mercoledì 29 aprile 2015

Capitolo 4 di THE SHADOWS di J.R. Ward



Capitolo 4


L’Eletta Selena attraversò il retro dell’armadio contenente le forniture per l’ufficio per andare al centro di addestramento, e quando ne uscì, sobbalzò alla vista dell’enorme figura dietro la scrivania.

Tohrment, figlio di Hharm, sollevò lo sguardo dal computer. «Oh, ciao, Selena. Che sorpresa.»

Mentre le pulsazioni si regolarizzavano, lei portò la mano al petto. «Non mi aspettavo di incontrare qualcuno.»

Il Fratello tornò a concentrarsi sul bagliore blu dello schermo. «Sì, sono rientrato al lavoro. Stiamo per riaprire di nuovo.»

«Aprire cosa?»

«Il centro di addestramento.» Tohr si allungò contro lo schienale della più brutta poltrona di pelle verde che avesse mai visto. E mentre parlava ne accarezzava il bracciolo come fosse una pregiata opera d’arte. «Prima che cominciassero gli assalti, avevamo elaborato un buon programma. Ma in seguito molti membri della glymera sono stati uccisi durante gli attacchi e i quelli sopravvissuti hanno lasciato Caldwell. Ora la gente sta ritornando, e Dio solo sa se abbiamo bisogno di aiuto. La Lessenning Society sta ingrossando le fila come ratti che proliferano in un magazzino.»

«Mi chiedevo a cosa servissero tutte queste attrezzature.»

«Lo vedrai di persona.»

«Forse» esclamò lei. Ma solo se si fossero sbrigati…

«Stai bene?» chiese il Fratello, balzando in piedi.
Con un brusco capogiro, il mondo attorno a lei s’inclinò sul suo asse, la testa cominciò vorticare sul collo - o era la stanza a roteare? In ogni caso, Tohrment l’afferrò prima che cadesse a terra, tenendola fra le braccia.

«Sto bene, è tutto a posto… sto bene» disse lei.
Almeno credeva di aver pronunciato queste parole ad alta voce. Non ne era sicura, perché le labbra di Tohr si stavano muovendo e gli occhi erano incollati ai suoi, come se le stesse parlando, ma non sentiva la sua voce. O la propria. Non sentiva nulla.

Subito dopo, si ritrovò in una delle sale visita e la shellan di Vishous, la dottoressa Jane, la osservava, tutto un insieme di occhi verde cupo, biondi capelli corti e intensa preoccupazione.

Il lampadario sopra di lei era troppo luminoso e Selena sollevò il palmo della mano per coprirsi il viso. «Vi prego - non è necessario -»

Tutto a un tratto si accorse che riusciva di nuovo a sentire la propria voce, e il mondo circostante, prima sbiadito e ovattato, ritornò vivido e ricco di dettagli.
«Sul serio, sto bene.»

La dottoressa Jane si fermò con le mani sui fianchi, come se fosse un barometro impegnato in un qualche tipo di misurazione.

Per un attimo, la 
paura paralizzò Selena. Non voleva che sapessero -

«Hai appena nutrito qualcuno?» chiese il medico della Confraternita.

«Circa un'ora fa. E non ho mangiato. Ho dimenticato di mangiare.» Che non era una bugia.

«Hai qualche problema medico di cui devo essere informata?»

«No.» Che era una bugia. «Sono perfettamente in salute.»

«Ecco» disse Tohr, mettendole qualcosa di freddo in mano. «Bevi questo.»

Fece come le venne detto e scoprì che si trattava di Coca Cola in una lattina rossa che su un lato recava la scritta “Condividila con un amico."

E, in effetti, quella roba la rinvigorì. «È buona.»

«Il tuo colorito sta migliorando.» La dottoressa Jane incrociò le braccia sul petto e si appoggiò a uno degli armadietti in acciaio inossidabile. «Continua a bere. E forse dovresti considerare l’idea di chiamare qualcun altro per -»

«No» la interruppe bruscamente. «Porterò a termine il mio compito.»

L’importanza di andare lì e rendere disponibile la sua vena per i Fratelli e per quelli che non potevano nutrirsi dalle loro compagne, era la sola cosa che la facesse andare avanti. Era la sua connessione con la vita normale, la sicurezza di espletare un lavoro di un certo rilievo, il metronomo di notti e giorni senza il quale si sarebbe consumata a causa di un destino nefasto su cui non aveva controllo.

La realtà era che il suo tempo stava per scadere - e non era mai sicura di quando sarebbe arrivato il suo ultimo momento, quando sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe fatto qualcosa. E il fornire quel servizio rendeva la sua situazione critica.

Mentre continuava a sorseggiare la bevanda, vennero dette molte cose, domande poste da parte del medico seguite da risposte da parte sua. Le parole non importavano - avrebbe detto qualsiasi cosa, qualsiasi bugia, mezza verità o falsa spiegazione per filarsela da quella stanza piastrellata e andare avanti con l’ultima visita della notte.

«Porterò a termine il mio compito.» Costrinse il volto in un sorriso spontaneo. «E poi riposerò. Lo prometto.»

Dopo un momento, la dottoressa Jane annuì - e la battaglia, alla fine, fu vinta.

Tuttavia, la guerra era una bestia completamente diversa.

«Sto proprio bene» esclamò Selena, saltando giù dal lettino. «Sul serio e sinceramente.»

«Vienimi a trovare se succede di nuovo, va bene?»

«Assolutamente sì.» Sorrise a entrambi. «Lo prometto.»

E mentre lasciava la sala visite, lei pensò che l'aver detto quella bugia avrebbe dovuto infastidirla. Ma non poteva più concedersi il lusso di avere una coscienza.

Correva in volata contro la morte, e niente, nemmeno le persone che stimava… o il maschio che amava… potevano mettersi in mezzo.

Per lei la sopravvivenza, per quel che era, rappresentava un’impresa.

*    *    *


Allo shAdoWs, Trez si prese un attimo per sistemarsi, a colpi di tosse, la laringe prima di sedersi. Una cosa che si poteva dire di Vishous? Il Fratello era bene addentro alla faccenda della dominazione.

Ovviamente.


Ma vabbè, le cose laggiù nell’angolo si stavano facendo un po' troppo serie.

Attraverso lo spazio cupo della stanza del sesso, Rhage era raggomitolato in posizione fetale, gli occhi chiusi, il respiro che entrava e usciva dalla bocca aperta con un ritmo talmente preciso che, o si stava ipnotizzando da solo o era già scivolato in un coma del cazzo.

«Cosa sta facendo?» domandò Trez.

«Cerca di non trasformarsi in un mostro.»

Le sopracciglia di Trez scattarono in su per la sorpresa. «In senso letterale?»

«Godzilla. Solo che è viola.»

«Gesù… pensavo fosse solo un pettegolezzo.»

«Per niente.»

V prese un pugnale nero e lo sollevò al di sopra della spalla. Con una violenta - ah ah (gioco di parole, infatti usa il termine VICIOUS) – pugnalata, il Fratello eliminò i resti dell’assassino centrandolo nel torace vuoto, la seconda scintillante luce della sera brillò bianca e azzurra come una fiamma ossidrica prima di scomparire e portarsi dietro la maggior parte dei resti puzzolenti. Il lampo non fece sparire la macchia oleosa, ma Trez aveva attrezzato quelle stanze con un foro di scarico al centro e un attacco per una pompa montata con discrezione sotto la panca.

Anche gli umani potevano fare casino.

«Così ti sei legato, eh
» disse V mentre si sedeva e vegliava il Fratello come il membro di un branco che fa la guardia a un lupo ferito.

«Chiedo scusa, cosa hai detto?»

«Selena. Ti sei legato a lei.»

Trez imprecò e si massaggiò la faccia. «Ah, no. Non sul serio.»
«Una persona molto saggia una volta mi disse… menti a chi ti pare, ma mai a te stesso.»

«Guarda, non so di -»

«Quindi è questo il motivo per cui sei fuori casa così spesso?»

Trez considerò l’idea di continuare a raccontare balle, ma era inutile. Aveva appena attaccato un maschio che rispettava, un maschio che, P.S., era totalmente e completamente innamorato della sua femmina, solo perché il tizio si era nutrito - e nient’altro - da un’Eletta istruita a questo fine.

Se questo non gli metteva un bel timbro sulla fronte con la dicitura “Maschio innamorato”, non sapeva cosa altro avrebbe potuto.

«Io…» Trez scosse la testa. «Cazzo. D’accordo. Mi sono legato a lei - e non posso starle vicino mentre vi nutre. Cioè, so che un servizio necessario e che si limita alla vena, bla, bla, bla. Ma è troppo pericoloso. Potrei rifarlo» - indicò col capo Rhage - «in qualunque momento.»

«Lei non ti vuole? So che non può essere a causa di Phury. Ti rispetta un casino.»

Sì, lui e il Primale, che era responsabile di tutte le Elette, andavano d’accordo. Peccato che non fosse quello il problema. «Non funzionerebbe.»

«Perché?»

«Non possiamo ritornare al perché un lesser aveva addosso la droga di Assail?»

«Senza offesa, ma sono stato davvero tollerante con te non trasformando la tua giugulare nello scarico di un lavandino. Pensi di potermi concedere l’onore di essere onesto?»

Trez si guardò le mani, aprì le dita a un ventaglio. «Anche se non fossi andato a letto con un migliaio di umane, non sono esattamente un uomo libero.»

«Rehv ha detto che il tuo debito con lui è più che ripagato.»

«Il legame che mi vincola non è con lui.»

«E quindi chi ti tiene al guinzaglio?»

«La mia Regina.»

Ci fu un lungo fischio basso. «In che modo?»

Buffo che avesse passato così tanto tempo con la Confraternita e non avesse mai detto loro della spada di Damocle che pendeva sulla sua testa. Dopotutto, per molto tempo tutto quello che aveva fatto era stato cercare di fingere di non essere lì.
«Si suppone che io debba fecondare l’erede al trono.»

«E quando è successo?»

«Alla nascita. Voglio dire, alla mia nascita.»

V aggrottò la fronte. «La Regina sa dove ti trovi?»

«Sì.»

«Avresti dovuto rivelarcelo prima di trasferirti da noi. Non dico che non ti avremmo dato rifugio, ma il tuo popolo sa essere molto esigente riguardo le persone da frequentare. Abbiamo già abbastanza problemi senza scatenare una questione diplomatica con la s’Hisbe.»

«Ma ci potrebbero essere delle circostanze attenuanti.» Quando il cellulare cominciò a vibrare nel taschino della camicia, lo prese e rifiutò la chiamata senza guardare chi fosse. «Sono in folle. Con la possibilità di un incidente frontale con un semirimorchio o di una sterzata che potrebbe salvarmi.»

«Selena lo sa?»

«Qualcosa.»

Il Fratello piegò la testa. «Beh, sta a te raccontare la tua storia - almeno per rispetto all’Eletta. Visto che ha ripercussioni su Wrath e sul nostro trono, non ti prometto niente.»

«Può accadere ogni notte. Lo saprò in una qualsiasi notte. La Regina partorirà letteralmente da un momento all’altro.»

«Non nascondo nulla al mio Re.»

Trez sentì il suo telefono suonare e riattaccò una seconda volta. «Digli solo che dadi stanno ancora girando. Non sappiamo cosa abbiamo. Forse il tema astrale non sarà compatibile con il mio - e allora sarò libero.»

«Lo riferirò.»

Ci fu un attimo di silenzio e poi Trez cominciò a agitarsi. «Perché mi stai guardando in quel modo?»

Quando non ci fu risposta, si alzò in piedi e si spolverò il culo. E quegli occhi color diamante continuavano a fissarlo. «Pronto? V - che cazzo.»

«Il tuo tempo sta per scadere» disse il Fratello a voce bassa. «Su due fronti.»

Il telefono di Trez suonò ancora ma non avrebbe risposto a quel maledetto coso neanche se avesse voluto. «Di cosa stai parlando?»

«Ci sono due femmine. E in entrambi casi, il tuo tempo sta per scadere.»

«Non so di che cazzo stai -»

«Sì, lo sai. Sai esattamente di cosa sto parlando.»

No, perché, grazie a Dio, c’era una sola bomba a orologeria nella sua vita. «Rhage si sveglierà o ha bisogno di un carrello d’emergenza?»

«Questo non riguarda lui.»

«Beh, neanche me. Sul serio, ha bisogno di assistenza medica?»

«No. E questo non è quello di cui stavamo parlando.»

«Pronome sbagliato, amico. Io non faccio parte di questa conversazione.»

Inoltre, chissà, forse se la questione con la s’Hisbe si fosse risolta a suo favore, avrebbe potuto occuparsi della situazione con Selena. Dopotutto, se non fosse stato il Prescelto, era libero di…

Merda, a meno che non rinunciasse al suo lavoro qui, sarebbe comunque rimasto un magnaccia. In fase di recupero dalla sua dipendenza dal sesso. Che avrebbe avuto bisogno di terapia per superare il disturbo da stress post-traumatico causato da un destino di merda.

Già, fantastico. Ecco a voi lo Scapolo dell’anno.

E diavolo, non sembrava che mancasse a Selena - e non la biasimava. Il suo passato con tutte quelle umane, anche se aveva smesso di andare a puttane non appena l’aveva baciata, non era niente di romantico. Era proprio disgustoso.

I mesi di celibato difficilmente avrebbero compensato i suoi sforzi di macchiare deliberatamente il suo corpo fisico -

«Sto avendo una visione su di te.» V si strofinò gli occhi.
«Senti, a meno che tu non abbia bisogno di me, io -»

«Per te, la statua volteggerà.»

Quando il telefono di Trez squillò di nuovo, scoprì che l’ansia aveva preso il sopravvento su ogni centimetro quadrato del suo corpo. «Con tutto il dovuto rispetto, non ho idea di cosa tu stia parlando. Prenditi cura di quel Fratello per tutto il tempo che ti occorre, nessuno vi disturberà qui.»

«Sii presente. Anche quando pensi che questo ti ucciderà.»

«Senza offesa, V, ma non voglio starti a sentire. A dopo.»


martedì 21 aprile 2015

Capitolo 3 di THE SHADOWS di J.R. Ward


Capitolo 3


Nella sala più sacra del Palazzo Reale della s’Hisbe, s’Ex si trovava fuori a una porta senza pomello né maniglia, solo qualche giuntura consentiva a malapena di distinguere il pannello dalla parete in cui era incorporata.

Al di là della porta poteva sentire il pianto della neonata, e il suono, quella lamentosa invocazione di aiuto, di assistenza, di soccorso, attraversò le orecchie e gli penetrò dentro l’anima. Appoggiò la mano tremante contro la superficie fredda. Sua figlia. La sua progenie. Probabilmente l’unica che avrebbe mai avuto.

La neonata non era sola nella sala delle cerimonie. C’erano il Gran Sacerdote, AnsLai; il Capo Astrologo e il Testimone, una carica designata all'assistenza e alla registrazione di avvenimenti come quello.

La bambina era stata avvolta dalla balia in una coperta di tessuto di lana bianco candido prima di essere portata lì dentro ed essere abbandonata a quei tre maschi.

A piangere per un padre che non sarebbe andato a salvarla.

Il cuore di s’Ex batteva così violentemente che la sclera dei suoi occhi rivelò la contrazione ritmica. Non si era aspettato quella reazione, ma forse quel lampante fervore era la ragione per cui non gli era stato permesso di toccare la bambina - o di rimanere solo con lei. Da quando la Regina l’aveva data alla luce all'incirca sei ore prima, gli era stato concesso di vederla due volte: la prima dopo che era stata pulita, e la seconda proprio in quel momento, mentre veniva condotta in quella stanza rivestita di marmo bianco senza finestre e con un'unica porta... che si chiudeva dall’interno.

Il momento preciso della sua nascita aveva decretato tutto questo, l'aveva preteso. Era ciò che la tradizione imponeva. L’allineamento delle stelle stabiliva che sua figlia non doveva essere l’erede al trono e, quindi, doveva essere...

Entra là dentro! urlò il suo cuore. Metti fine a tutto questo, fermali prima che -

Silenzio.

Improvvisamente ci fu silenzio.

Un suono simile a quello di un animale ferito vibrò lungo la sua gola e gli esplose dalla bocca, e s’Ex strinse la mano in un pugno, lo batté contro quella porta talmente forte da creare delle crepe a forma di stella che si irradiavano verso l’esterno dal punto di impatto.

Sconvolto e letale, sapeva di doversi ritirare prima di fare qualcosa di così impensabile come quello che aveva appena fatto. Inciampando nella sua tunica nera, si voltò e barcollò lungo il corridoio. Era a malapena cosciente di sbattere contro le pareti, il suo impeto lo faceva rimbalzare a destra e a sinistra, le spalle picchiavano contro il liscio marmo bianco.

Per qualche ragione, pensò a una notte di molti anni prima, almeno due decenni, quando aveva atteso in prossimità dell’uscita che TrezLath, il Prescelto, tentasse la fuga. Ora stava facendo la stessa cosa che quel maschio aveva fatto allora.

Stava fuggendo.

Anche se, di fatto, non si stava liberando per niente.

A differenza di Trez, a cui non era stato permesso di lasciare il palazzo, s’Ex, come boia della Regina, poteva farlo. Era anche responsabile del controllo delle entrate e delle uscite.

Per lui non ci sarebbero stati indugi.

Il che avrebbe salvato delle vite quella notte.

Quel silenzio, quell’orribile e echeggiante silenzio, cannibalizzava la sua mente mentre serpeggiava attraverso il labirinto di corridoi, avvicinandosi proprio all’uscita che Trez aveva cercato. Anche quel maschio era stato condannato, la posizione delle stelle al momento della sua nascita era stata più decisiva della natura o dell'educazione.

Quelle costellazioni, così distanti, così sconosciute al momento della nascita e imperscrutabili in età adulta, determinavano ogni cosa. Il tuo status. Il tuo lavoro. Il tuo valore.

E sua figlia, come Trez, era nata sotto un presagio che si era rivelato una condanna a morte.

Avevano atteso la sua nascita per nove mesi e, con la Regina incinta, la società della s'Hisbe si era come arrestata. Tale interesse era dovuto al fatto che nei due secoli di regno dell’attuale Regina c’era stata solo un’altra gravidanza - che aveva generato la Principessa. Naturalmente, il fatto che l'attuale concepimento fosse opera del boia della Regina era stato molto meno importante e mai pubblicamente riconosciuto. Meglio se si fosse trattato di un aristocratico. Di un secondo cugino di sangue reale. Di un maschio indicato come rilevante dal suo tema astrale.

O meglio ancora, se si fosse trattato di miracolo tipo l'immacolata concezione.

Ahimè, no. Il padre era stato colui che aveva iniziato come servo, si era guadagnato fiducia, libero accesso, e molto più tardi il sacro atto del sesso, Ma nella loro tradizione matriarcale, tutto ciò era per lo più irrilevante; il maschio era, come sempre, un aspetto secondario. Il risultato - il neonato - e la madre erano i più importanti.

C’era stata una possibilità, quando la bambina era nata che, in quanto femmina, potesse scavalcare l’attuale erede al trono, a seconda della posizione delle stelle.

Anche se questo avrebbe comportato un’altra morte, poiché poteva esserci solo un erede al trono - l'attuale Principessa avrebbe dovuto essere uccisa secondo il rituale.

Tutti avevano atteso notizie. Con la corretta registrazione dell’ora e della data di nascita, il Capo Astrologo si era ritirato nel suo osservatorio e aveva completato lo studio del cielo stellato...

s’Ex aveva appreso il destino della sua bambina prima della popolazione comune, ma dopo i cortigiani: la nascita non sarebbe stata annunciata. La Regina avrebbe riconfermato la figlia attuale. Tutto sarebbe andato avanti come sempre.

E questo era quanto, la sua tragedia personale era stata sepolta sotto il protocollo di corte, la venerazione per la famiglia reale e le tradizioni astrologiche di lunga data.

Aveva saputo fin dall’inizio che quella era una possibilità. Ma, per arroganza o per ignoranza, aveva sminuito la terribile realtà.

Quella terribile realtà.

Quando finalmente lui schizzò fuori nella notte, esalò il fiato in sbuffi. Non si sarebbe mai aspettato che la sua storia personale si intersecasse con il decisivo sistema delle stelle che dominava ogni cosa.

Davvero molto stupido da parte sua.

Poggiando le mani sulle ginocchia, si chinò e vomitò sulla morente erba tagliata.

L’espulsione sembrò schiarirgli un po’ le idee, al punto che desiderò quasi farlo di nuovo. Aveva bisogno di fare qualcosa, qualunque cosa... non poteva tornare a palazzo - era incline a uccidere la prima Ombra che avesse avvicinato solo per cancellare il dolore.

La sua salvezza, per quel che era, giungeva dal dovere. A causa di quell’evento, vi erano delle attività ufficiali da svolgere che il suo ruolo di esecutore gli imponeva di compiere.

Ci volle un bel po’ prima che riuscisse a calmare a sufficienza la mente e le emozioni per smaterializzarsi e, quando fu in grado di disperdere le sue molecole, si diresse oltre le mura del Territorio provando una strana commiserazione.

Era abbastanza sicuro che in quel momento la Regina non provasse nulla. A causa di quella carta astrale, la vita innocente che era stata stroncata era stata sminuita al punto da essere considerata inutile, anche se ciò che era nato era venuto fuori dal grembo reale.
L’allineamento delle stelle era più importante dell’allineamento del DNA.

Era sempre stato così. Sarebbe sempre stato così.


Nonostante fosse soltanto Settembre, mentre si spostava verso il centro di Caldwell, pensò che quella era la notte più fredda che avesse mai vissuto.

mercoledì 15 aprile 2015

Capitolo 2 di THE SHADOWS di J.R. Ward




Capitolo 2


LA TANA, MAGIONE DELLA CONFRATERNITA


Rhage alzò lo sguardo dalla copia del Caldwell Courier Journal che stava leggendo. La prospettiva offerta dal divano in pelle di V e Butch concedeva più visuale di quanta ne desiderasse di un Lassiter a torso nudo che giocava da solo.

Giocava... al biliardino.

L'angelo caduto si impegnava al tavolo di V come un professionista, teletrasportandosi avanti e indietro tra i due lati – e insultandosi ad alta voce da solo.

«Domanda» mormorò Rhage, sistemandosi la gamba ferita. «Le tue due personalità sono consapevoli che sei un fottuto schizofrenico?»

«Tua madre è talmente stupida» - Lassiter si smaterializzò e riprese forma al lato più lontano, facendo roteare le aste del biliardino- «da pensare che una sventola che vale un bel 10 sia un qualcosa da digitare con un telefono.»
V si avvicinò e si stravaccò sul divano.
«È disordine da personalità multipla, Hollywood. Non schizofrenia.»

Il Fratello mise un portatabacco in cuoio e un pacchetto di cartine sopra alla pila di Sports Illustrated – proprio mentre Lassiter esplodeva in un urlo di trionfo.

«Oh, guarda,» esclamò V sotto voce. «L'idiota sta vincendo finalmente.»

Rhage brontolò, cercando di trovare una posizione migliore per la sua gamba. Lui e V avrebbero dovuto essere fuori a combattere – solo che un lesser aveva deciso di impersonare Gordon Ramsey su di lui tagliuzzandolo con un coltello arrugginito, mentre V aveva una ferita da arma da fuoco che gli aveva trapassato la spalla sinistra.

Almeno entrambi sarebbero tornati operativi entro ventiquattrore, soprattutto grazie a Selena. Se lei non fosse stata così generosa con la sua vena, non sarebbero riusciti a guarire così in fretta – specialmente se si considerava che nessuna delle loro compagne era in grado di soddisfare i loro fabbisogni nutrizionali in quel senso.

Ma, cavolo, che schifo, starsene seduti come una coppia di storpi.

E in più c'era il fattore Lassiter.

La Tana era per lo più come era sempre stata: piena di borsoni da palestra, stereo e attrezzature per computer, quel tavolo da biliardino, e un televisore grande quanto un parco cittadino. Era sintonizzato su SportsCenter e mandava un servizio sul football universitario insieme alla NFL; c'erano bottiglie vuote di Grey Goose ovunque; e il guardaroba di Butch ormai stava straripando nel corridoio. Oh, e già, “Hell of a Night” degli Schoolboy Q pompava dagli altoparlanti.
Ma non era più un rifugio esclusivamente per scapoli. Nell'aria aleggiava il profumo caratteristico di Marissa – qualcosa di Chanel? - e la borsa da medico della dottoressa Jane era sul tavolino da caffè.

E quelle bottiglie vuote di vodka? Svuotate solo quel pomeriggio e quella sera, e V avrebbe dato una ripulita prima di andarsene a dormire. E poi c'erano le riviste del Journal of the American Medical Association e varie copie di People.

Oh, e la cucina era pulita, con della frutta fresca in una ciotola e un frigorifero pieno di roba, oltre agli avanzi di Arby e porzioni di salsa di soia.

Rhage si era immerso in quella pozza ghiacciata non appena era entrato nella stanza, sgraffignando quasi due chili di gelato alla menta con scaglie di cioccolato. Questo era successo circa mezz'ora prima, e ora avvertiva di nuovo un certo languorino. Forse era il momento di tornare alla magione...

Quando “Holy Ghost” di Jeezy partì alla radio, Lassiter iniziò a rappare.

A rappare.

«Perché lo hai invitato?» chiese Rhage – proprio mentre V tirava fuori la lingua per richiudere una delle sue sigarette rollate a mano. «E Gesù, quando diavolo ti sei fatto quel piercing?»

«Non l'ho invitato. Ci ha seguiti nel cortile. E un mese fa.»

«Perché te lo saresti fatto?»

V gli scoccò un sorriso diabolico dall'altro lato del divano, le palpebre basse sugli occhi di diamante. «A Jane piace.»

Rhage tornò al suo giornale. «Troppe cazzate, fratello.»

«Vuoi dire che non lo avresti fatto se Mary te lo avesse chiesto?»

«Doc Jane te lo ha chiesto? Come se il pizzetto non fosse una schifezza sufficiente su quella tua boccaccia? Andiamo.»

Tutto ciò che ottenne fu un altro di quei sorrisi.

«Cambiando argomento...» Rhage si concentrò sull'oroscopo. «Okay, allora di che segno sei, Lassiter?»

«Io sono favoloso» - l'angelo caduto saettò dall'altro lato - «col sole nel quadrante Baciami Il Culo. E prima che tu me lo chieda un'altra volta, io sono stato creato, non sono nato, perciò non ho una data di nascita.»

«Te ne darò una di morte» tagliò corto V.

«E che ne dici di una camicia?» Rhage voltò alla pagina successiva. «Solo una camicia. Ti ucciderebbe metterti qualcosa addosso, angelo? Nessuno scalpita per vedere quella roba.»

Lassiter mise in pausa il gioco... e poi iniziò a imitare Channing Tatum contro il tavolo, tutto stile Magic Mike mentre gemeva come se stesse avendo un orgasmo.

V si coprì gli occhi. «Non avrei mai pensato di pregare per la cecità.»

Rhage arrotolò il giornale e lo lanciò contro Lassiter. «Oh, andiamo, coglione! Vorrei usarlo anch'io quel tavolo ogni tan…»

Il telefono di Rhage ebbe un attacco di convulsioni, vibrando contro le sue chiappe finché non si inclinò di lato per estrarlo dalla tasca posteriore dei pantaloni di pelle. «Sì» rispose senza guardare il numero.

La voce di Trez era bassa. «Ho un problema.»

«Che succede?»

«Un lesser fuori gioco nel mio club. Ho già ripulito le menti dei miei buttafuori – in particolare quello che ha combattuto contro di lui – ma la situazione non reggerà.»

Rhage scattò in piedi. «Arriviamo entro cinque minuti.»

«Grazie, amico.»

Chiudendo la chiamata, Rhage annuì verso V. «Andiamo, lo so che siamo in panchina, ma non c'è da combattere.»

«Non devi chiedermelo due volte. Dove andiamo?»

Lassiter si raddrizzò dai suoi strofinamenti. «Si va in gita!»

«No—»

«No—»

«Posso essere utile quanto decorativo, sapete?»

V iniziò ad armarsi, fece una smorfia quando si agganciò la fondina del pugnale e ci infilò dentro un paio di lame affilate e lucenti, i manici rivolti verso il basso. «Dubito che ci servirà un ariete per entrare.»

«Magari avremo fortuna.» Rhage si diresse alla porta. «Ma non ci scommetterei.»

«Non voglio rimanere qui da solo...»

«E non sei poi così decorativo, angelo.»

Fuori, la notte parlava dell'autunno, la fredda e frizzante aria settembrina faceva fremere le narici di Rhage e la sua bestia sgroppava sotto la pelle mentre attraversava il cortile fino alla grande entrata di pietra della magione.

Cavolo, non vedeva l'ora che la sua Mary tornasse a casa dal suo lavoro al Rifugio Sicuro.

Con tutti quei discorsi su lingue e femmine a cui piacevano in certi posti - okay, erano state solo tre frasi, ma erano più state più che sufficienti – aveva i pantaloni più stretti.

Dieci minuti, due calibro 40, un paio di pugnali e un metro di catena dopo, Rhage si smaterializzò con V fino al quartiere dei macelli di Caldwell, entrambi ripresero forma dall'altro lato della strada rispetto al nuovo locale di Trez. Lo shAdoWs si trovava in un magazzino ristrutturato e, come con tutti gli altri locali delle Ombre, c'era una coda che serpeggiava lungo tutto il quartiere, umani in piedi come mucche che attendevano di entrare in una stalla per nutrirsi. La musica che rimbombava, le luci che lampeggiavano e i raggi laser che attraversavano i mille pannelli di vetro, facevano apparire l'edificio alto tre piani un trip psichedelico intrappolato sotto un tetto di latta.

Quando i due si incamminarono verso il retro, si voltarono molte teste, ma chi se ne fregava. Le donne umane avevano un talento per notare i vampiri – forse era una questione ormonale; forse era merito della pelle nera.

Di certo non era quel pizzetto. Andiamo, su.

E sì, c'era stato un tempo in passato in cui avrebbe approfittato di quelle merci sospette, ma ora non più. Aveva la sua Mary e lei era più che sufficiente per lui. V provava lo stesso per la sua Jane.

Beh, Jane con aggiunta di a una “salutare” dose di frustini e catene.

Psicopatico.

L'entrata sul retro del club aveva una doppia porta a tripla mandata a uso esclusivo del personale, e c'era ovviamente una telecamera di sicurezza da qualche parte, visto che nell'istante in cui si avvicinarono un buttafuori aprì la porta.

«Voi siete...?»

«Già.» V entrò senza invito. «Dov'è Trez?»

«Da questa parte.»

Corridoi bui. Umani storditi e ubriachi. Prostitute tettone. Ed ecco Trez, in piedi fuori una porta nera, sotto una luce nera.

L'Ombra faceva la sua figura, persino a una distanza di quasi dieci metri. Era alto e al posto del torace aveva un triangolo rovesciato, le spalle larghe e massicce si stringevano scivolando verso una vita stretta, con le cosce spesse e le gambe lunghe a sostenere tutto l'insieme. La sua pelle era del colore del mogano del tavolo da pranzo della magione, i suoi occhi neri come la notte, i capelli rasati fino a formare solo un accenno sul cranio. Ma tutto questo era solo una bella vetrina.

La verità era che Trez era una merce molto più pericolosa di qualsiasi cosa si potesse comprare a una fiera d'armi.

Le Ombre erano letali, capaci di trucchi che perfino i membri della Confraternita ne erano impressionati – e la loro specie di solito se ne stava per conto suo, rimanendo nel territorio della s'Hisbe, molto distante dalla città. Trez e suo fratello, iAm, erano l'eccezione a quella regola.

Un qualcosa che aveva a che fare con Rehvenge. Non che Rhage lo avesse mai chiesto.

«Dov'è?» chiese V, dando il cinque all'Ombra.

«Qui dentro.»

Rhage fece lo stesso, salutando l'Ombra con un abbraccio virile. «Come butta?»

«Ci è capitata una complicazione.» Trez fece un passo indietro e aprì la porta. «E non del genere che pensate voi.»

L'assassino “morto” si muoveva sul pavimento, dimenando braccia e gambe lentamente. Quei cosi erano rotti in diversi punti, un piede puntava nella direzione sbagliata, un gomito era inclinato in un angolo del tutto scorretto. C'era anche un bel po' di gocciolio in atto, sul pavimento c'era una pozzanghera piena dell'oleoso sangue nero dell'Omega.

«Bel lavoretto» commentò Rhage, tirando fuori dalla giacca e poi scartando un Tootsie Pop all'uva. «È stato il buttafuori?»

«Big Rob.» Trez allungò la mano. «Ed ecco qui la complicazione.»

Al centro del suo palmo c'era un mucchietto di banalissimi pacchetti di droga…

Aspetta un momento.

V li prese con la mano guantata. «Proprio come quelli che hai dato a Butch, giusto?»
«Esattamente.»

«Sì, questo è spaccio.»

«Questa merda non era mai saltata fuori prima d'ora?»

«Butch ha parlato con Assail, e Assail ha negato, negato, negato di essere in affari con loro. Ed è finita lì. Con null'altro su cui lavorare, avevamo altre priorità, mi capisci?»

Rhage addentò il cuore di cioccolato del Tootsie Pop, chinandosi in avanti e ponendosi delle cazzo di domande tra sé e sé. La droga era marchiata con un timbro rosso... con il simbolo che nell'Antico Idioma indicava la parola morte.

Il chrih.

Assail sarebbe finito nella merda sul serio se sfruttava il nemico per far arrivare la sua roba per le strade.

V si passò la mano libera tra i capelli neri. «Ora capisco perché non hai rispedito questo coso all'Omega con una pugnalata.»

«Il mio buttafuori ha detto che l'assassino è entrato insieme alla folla e si è lavorato la gente in giro, vendendo un po' per volta. Gli è stato chiesto di andarsene, lui ha discusso, ha attaccato e poi è arrivata l'ora della nanna, quando Big Rob si è occupato della questione. È la prima volta che questo lesser in particolare si è visto in giro, ma la cosa non dice molto, perché oggi è la serata di apertura. La morale della storia, però, è che non permetto alla gente di spacciare nel mio locale, che siano umani o altro. Non mi va di trovarmi sulla lista delle cose da fare del Dipartimento di Polizia di Caldwell più di quanto non ci siamo già...»

Mentre i due continuavano a parlare, Rhage succhiò il bastoncino bianco fino a ripulirlo e si ritrovò ad analizzare l'Ombra.

Interrompendo la conversazione, chiese, «Perché non ti fai più vedere all'Ultimo Pasto?»

Lo sguardo duro come il diamante di V si spostò su di lui. «Fratello, concentrati.»

«No, dico sul serio.» Appoggiò il fianco contro il muro nero. «Che succede, Trez? Voglio dire, il nostro cibo non è abbastanza buono per te?»

Una schiarita di gola molto rivelatrice da parte dell'Ombra. «Oh, no, sì, è solo che io... sono occupato, sapete. Ad aprire il locale...»
«E quando ti sei nutrito l'ultima volta?» chiese Rhage a Trez. «Stai una merda.»
Vishous alzò le mani. «Hollywood, hai intenzione di -»
«Sai, ho bevuto da Selena stasera e il suo sangue è eccezionale -»
Accadde tutto così in fretta. Un attimo prima V stava sproloquiando con lui sul fatto che l'Ombra avesse davvero bisogno di attaccarsi a una vena.
Quello successivo, le enormi mani di Trez erano serrate attorno al suo collo, bloccandogli anche il minimo accesso d'aria - mentre ringhiava a zanne scoperte come se Rhage fosse il suo nemico.

In un istante, e a dispetto della brutta ferita alla spalla, Vishous contrattaccò l'Ombra, aggredendolo con un body slam mentre Rhage afferrava quei polsi spessi per liberarsi dalla morsa. Assurdo da pensare, ma non servì a nulla. Anche coi quasi 140 chili di V, che provava a tirar via Trez, e la resistenza alla trazione di Rhage, l'Ombra si mosse a malapena, per la serie sono-una-parete-di-mattoni-e-non-vado-da-nessuna-parte.

E dopo tutti e tre ebbero qualcosa di cui preoccuparsi sul serio.

Rhage chiuse le palpebre, e quando aprì gli occhi, una luce brillante inondò l'angusta e scura camera del sesso.


"Cazzo," esclamò V a denti stretti. "Mollalo subito, Trez, cazzo! Siamo nei casini!"

Sotto la pelle di Rhage, la bestia prese vita, risvegliata dal pericolo mortale.

«Trez! Lascialo andare!»

Qualcosa penetrò nella mente dell'Ombra – difficile dire se fosse stata quella luce, o il fatto che i lineamenti di Rhage stavano iniziando a mutare – e allentò leggermente la presa.

V prese il comando, lanciando l'Ombra sul pavimento scivoloso e saltandogli addosso, il pugnale nero nella mano direttamente contro la giugulare.

Accasciandosi con un'imprecazione, Rhage tossì e fece un paio di respiri profondi. Merda. La sua bestia aveva un temperamento esplosivo persino in una nottata tranquilla, dopo aver fatto un bello spuntino, una bella scopata e un bel po' di esercizio. Ma quando qualcuno cercava di ucciderlo?

Anche se ci fosse stato un motivo dannatamente valido per ucciderlo?

Era chiaro che l'Ombra si era legato all'Eletta. Perché quella reazione recava la firma ormoni maschili dappertutto.

«Mi dispiace» balbettò Trez. «Non so cosa mi sia preso. Lo giuro sulla vita di mio fratello.»

«Perché non ci hai» - Rhage balbettò sulle sue stesse parole - «detto che ti sei legato a lei?»

Ci fu una pausa. Poi Trez disse, «Io... merda.»
V ci aggiunse una serie di imprecazioni. «Hai intenzione di fare il bravo, Ombra, o devo aprirti la gola con il coltello?»

«Sto bene. Giuro.»

Un attimo dopo, V si avvicinò a Rhage. «Rhage...? Fratello?»

Rhage si coprì il viso con le mani e si lasciò scivolare giù lungo il muro passando dalla posizione verticale a quella col culo per terra. Inspira. Espira. Inspira. Espira.

Avevano già un lesser nel club.

La sua bestia era l'ultimo genere di cliente di cui avevano bisogno.

Inspira.

Espira—

«Che problema ha?» chiese Trez.


«Non diventare mai aggressivo con quel figlio di puttana» fu l'ultima cosa che Rhage sentì prima che il mondo svanisse come fumo nell'aria.

mercoledì 8 aprile 2015

Capitolo 1 di THE SHADOWS di J.R. Ward


Capitolo 1


NIGHT CLUB SHADOWS, CALDWELL, NEW YORK

Non ci fu alcun bussare. La porta dell'ufficio semplicemente si spalancò come colpita da del C4. O da una Chevy. Oppure da un...

Trez "Latimer" distolse gli occhi dalle scartoffie sulla sua scrivania. Era "Big Rob" la bomba?

Quando il vice del suo servizio di sicurezza cominciò a balbettare e a sparare le mani in tutte le direzioni, Trez lasciò scivolare lo sguardo oltre la sua spalla verso lo specchio unidirezionale sei metri per tre dietro la sua plancia di comando stile Capitano Kirk. Di sotto, il suo nuovo club traboccava di umani che si dimenavano nell'open space del magazzino riconvertito, ognuno di quei poveri schifosi bastardi rappresentava un profitto di un paio di centoni, dipendeva dai loro vizi e da quanto avevano voglia di farsi.

Era la serata di apertura dello shAdoWs, e lui si aspettava dei casini.

Solo non del tipo che trasformava un esperto buttafuori in una mocciosa dodicenne.

"Che cazzo sta succedendo?" chiese alzandosi e aggirando la scrivania.

"Io... tu... io... il tizio... lui..."

Ritrova in fretta il vocabolario, pensò Trez. Oppure dovrò cacciarti dentro le parole, amico mio.

Infine, il gorilla sputò fuori, "Devi vederlo coi tuoi occhi."

Trez seguì Big Rob fuori e corse giù per le scale. Il suo ufficio aveva la chiusura automatica, non che avesse dei segreti nascosti lì dentro. Tuttavia, aveva un paio di bei divani in pelle e l'attrezzatura di video sorveglianza piazzabili su Ebay, inoltre non gli piaceva avere gente nei suoi spazi per principio.

"Silent Tom sta contenendo il problema," urlò Big Rob soverchiando il rumore mentre raggiungevano il piano più basso.

"Tipo una perdita di sostanze chimiche?"

"Non so cosa sia."

"About the Money", la canzone di T.I. pompava talmente forte dalle casse da formare una presenza fisica nell'aria, trasformandosi in una massa che Trez dovette sforzarsi di attraversare mentre si aprivano la strada oltre l'addetto alla sicurezza di guardia  all'ingresso della area privè.

Come nel suo altro club, la Maschera di Ferro, dovevano esserci delle piccole zone in cui nessuno potesse vedere nulla per i suoi clienti. Era abbastanza complesso gestire il giro di prostituzione a Caldwell, New York, senza che la gente mostrasse parti del corpo flaccide all'aperto.

"Qui dietro," esclamò Big Rob.

Silent Tom era un muro umano di fronte alla porta chiusa della terza stanza privata in fondo. Ma Trez non aveva bisogno di nessuna spiegazione per fare due più due: il suo naso eseguì perfettamente l'addizione.

La dolce puzza nauseante di un lesser permeava il corridoio, sovrastando il sudore e il sesso degli umani tutto intorno.

"Lasciami dare un'occhiata," esordì cupo.

Silent Tom si fece di lato. "Si muove ancora. Qualunque diavolo di cosa sia."

Già, probabilmente l'assassino lo era. Quei bastardi dovevano essere uccisi in un modo distinto oppure continuavano a vivere, anche se fatti a pezzi.

"Dobbiamo chiamare un'ambulanza," disse Big Rob. "Sono stato io. Non volevo..."

Trez sollevò una mano. "Hai fatto bene. E lascia perdere il 911."

Aprendo la porta, fece una smorfia all'intensificarsi della puzza, poi entrò nella stanza tre metri per tre. Le pareti e i pavimenti erano neri, il soffitto coperto di specchi, un faretto diffondeva una luce soffusa dall'alto. L'assassino era raggomitolato nell'angolo più lontano sotto la panca incorporata per lo spanking, si lamentava e perdeva un olio viscido che puzzava come una carcassa in decomposizione mista a biscotti di farina d'avena appena sfornati e borotalco per bambini Johnson & Johnson.

Rivoltante. E ancora una volta, gli faceva passare la voglia di fare una scappata da Mrs. Fields per i dolci, che lui non apprezzava... e di avere bambini, di cui non gli importava niente.

Trez controllò l'orologio. Mezzanotte. Xhex, a capo del servizio di sicurezza, si stavo godendo una rara serata libera col suo compagno, John Matthews... e Trez aveva dovuto costringere la femmina a prendersi una pausa, perché era l'unica volta durante quella settimana che il suo hellren non era di turno con la Confraternita del Pugnale Nero.

Avrebbe dovuto occuparsi di quel problema da solo.

Trez tornò in corridoio. "Okay, cos'è successo?"

Con discrezione, Big Rob tirò fuori una manciata di sacchetti di cellophane pieni di polvere e un rotolo di banconote. "Lo abbiamo trovato a spacciare questa. È diventato arrogante. L'ho picchiato e lui ha risposto al colpo... era un cazzo di demonio, e quando ha tirato fuori il coltello, ho capito di essere nei guai. Ho fatto ciò che dovevo fare."

Trez imprecò quando riconobbe il simbolo riprodotto sulle bustine di eroina. Non era roba degli umani... ed era la seconda volta che lo vedeva.


Era l'Antico Idioma dei vampiri... e quella merda era di nuovo tra le mani di un lesser? Questa volta come spacciatore?

Prese la droga e se la mise in tasca. Lasciò che il suo buttafuori si tenesse il contante "Sei stato fortunato a non essere ucciso."

"Parlerò alla polizia. È tutto inciso su nastro."

Trez scosse la testa. "Non coinvolgeremo il Dipartimento di Polizia di Caldwell."

"Ma non possiamo semplicemente lasciarlo qui." Big Rob lanciò un'occhiata al suo partner silenzioso. "Sta per morire."

Gli ci volle un attimo a soggiogare la mente degli umani. Di entrambi. In quanto Ombra, Trez era come qualsiasi altro vampiro, in grado di penetrare in un cervelletto e di risistemare pensieri e ricordi, come fossero poltrone e divani in un soggiorno.

O magari di rimuoverli del tutto dalla casa.

Il corpo di Big Rob si rilassò all'istante e lui annuì. "Oh, certo. Possiamo attendere qui. Nessun problema, capo... e non preoccuparti, non vuoi che nessuno entri qui dentro? Sarà fatto."

Trez gli diede una pacca sulla schiena. "Posso sempre contare su di te."

Dirigendosi di nuovo verso il suo ufficio, continuò a inveire. Era andato dai Fratelli mesi prima, quando aveva trovato per la prima volta un assassino con quella merda addosso. E avrebbe voluto approfondire il rapporto con i guerrieri. Ma la vita si era messa in mezzo, cose come la s’Hisbe gli davano la caccia, e Selena e lui…

Il solo pensare all'Eletta gli fece chiudere gli occhi e inciampare sulle scale.

Poi, però, si sbarazzò di quel tormento. Perché si trattava di lasciar andare o di collassare in un buco nero. La buona notizia? Aveva trascorso un sacco di tempo negli ultimi nove mesi, cercando di tenere la sua mente, le sue emozioni, la sua anima, lontano da Selena.

Per cui era abituato a quel genere di prova di forza.

Purtroppo, lei rimaneva una preoccupazione costante, come una febbriciattola che lo perseguitava, indipendentemente da quanto dormisse e mangiasse nel modo corretto.

E alcune notti, era molto più che una preoccupazione... che poi era il motivo per cui qualche volta aveva dovuto andarsene dalla magione della Confraternita e tornare a dormire nel suo appartamento al Commodore.

Dopotutto, i maschi che avevano sviluppato un legame potevano essere pericolosi, il fatto che non fosse con lei - e non lo sarebbe stato - non significava assolutamente niente per quella parte di lui. Specialmente quando lei nutriva i guerrieri che non potevano, per un qualunque motivo, cibarsi dalla vena delle loro compagne.

Era assolutamente folle.

Lei era una virtuosa serva della Vergine Scriba, lui era uno riabilitato dalla dipendenza da sesso, con una sentenza di prigione a vita che pendeva sulla sua testa, eppure secondo il suo cazzo e le sue palle, questa era la ricetta del vero amore.

Sì. C'era della virtuosa scienza dei numeri ad attenderlo.

Dio, era quasi sollevato di avere un assassino che gocciolava dappertutto in una delle sue stanze del sesso. Almeno questo gli dava una bomba da disarmare... il che era meglio che starsene a fissare quell'anonima folla di sconosciuti, che nutrivano le loro dipendenze grazie alle donne e agli alcolici di cui lui li riforniva.

Mentre attendeva l’inevitabile ritorno a casa.

Alla s’Hisbe.