 ore di lavoro.

Quando uscì non chiuse nulla, non vi era alcun motivo per chiudere a chiave niente, perché si poteva accedere da qualsiasi direzione. L'ufficio del preside aveva le finestre che parevano dei setacci e le porte che ciondolavano dai cardini, e su grande scala, i terreni decrepiti di quel collegio putrido erano in linea con la recinzione in ferro con più sezioni rotte di quelle che stavano in piedi.

Cosa teneva la gente lontana?

Gli assassini che gironzolavano sulla proprietà costantemente, sentinelle il cui unico compito era fare fuori chi si avvicinava troppo.

La buona notizia? Si vociferava che quel posto fosse infestato, così quando quegli stronzi di punk quindicenni avevano cercato di entrare a curiosare, un paio di trucchi dell'Omega si erano occupati di quel piccolo problema. Come gratifica, ai suoi ragazzi piaceva far cagare sotto quegli idioti, ed era di sicuro meglio che uccidere le puttane. I cadaveri erano una gran rottura di coglioni, e lui non voleva che la polizia umana fosse coinvolta.

Dopotutto, c'era una sola e unica regola nella guerra contro i vampiri: gli esseri umani non erano i benvenuti alla festa.

Una volta fuori, Mr. C salì nella Lincoln Nav nera dai vetri oscurati e svoltò sull'immobile erba passata a miglior vita. Nella penombra, riusciva a percepire i suoi ragazzi in movimento sul terreno anche se non poteva vederli, la eco del sangue dell'Omega era meglio di chip GPS infilato su per i loro culi.

Quindi, sì, sapeva che uno dei suoi era stato fatto fuori la sera precedente. Aveva percepito la morte come una scossa sotto la sua pastosa pelle bianca. Dannata Confraternita. E il coglione che era stato fatto a pezzi aveva addosso contanti e droga, per cui era una perdita netta di almeno cinquemila bigliettoni.

Tutte le sere, aveva dai venti ai venticinque spacciatori per le strade alla volta, ognuno dei quali copriva turni di quattro ore. I turni erano cruciali. Bastavano non più di duecentoquaranta minuti e gli assassini avevano troppa roba addosso, troppo da perdere se venivano beccati dalla polizia, derubati, o uccisi dalla Confraternita.

Troppo perché il suo brillante piano avesse fine.

Aveva imparato a gestire affari dalle retrovie durante il giorno, quando era ancora umano e bazzicava la strada, cercando di farsi un nome.

E per dire tutta la verità, era il fottuto Omega ad avere bisogno di lui. Non il contrario.

Il percorso che prese per arrivare al suo fornitore era diverso ogni volta, ed era ben attento a controllare qualsiasi auto alle sue spalle nel caso fosse seguito dalla polizia o da quelli della ATF. Allo stesso tempo, non vi era alcuna comunicazione telefonica con il suo grossista - le attrezzature tecnologiche avanzate in dotazione agli agenti locali e federali rendeva quella merda troppo rischiosa. I piani venivano fissati o cambiati durante l'incontro, e se entrambe le parti non si presentavano all'appuntamento, in base a un accordo stabilito in precedenza essi sapevano quando e dove rincontrarsi.

Nessuno dei suoi uomini conosceva l'identità del suo fornitore, e lui aveva bisogno che fosse così. Era arrivato doveva voleva ormai - ultima cosa che desiderava era che qualcuno cercasse di accopparlo.

E il fatto che il suo grossista fosse un vampiro?

Merda, era uno spasso.

Lo scambio di questa settimana era stato programmato per 90 minuti dopo il tramonto, vicino, ma non troppo, alla cava. Gli ci vollero buoni 45 minuti di autostrada per avvicinarsi, e poi si proseguì a passo di lumaca. La strada che attraversava il parco di mille ettari era l'unica ed era battuta come un percorso abbandonato dalle capre, e mantenuto trafficabile come una casa diroccata. Gli alberi e il sottobosco soffocavano i bordi, trasformandola in un tunnel, e segnali di avvertimento della laguna brillavano alla luce dei fari.

Li spense dopo circa centoottanta metri. Come i suoi fornitori, aveva un SUV modificato per muoversi nell'oscurità, e ai suoi occhi ci volle solo secondo per abituarsi.

Grazie, Omega.

Il bivio che stava cercando si presentò a un quarto di miglio sulla sinistra, e lui affrontò il sentiero sterrato ancora più lentamente. In passato, quando era un essere umano e spacciava quella merda, il suo cuore aveva sempre battuto in fretta mentre si avvicinava. Ora, non solo non aveva più alcuna attrezzatura cardiaca nel petto, ma non c'era modo di provare un minimo di eccitazione. Grazie alle modifiche effettuate al suo telaio da parte del capo e al lavaggio del cervello, poteva gestire qualsiasi situazione con o senza di risorse tradizionali come pistole e munizioni.

Per cui naaaaa, non era preoccupato. Neanche se quasi un milione di dollari era in procinto di passare di mano tra i due elementi criminali.

Quando finalmente arrivò al posto prestabilito, la Range Rover del suo "partner" era già nella radura tozza, aveva schiacciato gli alberelli e i cespugli nel sistemare l'auto con il muso in avanti per potersene andare subito. 

Quando raggiunse col suo lato guida quello dell'altro mezzo, entrambi abbassarono i finestrini.

Il vampiro che gestiva l'importazione della merce somigliava davvero a Dracula: capelli neri pettinati all'indietro, occhi come il mirino laser su una Glock, bocca piena di zanne, e sprigionava un'aura come se gli piacesse ferire la gente.

Il suo cervello funzionava come quello di Mr. C, comunque.

«Quattrocento» esclamò Mr. C, afferrando il borsone.
Lo tenne sospeso fuori dal finestrino, il vampiro lo prese e lo scambiò con uno identico. «Quattrocento.»

«Quarantotto?»  chiese Mr. C.

«Quarantotto. Uno quarantanove e quaranta?»

«Al tramonto. Novanta.»

«Al tramonto. Novanta.»

Richiusero i finestrini nello stesso istante e il vampiro diede gas, andandosene a luci spente.

Mr. C effettuò la stessa inversione e lo seguì; nell'attimo in cui raggiunsero il manto asfaltato, il fornitore svoltò a sinistra e lui a destra.

Nessun testimone. Nessuna complicazione. Tutto perfettamente sincronizzato.

Per essere due nemici conclamati ai lati opposti di una guerra andavano dannatamente d'accordo.



*    *    *



Abalone, figlio di Abalone, si materializzò davanti a una casa storica in uno dei quartieri più ricchi di Caldwell.

Questa era la duecentosettantunesima sera che si presentava in quella magnifica villa.

Era da stupidi contarle, naturalmente, ma lui non poteva farne a meno. Con la sua shellan che aveva raggiunto le porte del Fado e sua figlia in procinto di essere presentata alla glymera per un futuro matrimonio, la sua posizione come Primo Consigliere per Wrath, figlio di Wrath, era l'unico anniversario che non vedeva l'ora di festeggiare.

Non c'era notte che non fosse orgoglioso di essere all'altezza del retaggio di suo padre nel servire il trono.
O almeno questo era il caso tipico. Per la prima volta, tuttavia, si sentiva come se stesse deludendo sia il suo genitore che il suo Re.

Avvicinandosi alla porta d'ingresso, deglutì e armeggiò con la chiave di rame che la Confraternita gli aveva dato quasi un anno prima. Mentre entrava nel palazzo, prese un profondo respiro e sentì l'odore di olio per mobili di legno Murphy, cera d'api e limone.

Era il profumo della ricchezza e della distinzione.

Il Re doveva ancora arrivare, e Abalone tirò fuori il suo cellulare e si assicurò di non aver perso qualche chiamata. Nessuna. Quelle tre volte che aveva chiamato Wrath lasciandogli dei messaggi vocali non avevano ricevuto risposta da parte del Re.

Incapace di rimanere fermo, entrò nel salone a sinistra con le decorazioni giallo pallido, il dipinto a grandezza naturale di un re francese, e le sedie restaurate da poco allineate lungo le pareti come se fosse una sala d'attesa di uno studio medico di lusso. Si avvicinò al suo computer sulla scrivania vicino l'ingresso, non riuscì a sedersi.

Wrath aveva ripristinato la venerabile tradizione di tenere udienze con i civili, e ciò che per lungo tempo era stato un vitale collegamento tra i governanti della Razza e il loro popolo si era evoluto in un curioso mix di vecchio e nuovo. Gli appuntamenti adesso erano stilati da un testo e una e-mail. Le conferme erano inviate nello stesso modo. Le richieste venivano catalogate in un foglio Excel che poteva essere ordinato in base alla data, all'emissione, alla famiglia, o alla risoluzione. Gli statuti delle Leggi Antiche potevano essere cercati allo stesso modo non sotto forma di tomo, ma come parte di un database realizzato grazie al Saxton.

L'interazione faccia-a-faccia, tuttavia, rimaneva invariata e antica, nient'altro che il soggetto e il Re, comunicavano in privato riaffermando così quel legame importante e il rafforzamento del tessuto della Razza.

Abalone aveva creato, e continuava a gestire, il nuovo registro per le procedure moderne, e il sistema si stava dimostrando inestimabile. Con il volume di richieste sempre crescente, tuttavia - il numero era più che quadruplicato solo negli ultimi tre mesi - stava cominciando a essere subissato dal lavoro di ufficio e dalla programmazione.

I ritardi erano inaccettabili, una mancanza di rispetto sia per Wrath che per i firmatari.

Di conseguenza, stava diventando evidente che aveva bisogno di aiuto. Lui, però, non aveva nessuna idea di dove trovarlo.

La fiducia era un problema. Aveva bisogno di qualcuno in cui poter riporre fede assoluta.

Il guaio era che non sapeva da dove cominciare la ricerca - soprattutto perché le uniche persone che conosceva erano aristocratici e la glymera non solo era stata la fonte delle trame ordite che avevano quasi detronizzato Wrath, erano stati anche privati dei loro diritti e del loro potere politico.

Sarebbe stata una follia assumere i dissidenti che erano magicamente scomparsi.

E questo era solo uno dei motivi per cui l'apparizione non gradita di Throe alla sua porta di casa all'alba era stata così inquietante.

Sforzandosi di concentrarsi sul lavoro, Abalone stampò i sommari della serata e poi andò nell'improvvisata sala del trono per controllare che tutto fosse come doveva essere. Lo era. Lo spazio che precedentemente veniva usato per pranzare adesso era adibito alle udienze con Wrath - ma, era tipico del Re, nessuna ostentazione. Non c'erano sedie dorate, né mantelli di ermellino né drappi di velluto, neanche tappeti pregiati. Solo un numero di poltrone poste una di fronte all'altra davanti a un camino che sprigionava fiamme allegre in autunno e in inverno, e sfoggiava fiori freschi colti dal giardino durante la primavera e l'estate.

I ciocchi erano già stati sistemati, lui si avvicinò e li accese.

Il vero trono, quello su cui il padre di Wrath era solito sedersi, e suo padre prima di lui, e suo padre prima ancora, era stato trasferito alla magione della Confraternita. O almeno questo era quello che Abalone aveva sentito. Non era mai stato al complesso segreto e non aveva alcun interesse nel conoscerne la posizione oppure a visitarne la struttura.

Alcune informazioni erano troppo pericolose e non valeva la pena di esserne a conoscenza.

E alla fine, quella era l'unica ragione per cui non aveva sbattuto fuori a calci il cugino a metà giornata quando era divenuto ovvio che il Re era irraggiungibile.

E se Throe avesse eliminato Abalone? Il maschio non avrebbe avuto alcuna informazione, nulla che potesse danneggiare Wrath o la Confraternita. Questa struttura veniva sorvegliata dai Fratelli ogni volta che Wrath era in sede, e il Fratello Vishous aveva insistito sull'installazione di vetro antiproiettile, pannelli ignifughi, maglia d'acciaio intorno alla sala da pranzo e alla cucina, e altre misure di sicurezza che Abalone poteva solo tirare a indovinare.

Questa residenza adesso era fortificata come Fort Knox.

Lui non temeva la Banda dei Bastardi quando si trovava  qui. O la Lessening Society.

Inoltre, Throe si era semplicemente ritirato in una camera per gli ospiti e si era addormentato come se avesse bisogno di rimettersi da una ferita mortale. Una volta superata la minaccia, avrebbe rappresentato un problema come un qualsiasi altro ospite.

Tuttavia.

Mentre i minuti passavano, Abalone camminava intorno alla camera delle udienze -

«Tutto bene?»

Abalone si voltò così velocemente che i mocassini Bally scricchiolarono sul pavimento lucido. «Mio Signore...!»

In qualche modo Wrath era riuscito non solo a entrare in casa, ma anche nella stanza, senza far rumore - e non per la prima volta, Abalone provò soggezione nei confronti del maschio. Il Re era alto quasi 2 metri e 20 ed era ampiamente muscoloso, la sua natura di guerriero gli donava una presenza fisica che faceva venir voglia di mettere le mani sulla propria testa e sottomettersi pur di togliersi di mezzo. Con i capelli neri che scendevano dall'attaccatura giù fino ai fianchi e le lenti a mascherina nere che nascondevano gli occhi ciechi al mondo, ma non alla sua amata regina, egli era sia aristocraticamente bello che brutalmente autoritario. E poi c'erano le rappresentazioni tangibili della sua posizione elevata: l'anello di diamante nero sul dito medio della mano che brandiva il pugnale, e i fitti tatuaggi della sua stirpe che correvano lungo l'interno degli avambracci.

Il maschio era sempre scioccante, non importava quante ore Abalone trascorresse in sua presenza. Ma sembrava particolarmente vero in una notte come questa.

Il Re si chinò e liberò il cane guida, George, dal guinzaglio, e poi guardò da sopra la spalla. «Butch? Dammi un minuto qui, ti spiace?»

«Certo.»

Il Fratello con l'accento di Boston chiuse le porte scorrevoli e i pannelli si bloccarono. In tutta onestà Abalone poteva dire di non aver mai pensato che egli stesso avrebbe richiesto un'udienza con il suo sovrano.

Le narici di Wrath si dilatarono. «Hai qualcosa in mente.»

Per qualche ragione, Abalone si sentì come prostrato. «Ho provato a mettermi in contatto con voi, mio ​​Signore.»

«Sì, lo so. Stavo trascorrendo un raro giorno di libertà giù a Manhattan con la mia shellan. Non ho ricevuto i messaggi fino a circa cinque minuti fa. Ho presunto che, qualunque cosa fosse, avremmo potuto parlarne faccia a faccia.»

«Sì. Certo.»

«Allora, cosa succede?»

Santissima Vergine Scriba, questo doveva essere quello che si provava a essere infedele alla propria compagna, pensò Abalone. «Io...»

«Di qualunque cosa si tratti, puoi parlare. E ce ne occuperemo.»

«Io, ah, questa mattina ho ricevuto una visita appena prima dell'alba. Un mio cugino.»

«E non è una buona notizia?»

«È... Throe.»

Invece di indietreggiare o imprecare, il Re si lasciò sfuggire una risatina - un po' come un grande felino che fa le fusa quando gli si presenta la prospettiva di un pasto. «Un affare complicato. Non mi avevi detto che era un tuo parente.»

«Non lo sapevo. Ho ricevuto una chiamata da un cugino di terzo grado. Credo che la parentela sia avvenuta attraverso il matrimonio. Se ne avessi avuto una pallida idea-»

«Non preoccuparti. C'è poco da fare con cosa si trova nel vostro albero genealogico.» Le narici vibrarono ancora una volta. «Immagino non fosse il benvenuto in casa tua, vero?»

«No, mio ​​Signore. L'ho fatto entrare solo perché ha offerto informazioni sulla Banda dei Bastardi. Egli afferma di averli abbandonati e di essere pronto a rivelare il luogo in cui vivono, le strategie, le posizioni.»

Il Re sorrise, rivelando zanne lunghe come pugnali. «Allora di sicuro voglio incontrarlo.»

Abalone cedette al suo istinto, si avvicinò e si abbassò sul sobrio pavimento di legno. «Mio Signore, dovete sapere che-»

Il Re mise la mano sulla spalla di Abalone, e quel palmo era talmente grande che sembrava inghiottire l'intero torso di Abalone. «La tua lealtà è rivolta a me e a me soltanto. Posso sentirne l'odore. Riesco a percepirla. Nessun senso di colpa. Lui è a casa tua ora?»

«Sì.»

«Allora andrò da lui.»

«Non vuoi inviare un incaricato piuttosto?»

«Non ho niente da nascondere, e io non ho paura di lui o di Xcor e della sua piccola banda di ragazzine. Hanno cercato di uccidermi una volta, ricordi? Non ha funzionato. Hanno provato a detronizzarmi. Eppure sono ancora qui. Col cazzo che possono toccarmi.»

Come se Wrath potesse leggere nel pensiero, allungò la mano con il diamante nero, e Abalone afferrò ciò che gli era stato offerto, premendo le labbra sulla pietra sacra riscaldata dalla carne del grande uomo.

«Butch» gridò Wrath. «Chiama la Confraternita. Abbiamo una visita da fare.»

Il Fratello rispose dietro i battenti chiusi mentre il Re abbassava il viso, come se potesse guardare negli occhi di Abalone. «Ora, Primo Consigliere, desidero che rinvii le prime due ore di udienza.»

«Sì, mio ​​Signore. Subito.»

«E poi andiamo a casa tua.»


«Ai vostri ordini, mio ​​Signore. Qualunque cosa comandate.»

martedì 16 giugno 2015

Capitolo 11 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 11



Selena divenne a poco a poco consapevole di non essere più al Santuario. Tuttavia non riconosceva il posto in cui si trovava: il suo cervello era lento nell'elaborare sia i segnali emanati dal suo corpo che gli spunti sull'ambiente che la circondava, come se l'attacco le avesse congelato non solo la carne, ma anche la mente.

Gradualmente, però, si era resa conto che non c'era più erba sul suo viso. Niente alberi o templi in lontananza. Neanche il dolce scorrere dell'acqua dai bagni.

Lei cercò di spostare la testa e gemette.

«Selena?»

Il volto che si affacciò nel suo campo visivo le riempì gli occhi di lacrime. Era Trez... era Trez...

Come se lo avesse evocato da un sogno, era proprio davanti a lei, e lo divorò con gli occhi: la scura pelle liscia, gli occhi neri a mandorla, i capelli rasati neri, la presenza incombente della sua massa e dell'altezza.

Il suo primo istinto fu quello di allungare una mano per toccarlo, ma una saetta di dolore la fermò, facendola annaspare.

«Doc Jane» abbaiò lui. «È sveglia!»

Trez? disse lei. Trez, aspetta, ho bisogno di dirti una cosa-

«Doc Jane!»

No, non preoccuparti di questo. Ho bisogno di-

«Non riesce a respirare!»

Accadde tutto così in fretta. Tutto insieme, una maschera le fu spinta sul viso e qualcosa costrinse i suoi polmoni a gonfiarsi. Delle voci esplosero intorno a lei. Un acuto segnale acustico suggeriva che l'allarme si stesse spegnendo-

Qualcuno provò a raddrizzarla e le sue articolazioni ruggirono in segno di protesta. Oh, aspetta, era lei che cercava di muoversi - provava a sedersi per vedere cosa stava succedendo.

«Lei si sta muovendo!» Quello era Trez - ne era sicura. «Il braccio si è mosso!»

«È in arresto cardiaco. Puoi appiattirle il torace?»

Il dolore che venne subito dopo fu talmente intenso da farla urlare.

«Mi dispiace» le sussurrò Trez in un orecchio, la voce rotta. «Mi dispiace, piccola. Mi dispiace da morire, ma dovevo metterti supina-»

Selena gridò di nuovo, ma non fu sicura di averlo registrato come suono. E poi il suo campo visivo si offuscò, a partire dai lati e dirigendosi verso il centro, come se una nebbia la stesse invadendo da ogni direzione.

All'improvviso, lei si ritrovò a fissare la lampada scialitica - il che significava che in qualche modo erano riusciti a sdraiarla sulla schiena. Poi arrivò la pressione alle spalle, alla colonna vertebrale, alle braccia. La vista andava e veniva, quell'annebbiamento recedeva e ritornava mentre grandi ondate di dolore la scuotevano.

«Non voglio romperle nulla» disse Trez a denti stretti.

Così le sue mani le raggiunsero i polsi, costringendoli ad abbassarsi.

«Devo arrivare lì. Adesso.» La dottoressa Jane apparve sul lato opposto del tavolo, e nelle mani aveva dei blocchi della grandezza di un palmo con dei cavi a spirale alle estremità.

«Toglile la veste.» La dottoressa Jane guardò in un'altra direzione. «Voi maschi dovete andarvene, oppure lui non ci lascerà accedere al suo torace.»

Quell'allarme era così forte ora, un unico suono continuo, non interrotto da intervalli.

«Libera!» urlò la dottoressa Jane.

Un fulmine colpì il petto di Selena, le sollevò il torso dal tavolo, le fece scricchiolare ognuna delle sue vertebre, le inarcò la spina dorsale tenendola sospesa.

Quando lei tornò giù con un tonfo sul materasso sottile del lettino da visita, ci fu una breve, intensa pausa durante la quale le tre persone intorno a lei, la dottoressa Jane, l'infermiera Ehlena, e Trez, la guardarono fisso. Lei si concentrò su Trez - e fu allora che notò una quarta persona che stava in piedi accanto a lui, un grande corpo di spalle, una testa scura inclinata verso il basso da un lato.

iAm.

Oh, bene, era felice che lui fosse lì per Trez.

Selena aprì la bocca sotto la maschera, guardando direttamente negli occhi neri dell'Ombra. Se solo avesse potuto digli-

Il caos esplose di nuovo intorno a lei, i polmoni che spingevano contro le costole, le voci che salivano di tono, la gente che cambiava posizione.

«Basta con la ventilazione» gridò la dottoressa Jane. «Libera!»

Una seconda potente scarica l'attraversò, facendole contorcere il torso. Questo volta non ci fu alcuna pausa. 

Quella dura e intensa spinta nei polmoni ritornò immediatamente e continuò... ancora e ancora.

«Cosa facciamo adesso?» chiese Trez con voce strozzata.

Oh, beata Vergine Scriba, stava piangendo.

Trez, Selena pensò a lui. Ti amo...


*    *    *


Trez viveva e moriva grazie al monitor che mostrava i segni vitali a meno di mezzo metro dalla testiera del lettino da visita. Un semplice cavo collegava Selena al suo computer incorporato, e lo schermo mostrava tutti i tipi di informazioni che non significavano nulla per lui. L'unica cosa che aveva capito, tuttavia, e che era maledettamente chiara, era che la linea gialla in basso avrebbe dovuto innalzarsi e scendere a picco a intervalli regolari quando il suo cuore batteva.

Non andava su e giù con un chiaro schema regolare - neanche dopo che era impazzito quando la dottoressa Jane aveva messo quelle placche al centro e al lato del torace di Selena e aveva inviato tutta quella carica elettrica nel petto dell'Eletta.

Piatto. Era di nuovo piatto.

Ehlena continuava a ventilare, le mani stringevano il palloncino azzurro che spingeva l'aria nella gabbia toracica di Selena. E nel frattempo, Trez fissava quella linea gialla, sperando che s'innalzasse, che rispondesse a un battito del cuore di Selena.

«Dannazione, batti...»

Qualcosa gli sfiorò il viso e lui sobbalzò indietro - solo per scoprire che Selena lo stava toccando, la sua pallida mano sottile che si allungava in una serie di strattoni come se la giuntura fosse arrugginita.

«Selena» esclamò, abbassandosi in modo che lei non dovesse sforzarsi. «Selena...»

Le baciò il palmo, le dita, e poi lasciò che gli sfiorasse le guance. I suoi occhi erano di un azzurro intenso, luminoso, incandescente. E per un attimo, tutto svanì e nella camera restarono solo loro due, le pareti della sala visite, l'attrezzatura e il personale, anche il suo amato fratello, tutto scomparve.

Le labbra di lei cominciarono a muoversi sotto la mascherina di plastica trasparente.

«Va bene, va bene, va bene.» Non aveva idea di ciò che stava dicendo. «Puoi rimanere con me? Ti prego, resta qui - non andartene.»

Lei si stava muovendo, ed era una cosa buona, giusto?

«Selena!» Merda, i suoi occhi stavano rotolando all'indietro. «Selena...!»

«La stiamo perdendo!»

Non ci fu nessun pensiero cosciente in lui. Nell'istante in cui la dottoressa Jane abbaiò di nuovo quelle tre orribili parole, lui scompose la sua forma fisica e ricoprì il corpo di Selena con le sue molecole, la sua energia, la sua anima, circondandola sopra, sotto e tutto intorno. Si gettò dentro di lei, spingendosi attraverso la pelle, sempre più in profondità, condividendo tutto quello che aveva nella speranza di poter fare quello in cui il macchinario aveva fallito.

Sperando di riportarla indietro in qualche modo...

E poi accadde.

Sicuro che se Selena avesse allungato le mani e avrebbe afferrato quello che lui aveva da darle, sentì una stretta vitale aggrapparsi alla sua essenza, accoglierla e infine prendere da lui.

Proprio così, pensò. Usami-

«Ho un battito!» esclamò qualcuno. «Sta respirando!»

Sentì il commento non come suono, ma come i pensieri degli altri - non ci si soffermò, però. Troppo presto. Non aveva dato abbastanza.

Eppure tutto troppo in fretta, la sua forza cominciò a svanire, la sua energia si ridusse in un flusso, niente fu graduale. Per quanto lui volesse continuare ad aiutarla, sapeva che doveva ripristinare la sua forma fisica, oppure sarebbe rimasto sotto forma di vapore, e che era una condanna a morte.

Non fino a quando lei non ci sarà più, ripeté a se stesso.
E avrebbe potuto aiutarla ancora, dopo aver-

Trez atterrò sul pavimento piastrellato come fosse stato spinto verso il basso, tutti colpi duri e ceffoni. Dal suo punto di vista, diede una lunga occhiata da vicino alle Crocs rosse della dottoressa Jane, quelle blu di Ehlena, e alle ginocchia di suo fratello mentre il maschio si accovacciava accanto a lui.

iAm entrò in azione, senza perder tempo, afferrò Trez sotto i pettorali e lo trascinò fino alla testa di Selena, sollevandolo quando non riusciva a stare in piedi, in ginocchio, o anche tenere il busto in verticale.

Nessun indizio su cosa la dottoressa Jane ed Ehlena stessero facendo, continuavano a girare attorno al corpo prostrato di Selena con tutti i tipi di attrezzature mediche-

La porta del corridoio si spalancò. Manny Manello, il medico umano collega di Jane, era in abiti civili ed era davvero seccato, come se fosse tornato di corsa dal centro di addestramento.

Genere sbagliato. Considerando che Selena era nuda.

Le labbra di Trez si arricciarono mentre le zanne scendevano di botto, un ringhio si propagò dalla sua gola.

«Che traffico lento!» esclamò Manny. «Mi dispiace tanto-»

«Devi andartene» urlò la dottoressa Jane mentre controllava gli occhi di Selena con una luce. «A meno che tu non voglia essere morso.»

Quando Manny gli lanciò un'occhiata tutta sopracciglia, Trez sentì la forza tornare in lui. E non fu l'unico ad averlo notato. iAm gli strinse le pesanti braccia attorno al petto.

«Sarò fuori tra un secondo per un consulto?» chiese la  dottoressa Jane al suo collega.

«Ricevuto.» Manny sollevò una mano per Trez. «Mi dispiace, amico.»

Bisognava rispettare il tempismo del suo dietrofront, pensò Trez quando il tizio scomparve.

«Lei ha una mobilità limitata alle braccia, dalla punta delle dita alle spalle» annunciò Ehlena dirigendosi alla base del tavolo e afferrò la gamba di Selena. «Anca. Ginocchio. Caviglia. Stessa situazione.»

«I segni vitali sono stabili» comunicò la dottoressa Jane. «Voglio un'altra serie di raggi X non appena sarò sicura che lei resterà con noi.»

Jane guardò Trez. «L'hai riportata indietro. Le hai salvato la vita.»

Come se avesse sentito le parole e le avesse comprese Selena lo guardò. Trez aprì la bocca per rispondere, e non ne uscì nulla. Come qualcuno che si era scollegato dal mondo, tutto cominciò a sbiadire diventando nero e lui cadde in uno stato di incoscienza.

L'unica cosa di cui era conscio? Anche dopo essere scivolato in quel cazzo di limbo?


Il costante bip-bip-bip del macchinario che monitorava il battito cardiaco di Selena.

mercoledì 10 giugno 2015

Capitolo 10 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 10


Paradise, figlia diletta di Abalone, Primo Consigliere del Re, aggrottò la fronte allo schermo del suo portatile della Apple. Si sistemava sempre nella biblioteca di suo padre da quando lui aveva iniziato a lavorare ogni notte per Wrath, figlio di Wrath, perché in quel vecchio e irregolare palazzo stile Tudor, il segnale wi-fi era più forte a questa scrivania. Non che un buon segnale le fosse di qualche aiuto in quel momento. Il suo account Hotmail era zeppo di messaggi non letti, perché, con iMessage sul suo cellulare, Twitter, Instagram e FB, non aveva alcun motivo per collegarsi molto spesso.

«Allora aspetta, come si chiamava?» esclamò lei al cellulare.

«Corso Nuovi Apprendisti» rispose Peyton, figlio diletto di Peythone. «Te l'ho inviata, tipo, un'ora fa.»

Lei si sedette sul bordo della poltrona di suo padre. «C'è solo un mucchio di spazzatura qui dentro.»

«Adesso te la rimando-»

«Aspetta, trovata.» Cliccò due volte sull'allegato. «Accidenti. È su carta intestata ufficiale.»

«Te l'avevo detto.»

Paradise controllò la data, il saluto personalizzato a Peyton, i due paragrafi sul programma, e la frase conclusiva. «Porca... è firmato da un Fratello.»

«Tohrment, figlio di Hharm.»

«Beh, se si tratta di un falso, qualcuno sta per beccarsi un-»

«Ma hai letto cosa dice nel secondo paragrafo?»

Lei si concentrò sulle parole. «Femmine? Cioè, cavolo... accettano anche le femmine

«Lo so, vero?» Ci fu un a specie di gorgoglio e uno sbuffo mentre Peyton soffiava una boccata di fumo. «È senza precedenti.»

Paradise rilesse la lettera, questa volta con più attenzione. Parole chiave le balzarono davanti agli occhi: provini aperti per il programma di addestramento. Femmine e civili sono invitati ad effettuare il test d'ingresso sulle prestazioni fisiche. Le sessioni saranno tenute dagli stessi membri della Confraternita. Lezioni? Nada.

«Che cosa sta passando per la loro testa?» mormorò Peyton. «Voglio dire, dovrebbe essere solo per i figli dei membri della glymera

«Non più, a quanto pare.»

Quando Peyton tirò fuori un commento circa il gentil sesso e i ruoli tradizionali a casa e sul campo di battaglia, Paradise si appoggiò allo schienale della poltrona di pelle. Accanto a lei, i ciocchi sistemati dal doggen crepitavano con fiamme arancioni nel camino di marmo, il calore le colpiva un lato del viso e metà del corpo. Tutto intorno, la biblioteca di suo padre risplendeva di un bagliore giallo, di mogano tirato a cera e i rilievi d'oro sulle coste della sua collezione di libri rigorosamente in prima edizione.

Il palazzo in cui vivevano era uno dei più imponenti di Caldwell, con più di quaranta camere arredate con un lusso pari alla biblioteca, se non ancora maggiore. Bellissime sete ricoprivano le finestre vetro piombato a forma di diamante. Eleganti tappeti orientali spiegati sui pavimenti lucidi. Dipinti a olio di antenati erano appesi alle pareti lungo le scale e disposti bene in vista su mensole e credenze. Della raffinata porcellana cinese era esposta al tavolo per ogni pasto, il cibo cucinato e servito dall'ampio numero del personale.

Aveva vissuto qui con suo padre per anni e anni, istruita da altre signore della glymera in tutto ciò che rende una femmina aristocratica una degna compagna: l'abbigliamento, la capacità di intrattenere gli ospiti, l'etichetta, essere la castellana di una tenuta.

E tutto questo per arrivare a cosa? Al suo debutto in società, che era stato posticipato, così come il programma di addestramento della Confraternita, a causa degli attacchi dei lesser due anni prima.

Ora, però, ciò che la attendeva stava per essere reintegrato. Quel che era rimasto dell'aristocrazia era ritornata a Caldwell muovendosi dalle loro case sicure, e vista la sua maggiore età ed essendo trascorsi almeno quattro anni dalla sua transizione, per lei era giunto il momento di trovare un compagno.

Dio, quanto la terrorizzava tutto questo-

«Pronto?» chiese Peyton. «Ci sei ancora?»

«Scusami, sì, ci sono.» Allontanò il telefono dall'orecchio quando sentì un intenso crepitio. «Cosa stai facendo?»

«Sto aprendo un sacchetto di patatine della Cape Cod.» Crunch. Munch. «Oh zio cane, sono incredibili...»

«Allora, cosa hai intenzione di fare?»

«Ne ho ancora mezza busta. Quindi conto di terminarle e farmene un'altra. Poi con ogni probabilità me ne andrò a dormire-»

«No, per programma del centro di addestramento.»

«Mio padre mi ha già detto che devo andare. Va bene, comunque. Non ho fatto niente per tre anni ormai, e mi avrebbero iscritto all'apertura del complesso, ma... beh, ti ricordi cosa è successo.»

«Sì, e faresti meglio a smettere di fumare. A loro non piacerà.»

«Occhio non vede, cuore non duole. Inoltre, mi appello al primo emendamento.»

Lei alzò gli occhi al cielo. «Va bene, per primo, tu non sei umano, quindi la loro Costituzione non si applica a te. E secondo, si riferisce alla libertà di parola, non alla libertà di fumare.»

«È uguale.»

Quando Peyton fece un altro tiro alla sigaretta, lei si figurò il suo bel viso, le spalle ampie, e gli occhi di un azzurro intenso. Si conoscevano da tutta la vita, i membri delle famiglie di entrambi si erano sposati tra di loro per generazioni, come facevano tutti membri dell'aristocrazia.

Era il segreto peggio custodito dalla glymera che i genitori di Peyton e suo padre avessero da poco iniziato a parlare del fatto che loro due si mettessero insieme-

Il suono basso e profondo del battente della porta d'ingresso le fece voltare la testa.

«Chi è?» chiese, alzandosi in piedi e sporgendosi in avanti in modo da vedere fuori nell'atrio.

Il loro maggiordomo, Fedricah, percorse il pavimento, e sebbene suo padre non avesse mai aperto la porta personalmente, anche lui uscì dal suo studio privato di fronte.

«Padrone?» domandò il maggiordomo. «Aspettate qualcuno?»

Abalone si sistemò la giacca. «Un lontano parente. Pensavo di avertelo detto, le mie scuse.»

«Me ne vado a letto» esclamò Paradise al cellulare. «Buongiorno.»

Ci fu una pausa. «Già, anche a te, Parry. E lo sai, puoi chiamarmi se hai degli incubi, va bene?»

«Certo. Lo stesso vale per te. 'Giorno.»

«'Giorno anche a te.»

Mentre chiudeva la chiamata, lei si scoprì contenta che il suo amico fosse ancora in circolazione. Da quando gli attacchi erano diminuiti e tanti della loro classe sociale erano stati fatti a pezzi, loro due avevano preso l'abitudine di usare le linee telefoniche per far passare le ore, a volte interminabili, di luce diurna. Il collegamento era stato indispensabile nel periodo immediatamente successivo alle incursioni, quando lei e suo padre si erano trasferiti a Catskills, mentre lei sfogava il suo nervosismo in quel grande fienile vittoriano per mesi.
Peyton era un buon amico. Per quanto riguardava la storia del mettersi insieme?

Non sapeva come sentirsi se ci pensava.

Aggirando la scrivania, lei attraversò l'atrio fino a che suo padre la vide e scosse la testa. «Sparisci, Paradise. Per favore.»

Le sue sopracciglia scattarono in alto. Questa era la sua parola in codice per rifugiarsi nel tunnel nascosto della casa. «Cosa sta succedendo?»

«Ti prego, vai.»

«Hai detto che era un parente.»

«Paradise

Paradise ritornò in biblioteca, ma rimase sotto l'arco della porta, in ascolto.

Il cupo cigolio dell'apertura della massiccia porta d'ingresso le apparve risuonare con forza.

«Sei tu» esclamò il padre in uno strano tono. «Fedricah, puoi scusarci, vero?»

«Ma certo, Padrone.»

Il maggiordomo si allontanò, attraversando brevemente quella parte dell'atrio che Paradise poteva vedere. Dopo un momento, la porta nella metà posteriore della casa si chiuse.

«Allora?» domandò una voce maschile. «Hai intenzione di invitarmi a entrare?»

«Non lo so.»

«Morirò qui fuori. Nel giro di pochi minuti.»

Paradise combatté la voglia di allungare la testa oltre lo stipite per vedere di chi si trattava. Non aveva riconosciuto la voce, ma la pronuncia precisa e l'accento altezzoso suggerivano che fosse un aristocratico. Il che aveva senso, considerando che si trattava di un "parente".

«Indossi una tenuta da battaglia» ribatté suo padre. «Non lo consento oltre la soglia di casa mia.»

«È la mia banda o sono le mie armi a spaventarti di più?»

«Non mi spaventa nessuno dei due. Sei stato battuto, se ben ricordi.»

«Ma non sconfitto, mi dispiace dirlo.» Ticchettii suggerivano che qualcuno stesse maneggiando degli oggetti fatti di parti metalliche. E poi ci fu un tonfo, come se qualcosa avesse colpito la scalinata di pietra davanti all'ingresso. «Ecco, quindi, sono nudo davanti a te. Sono completamente disarmato, e le mie armi sono sulla soglia di casa, non dentro le mura.»

«Io non sono tuo cugino.»

«Condividiamo lo stesso sangue. Abbiamo molti antenati in comune-»

«Risparmiamelo. E qualunque messaggio il tuo capo voglia inviare al Re, deve farlo attraverso-»

«Non sono più un seguace di Xcor. In nessun modo.»

«Chiedo scusa?»

«I legami sono stati recisi.» Ci fu un sospiro esausto. «Ho trascorso i mesi dopo le elezioni che hanno restituito a Wrath il trono cercando di convincere Xcor e la Banda dei Bastardi a tirarsi fuori dal loro tradimento. Anche dopo aver ragionato e supplicato intensamente affinché si trovasse una strada più intelligente, sono rattristato di non essere riuscito a dissuaderli dalla loro follia. Infine, me ne sono dovuto andare. Sono sgattaiolato via di nascosto e mi sono allontanato dal posto in cui vivono, e ora temo per la mia vita. Non ho nessun altro posto dove andare, e quando ho parlato con Salliah nel Vecchio Continente, mi ha suggerito di venirti a trovare.»

Il loro lontano cugino, pensò Paradise. Riconobbe quel nome.

«Per favore» disse il maschio. «Chiudimi dentro una stanza se devi farlo-»

«Io sono un fedele servitore del Re.»

«Allora non sprecare un vantaggio tattico.»

«Cosa stai suggerendo?»

«In cambio della sicurezza sotto il tuo tetto, io sono pronto a dirti tutto quello che so sulla Banda dei Bastardi. Dove passano le ore di luce. Quali sono i loro schemi. Dove si incontrano durante la notte. Come pensano e come combattono. Certamente queste notizie ben valgono l'affitto di un posto letto.»

Paradise non riusciva più a sopportarlo. Doveva vedere chi era quell'uomo.

Inchinandosi, piegò il proprio corpo intorno allo stipite e lanciò un'occhiata oltre le spalle rigide di suo padre. Il suo primo pensiero fu che i pantaloni di pelle strappati del maschio e la camicia button-down non corrispondevano alla sua voce. Il suo secondo fu che i suoi occhi erano lividi, erano così stanchi.

Sembrava davvero essere arrivato dal fronte della guerra, qualcosa di dolciastro e nauseabondo che proveniva dal suo corpo aveva impregnato l'aria non appena aveva messo piede in casa.

Il maschio la notò subito, e il suo volto registrò qualcosa che nascose molto in fretta.

Il padre voltò la testa e le scoccò un'occhiataccia. «Paradise» sibilò.

«Posso capire perché esiti» esordì il maschio, senza mai lasciare gli occhi della femmina. «Infatti, lei è preziosa.»

Suo padre si voltò verso Paradise. «Devi andartene.»

Il maschio si abbassò su un ginocchio e chinò il capo, mise una mano sul cuore e sollevò l'altra con il palmo aperto verso l'alto. Nell'Antico Idioma, disse a bassa voce, "Giuro sul nostro comune lignaggio che non arrecherò alcun danno a voi, alla vostra figlia diletta, o a qualsiasi cosa vivente all'interno di queste mura - oppure possa la Vergine Scriba troncare la mia vita dinanzi ai vostri occhi."

Suo padre la guardò e fece un secco cenno con un braccio, un ordine diretto a lei di uscire da quella stanza e starsene lontana.

Lei sollevò le mani e annuì, tutta un Okay, okay, okaaaaay.

Muovendosi rapidamente, tornò in biblioteca e si avvicinò ai pannelli accanto al camino. Allungò la mano sotto la terza mensola a partire dal pavimento e azionò un punto nascosto, premette la leva e fu in grado di spingere l'intero carico di libri fuori e oltre sul percorso ben oliato. Con una veloce scivolata, emerse nel corridoio che correva intorno al primo piano della casa, che consentiva l'accesso, sia visivo che reale, a ogni stanza attraverso delle porte nascoste e punti di osservazione.

Sembrava un qualcosa uscito da un film di Alfred Hitchcock.

Chiudendosi dentro, Paradise raggiunse le scale basse che si trovavano alla parte opposta, e mentre le saliva, avrebbe voluto poter sentire quello che i due maschi si stavano dicendo. Come al solito, però, sarebbe rimasta all'oscuro; suo padre non le aveva mai detto niente di niente.

Faceva parte della sua mentalità vecchia scuola: le femmine di buona famiglia non avevano bisogno di essere disturbate con cose come misteriosi, lontani parenti che si presentavano senza preavviso e armati fino ai denti. O, per dire, di quale tipo di affari si occupava la famiglia, quanto guadagnava o a quanto ammontava il suo patrimonio. Per esempio, quando suo padre era stato nominato Primo Consigliere del Re, fu tutto ciò che le era stato detto. Non aveva idea in che cosa consistesse il suo lavoro, cosa faceva per il Re e la Confraternita - diavolo, non sapeva nemmeno dove andava ogni notte.
Lei credeva che lui pensasse veramente di preservarla.

Ma Paradise odiava essere all'oscuro di tutto.

Alla sommità della scala nascosta, proseguì per altri quattro metri e mezzo e si fermò davanti un pannello incassato. Il chiavistello era a sinistra e lei lo aprì.
La sua camera da letto era tutta delicata e femminile, dal letto frivolo al pizzo alle finestre, ai tappeti a mezzopunto morbidi come pantofole che non avevi bisogno di indossare.

Entrò e chiuse la serratura della porta, sapendo che sarebbe stata la prima cosa che suo padre avrebbe controllato quando fosse salito al piano di sopra - e se non si fosse affacciato al secondo piano perché doveva restare con il loro "ospite"? Avrebbe mandato Fedricah a effettuare il test della maniglia.

Arrivata al suo letto, si sedette, scalciò via i mocassini, e ricadde sul piumone. Fissando il baldacchino, scosse la testa.

Chiusa nella sua stanza. Tagliata fuori da qualsiasi azione.

Subito dopo gli attacchi, quello era stato l'unico posto in cui voleva essere, l'unico modo per sentirsi al sicuro. Ma quelle notti di terrore si erano trasformate in mesi di preoccupazione... che erano scivolati in una normalità inquieta... che si era evoluta in una vita semplice in generale.

Per cui ora si sentiva in trappola. In questa stanza. In questa casa. In questa vita.

Paradise fissò la porta chiusa a chiave.

Chi era quel maschio? si chiese.