mercoledì 24 settembre 2014

Capitolo 22 di THE KING di J.R. Ward


The King


22


Sola non ricordava di aver mai sentito così tanto freddo.
Avvolta nel sacco a pelo, con le bocchette di ventilazione che le sparavano direttamente sul viso l'aria calda del riscaldamento al massimo, non riusciva a smettere di rabbrividire sul sedile posteriore della Range Rover.

D'altronde, c'era una mezza dozzina di buone ragioni per essere sotto shock, quel tipo di shock che parte dalla testa e intorpidisce il corpo con un'immobilità profonda.
Cambiando posizione, la sua coscia si ribellò - ricordandole che c'era anche un'imperativa necessità fisica al momento. Quanto sangue aveva perso?

"Siamo quasi arrivati."

Lei voltò la testa al suono di quella voce dall'accento marcato. Anche se non c'era alcuna luce a illuminare l'abitacolo del SUV, Sola riuscì a vedere il viso di Assail come fosse illuminato da un riflettore: sopracciglia scure affilate, labbra carnose, mandibola prominente. I capelli neri dall'attaccatura a punta.

Tra un flash e un altro, vide del sangue sulla parte inferiore del suo volto... e dei denti molto affilati.

O era stato un incubo? Aveva dei seri problemi a distinguere la realtà dalla fantasia.

Sola aprì la bocca per parlare, ma non ne uscì nulla. "La mia testa... non funziona bene."

"È tutto a posto." Come colpito da un impulso improvviso, Assail allungò una mano nella sua direzione, ma la lasciò cadere come se non sapesse cosa fare.

Sola deglutì con difficoltà, la bocca completamente riarsa. "Ancora acqua, per favore?"

Lui si mosse incredibilmente in fretta, come se stesse aspettando l'opportunità di poter far qualcosa. E quando tolse il tappo a un'altra bottiglia di Poland Spring, lei spinse via il sacco a pelo per liberarsi le mani - e restò intrappolata. Il tessuto in nylon sembrava pesare quanto un rivestimento di asfalto.

"Sta' ferma," disse lui dolcemente. "Lascia che ti serva."

"Le mie mani sono fuori uso."

"Lo so." Lui le avvicinò la bottiglia aperta alle labbra. "Bevi."

Più facile a dirsi che farsi. Sola cominciò a battere i denti. "Mi spiace," biascicò lei, mentre l'acqua scivolava ovunque.

"Ehric, quanto manca?" sbottò lui.

La Range Rover si fermò improvvisamente. "Credo che ci siamo - ovunque sia."

Sola aggrottò la fronte guardando oltre la spalla del conducente davanti a lei. La recinzione traballante illuminata dai fari dell'auto era di quelle che si trovavano attorno alle fattorie di bestiame - ormai abbandonate. Una metà pendeva da un angolo, le vecchie assi e il filo arrugginito aggrovigliati in una massa confusa.

"Dove stiamo andando?" chiese lei con voce roca. "Credevo... che stessimo andando a casa."

"Prima devi essere curata." Assail lo ripeté di nuovo mentre allungava una mano e la ritraeva prima di toccarla. "Hai bisogno... sei ferita e non possiamo far sì che tua nonna ti veda ridotta in questo stato."

"Oh. Giusto." Gesù, aveva completamente dimenticato che era mezza nuda, ferita e aveva bisogno di una lunga doccia calda. "Grazie."

"Non può essere. Assolutamente," mormorò quello alla guida.

Assail guardò attraverso il parabrezza e si accigliò - come se le cose non stessero andando come si aspettava. "Va' verso quella scatola."

Si avvicinarono a quella che sembrava una casetta per gli uccelli in legno su un palo instabile e l'autista abbassò il vetro laterale -

Una voce rude e incorporea parlò attraverso l'altoparlante: "Okay. Superate i cancelli."

Come per magia, le "vetuste" inferriate si aprirono al centro, scivolando sui lati silenziosamente e senza intoppi.

La strada era ricoperta di neve, ma praticabile. E dopo un po' raggiunsero un'altra protezione. Questa era meno debole, e anche più alta, fatta di arrugginiti anelli concatenati, che tuttavia apparivano ben fissi ai propri posti. Questa volta non dovettero fermarsi - la cancellata si aprì, facendoli passare.

E proseguirono.

Man mano che avanzarono, i sistemi di apertura divennero sempre più moderni e imponenti fino a che raggiunsero un ingresso che sembrava appartenere a una struttura governativa. Piloni di cemento spessi come quelli che sostenevano i ponti di Caldwell fissati a pannelli di solido metallo della stazza di un cartellone pubblicitario. E allungando uno sguardo su entrambi i lati? Vedevi un muro alto più di sei metri con sopra del filo spinato e avvisi per i trasgressori ogni tre.

Proprio stile Jurassic Park, pensò Sola.

"Impressionante," borbottò quello al volante.

Continuando ad avanzare, fu loro aperto prima che si fermassero all'ovvio posto di blocco, con relativo tastierino, altoparlante e telecamera.

"È... una base dell'esercito?" mormorò Sola.

Forse Assail era un agente sotto copertura - nel qual caso... "Ho bisogno di un avvocato?" pretese di sapere lei.
"Per cosa?" Assail restò concentrato su qualunque cosa si stesse avvicinando, con lo sguardo fisso al parabrezza come se guidasse lui.

"Stai per arrestarmi?"

Lui voltò la testa di scatto, le sopracciglia basse. "Di che diamine stai parlando?"

Sola si rilassò contro lo schienale. Se stava mentendo, la sua interpretazione era degna di un Oscar. E se non lo stava facendo - beh, forse quello era il modo in cui Dio rispondeva alle sue preghiere: una soluzione sicura per tenerla fuori da quella vita era spedirla tra le braccia del sistema giudiziario.

Il tunnel sotterraneo in cui entrarono era degno del Lincoln o dell'Holland Center, con tutte le luci fluorescenti la linea gialla al centro, e la discesa mise la Range Rover in una strana angolazione.

"Siamo ancora a Caldwell?" chiese lei.

"Sì."

Assail si riappoggiò allo schienale e, in quell'abbondanza di luce, lei vide che infilava la mano destra nel suo parka.
Sola aggrottò la fronte. "Stai... perché stai impugnando la pistola?"

"Non mi fido di nessuno se non di me stesso." Si volse verso di lei. "E ho fatto una promessa a tua nonna. Ti riporterò da lei senza ferite e io sono un uomo di parola. Almeno in questo."

Quando lei incontrò i suoi occhi, sentì nel petto la più strana delle sensazioni. In parte era paura, e questo la confondeva. Nella situazione in cui si era trovata, il suo salvatore avrebbe fatto meglio a caricare la sua calibro 40 e tenersi pronto a usarla.

L'altra parte, invece, era... qualcosa su cui lei non voleva soffermarsi troppo.

Il tunnel terminò nel parcheggio di un complesso che le ricordò quello al di sotto dell'Arena di Caldwell: soffitto basso, un mucchio di spazio, l'ascensore che spariva dietro l'angolo suggeriva ci fossero diversi piani al di sopra.

"Dove siamo?" chiese lei quando arrivarono davanti a una porta chiusa.

Neanche il tempo di formulare la domanda e la porta fu spalancata e ne uscì una squadra medica composta da dottori e infermiere con tanto di barella.

"Grazie, Vergine Scriba," mormorò Assail.

Oh... merda. I camici bianchi non erano soli - erano accompagnati da tre uomini enormi: uno biondo con una faccia che sembrava uscita dal grande schermo, un tizio che assomigliava a un militare, coi capelli a spazzola e un'espressione dura come il granito, e infine un'autentica, terrificante copertura dalla testa rasata e una cicatrice che correva lungo tutta la guancia  e si curvava al lato della bocca.

No, non rappresentavano il governo degli Stati Uniti.

A meno che non facessero parte di un dipartimento segreto di intransigenti.

Assail raggiunse la porta. "Resta in macchina."

"Non andare," sbottò Sola.

Lui la guardò. "Non aver paura. Me lo devono."

Il suo soccorritore allungò nuovamente la mano, e questa volta non si fermò.  Le accarezzò la mandibola con tale delicatezza che, se non lo avesse visto, lei non se ne sarebbe accorta.

"Resta."

E l'attimo successivo era sparito, la porta chiusa alle sue spalle. Attraverso il vetro oscurato, lei vide un quarto uomo nel corridoio illuminato. Sì, come se quelli di prima non fossero sufficienti... Con uno spolverino di pelliccia lungo fino a terra e un bastone tra le mani, quel tizio sembrava un magnaccia della vecchia scuola, il taglio alla mohicana e il sorriso sardonico si adattavano perfettamente all'immagine.

L'uomo e Assail si scambiarono una stretta di mano, e restarono unite mentre parlavano tra di loro -

C'era qualcosa che non andava. Assail s'incupì; poi apparve totalmente incazzato. Ma quando l'uomo con la mohicana strinse le spalle e parve irremovibile, Assail mise giù la propria arma e tirò fuori le altre nascoste sul suo corpo. E solo dopo che i suoi uomini, una volta scesi dall'auto, furono sottoposti alla stessa perquisizione, il magnaccia fece un cenno d'assenso alla squadra di dottori e infermieri di andare verso il veicolo.

Quando aprirono la portiera, Sola strinse il sacco a pelo fino a coprirsi il mento in un attacco di paura -

La donna che mise la testa nell'abitacolo era bellissima, con corti capelli biondi e occhi verde scuro. "Salve. Sono la dottoressa Jane. Vorrei darle un'occhiata, se me lo permette."

La sua voce era tranquilla. Gentile. Posata.

Eppure Sola non riuscì né a muoversi né a rispondere.

Almeno non fino a che Assail non comparve di fianco al dottore. "Va tutto bene, Marisol. Si prenderà cura di te."

Sola si ritrovò a fissare quegli occhi per un lunghissimo istante. Quando fu soddisfatta di ciò che vide, sussurrò, "Okay. Va bene..."

E fu allora che smise di tremare.


*    *    *


Assail non era contento di avere le fondine vuote, ma Rehv era stato chiaro: sia lui che i suoi cugini dovevano essere disarmati, oppure la femmina umana non sarebbe stata curata.

Era l'unica circostanza in cui Assail avrebbe acconsentito a essere vulnerabile e lo detestava. Ma era una cosa che andava fatta.

"E il suo nome è Marisol," sentì la sua stessa voce parlare sommessamente alla bionda dottoressa. "Sola."

Alla sua sinistra percepiva lo sguardo di Rehv, e il leahdyre del Consiglio non era il solo. I tre Fratelli assegnati alla guardia erano troppo ben addestrati per mostrare qualcosa, ma era sicuro che si stessero chiedendo perché si era presentato alla loro porta con una femmina umana. Che era ferita. E per la quale lui si era volontariamente disarmato.

"No, resta lì, Marisol. Veniamo dall'altro lato." La dottoressa tirò fuori la testa dall'auto e fece un cenno affermativo al suo team. "I parametri vitali sono bassi ma stabili. Ferita da arma da fuoco alla coscia destra. Possibile commozione cerebrale. Lo shock è preoccupante. Può aver sofferto altri traumi di cui non vuole riferire."

Assail sentì il sangue defluire verso il basso, ma non si concesse di perdere i sensi -

"Tu," disse lui bruscamente. "Stai indietro."

Il maschio - oppure, Dio, era davvero un uomo umano? - si bloccò.

Il primo dottore, la femmina, parlò. "Questo è il mio collega. Il dottor Manello. Lui è -"

"Non deve curarla." Assail mostrò le zanne. "Lei è nuda dalla vita in giù."

Lui era vagamente conscio che tutti si erano immobilizzati e guardavano nella sua direzione. Ed era anche consapevole dell'odore che all'improvviso era entrato in scena. Non si soffermò su niente di tutto quello mentre fissava quell'uomo, pronto ad attaccarlo alla gola se avesse continuato a camminare dietro alla Rover.

Il tizio alzò le mani come se si trovasse davanti a una pistola. "Okay, okay. Diamoci una calmata. Se vuoi che ne stia fuori dai piedi, starò fuori dai piedi."

Tornando indietro, si mise di fianco ai Fratelli, scuotendo la testa ma senza dire una parola.

La dottoressa mise la mano sul braccio di Assail. "Dobbiamo spostarla sulla barella. Perché non vieni con me? Così puoi guardare e starle vicino."

Assail smise di ringhiare e si schiarì la gola. "Va bene. Ti ringrazio."

In realtà, fece di più.

Quando la dottoressa aprì lo sportello di Marisol, Assail odiò il modo in cui lei indietreggiò prima che lei potesse afferrarla. Poi, però, gli occhi di Sola incontrarono i suoi.

"Vuoi che ti tiri fuori da lì?" le chiese a bassa voce prima che qualcuno del personale medico potesse muoversi.

"Sì, per favore."

Era così giusto farsi largo tra la gente ed essere il maschio che aveva cura di lei. Allungandosi nell'abitacolo del SUV, la prese tra le braccia, facendo attenzione a raccogliere anche il sacco a pelo in modo che fosse coperta -

Il sibilo che lei provò a soffocare gli fece venire la nausea, ma doveva tirarla fuori di lì - e una volta raddrizzatosi, lei riuscì a sistemarsi tra le sue braccia in modo che non le causasse troppo dolore.

Gli appoggiò la testa sulla spalla e la lasciò là.

"La porto io dentro," disse Assail alla dottoressa.

"Probabilmente è meglio se - ah, okay, va bene." La dottoressa bionda alzò le mani quando le zanne di lui lampeggiarono di nuovo. "D'accordo. Seguimi."

Il Fratello Rhage fu il primo a entrare nel corridoio e gli altri due guerrieri rimasero indietro e chiusero la fila insieme ai cugini.

Assail camminò quanto più dolcemente possibile, ogni irrigidimento degli arti di Marisol o un secco respiro comunicavano il suo dolore direttamente al proprio petto fino a che gli bruciarono i polmoni, gli mancò il fiato e gli dolse la gamba.

Continuando ad avanzare, passarono davanti a un'infinità di stanze, in alcune delle quali lui guardò, ad altre non si preoccupò neanche di voltare la testa. Dal po' che aveva notato, c'erano delle aule, un ufficio vuoto... qualcosa di simile a una stanza degli interrogatori. Proprio quando si stava convincendo che stessero entrando nel territorio di un'altra provincia, la dottoressa si fermò e indicò una stanza visite.

La barella al centro della camera era proprio sotto la serie di luci sospese, e quando si avvicinò per trasferire Marisol su quella superficie imbottita, ricoperta da lenzuola, Assail fu contento che la dottoressa non accendesse le luci. Sembrava fin troppo luminoso in quella stanza piastrellata, con tutto quell'acciaio inossidabile e gli scaffali rivestiti di vetro che gli facevano l'occhiolino, il carrello mobile con gli strumenti una vera minaccia anche se si supponeva che quegli attrezzi, usati dalle mani giuste, dovessero aiutare.

Beata Vergine nel Fado, il viso di Sola era grigiastro dal dolore e dallo sfinimento quando la fece appoggiare, aveva le ginocchia strette al petto e quel sacco a pelo blu avvolto così stretto attorno al corpo come una seconda pelle.

"Tutte le persone non necessarie dovranno stare fuori," disse la dottoressa, scacciando con una mano i Fratelli, i cugini di Assail e il medico maschio. "No, assolutamente no - andrà tutto bene. Esatto, ciao ciao." Poi continuò a bassa voce. "È un maschio legato alla sua compagna. Volete averci a che fare se dovrò effettuarle un esame interno?"

Un maschio... legato? Lui?

Quando i Fratelli cominciarono a discutere con lei, Assail annuì bruscamente ai guerrieri e a Rehvenge. "Non ci sarà alcun problema da parte mia. Avete la mia parola."

Solo che si domandò se l'intimità di Marisol meritasse protezione anche da quelli come lui.

"Marisol," cominciò piano. "Forse sarebbe meglio se io -"

"Resta."

Assail chiuse gli occhi. "Va bene."

Andandole di fianco, lui voltò la schiena al suo corpo così che lei avesse un contatto visivo col suo volto, ma che lui non vedesse nulla che potesse compromettere la sua privacy.

La dottoressa si fermò accanto a lei e parlò dolcemente. Con gentilezza. "Se potessi sdraiarti sarebbe perfetto. Se non ti senti a tuo agio, lo capisco, e solleverò il lettino per te."

Ci fu un lungo silenzio. "Qual è il suo nome?" chiese bruscamente Marisol.

"Jane. Sono Jane. Quella alle mie spalle è la mia infermiera, Ehlena. E qui non accadrà nulla a cui tu non acconsentirai, va bene? Sei tu al comando."

Di sicuro, Assail ebbe la sensazione che quella dottoressa gli sarebbe piaciuta.

"Okay. Va bene." Marisol prese la mano di Assail e si sdraiò con una smorfia di dolore sul viso fino a che non fu completamente supina. "Okay."

Lui si aspettava che gli lasciasse andare la mano una volta sistemata. Ma non lo fece - e i suoi occhi non lasciarono mai i suoi. Non li lasciarono quando il medico le tolse il sacco a pelo e la rivestì con una coperta. Non lo fecero quando le domande riguardo a una possibile commozione cerebrale furono poste e i riflessi testati. Non si mossero quando quella ferita alla coscia fu toccata e punzecchiata. Non li distolse neanche quando usarono il macchinario per i raggi X per fare disparate lastre.

"Bene, ho diverse buone notizie," disse la dottoressa dopo un po' avvicinandosi con un computer portatile. Sullo schermo c'era l'immagine in ombra del forte e spesso femore di Marisol. "Non solo la commozione è lieve, il proiettile è entrato e uscito senza trovare ostacoli. Non ci sono tracce di schegge d'osso o infrazioni. Vorrei ripulirti tutto - e darti degli antibiotici tanto quanto degli antidolorifici. Come ti pare?"

"Va bene," tagliò corto Marisol.

La dottoressa rise, mettendo da parte il computer. "Ti giuro che starai benissimo. È quello che mi dicono tutti i miei pazienti. Inoltre, io rispetto la tua intelligenza - e so che non vuoi mettere a repentaglio la tua salute. Ciò che mi preoccupa è l'infezione - in auto mi hai detto che sei stata colpita ventiquattrore fa. È un mucchio di tempo per far proliferare i batteri nella ferita."

"Vediamo di capirci qualcosa, Marisol," disse Assail. "Accettiamo questi consigli."

Marisol chiuse gli occhi. "Okay."

"Bene, bene." La dottoressa scrisse qualcosa sul computer. "C'è ancora un'altra cosa."

"Cosa?" chiese Assail dopo una lunga pausa.

"Marisol, ho bisogno di sapere se sei stata ferita da qualche altra parte."

"Qualche altra... parte?" fu la risposta confusa.

Assail percepì lo sguardo del dottore. "Ti spiace scusarci per un minuto?"

Prima che lui potesse rispondere, Marisol gli strinse la mano talmente forte che lui trasalì. "No," disse lei rigidamente. "Nessun'altra parte."

La dottoressa si schiarì la gola. "Puoi dirmi tutto, lo sai. Tutto ciò che può essere pertinente alla tua cura."

All'improvviso, il corpo di Marisol ricominciò a tremare - gli stessi spasmi che l'avevano colpita sul sedile posteriore della Range Rover. Velocemente, come se si stesse strappando via qualcosa dalla pelle, disse, "Ha cercato di violentarmi. Non è successo. L'ho eliminato prima che -"

Tutti insieme, i suoni nella stanza scomparvero. Il pensiero - no, la realtà - che qualcuno l'aveva maltrattata, ferita, che aveva sfregiato il suo prezioso corpo, che aveva provato a...

"Si sente bene?" chiese qualcuno. L'infermiera. Doveva essere la -

"Sta perdendo i sensi!" urlò il medico.


Assail si domandava di chi stessero parlando... quando perse conoscenza.

mercoledì 17 settembre 2014

Capitolo 21 di THE KING di J.R. Ward


The King


21


Una volta che Fritz e John se ne furono andati, Beth entrò finalmente nella casa di suo padre - e nell'attimo stesso in cui vi mise piede, lo scorrere implacabile del tempo andò a ritroso. Prima un istante, poi minuti, ore, giorni... infine settimane e mesi... scomparvero.

All'improvviso era tornata a essere la Beth che era prima di conoscere Wrath - una donna umana di poco più di vent'anni che viveva col suo gatto in un angusto studio, che provava a farsi strada in un mondo senza l'aiuto di niente e di nessuno. Certo, aveva amato degli aspetti del suo lavoro, ma il suo capo, Dick il Coglione, era stato un incubo di sguardi lascivi e misoginia. E sì, le veniva retribuito uno stipendio, di cui non le rimaneva molto una volta pagato l'affitto di casa - o l'opportunità di fare carriera al Caldwell Courier Journal. Oh, e le storie d'amore di un qualsiasi tipo erano finte e lontane all'orizzonte quanto il Cavaliere Solitario.

Non che fosse interessata agli uomini, sul serio. O alle donne, per niente.

Ma quella sola volta, un'esperienza unica...

Chiudendo la porta, Beth assicurò la serratura. Fritz aveva la chiave di riserva, quindi chiunque fosse arrivato con la sua roba sarebbe stato in grado di entrare - ma nessun altro sarebbe riuscito.

Quando il silenzio della casa l'avvolse, si sentì come in una gabbia. Come diamine aveva fatto a finire lì? Trascorrere un intero giorno senza Wrath? Già dalla sera precedente, nel loro appartamento in New York, una separazione del genere sarebbe stata impensabile.

Camminando nel salotto alla sua sinistra, Beth gironzolò ricordando come, la prima volta era stata là, era convinta che Wrath fosse uno spacciatore, un criminale, un assassino. Almeno aveva sbagliato sulle prime due - e invece lui le aveva confermato l'ultima quasi uccidendo Butch O'Neal davanti ai suoi occhi in un vicolo.

Di seguito a quel piccolo orrore, erano arrivati in quella casa - dove avevano trovato Rhage nel bagno del piano inferiore che si ricuciva da solo. Ed era stato dopo quello che l'aveva portata dietro al dipinto, giù per la scala sotterranea illuminata fiocamente... nel rifugio nascosto.
Dove le aveva detto chi lei fosse davvero.

Cosa lei fosse davvero.

Quando si dice scoprire la propria natura. Solo che così aveva un senso tutto ciò che fino a quel momento l'aveva confusa - il non sentirsi a proprio agio con la gente, quel senso di non appartenenza, quell'irrequietezza che aumentava mentre si avvicinava alla sua transizione.

Pensare che aveva creduto che tutto ciò di cui aveva bisogno fosse allontanarsi da Caldwell.

Assolutamente no. Il cambiamento stava per arrivare e senza Wrath sarebbe morta. Senza alcun dubbio.

L'aveva salvata sotto così tanti aspetti. L'aveva amata col corpo e con l'anima. Le aveva dato un futuro che lei non avrebbe sognato neanche lontanamente.

E adesso? Tutto ciò che lei voleva era poter tornare al principio. Le cose erano così semplici allora...

Una volta davanti al ritratto a tutt'altezza del re francese, Beth spinse il pulsante nascosto che fece scorrere la tela dipinta a olio nella cornice a foglie d'oro dal peso di due tonnellate. Quando si aprì, lei quasi si aspettava che il percorso in discesa fosse completamente buio - dopo tutto, nessuno aveva vissuto lì per quanto tempo? Ma allo stesso modo in cui tutto era stato spolverato e lucidato, le luci brillavano nelle strutture di ferro battuto delle lanterne a gas, i gradini di pietra e i muri curvavano verso lo scantinato.

Gesù, c'era sempre lo stesso odore. Di umido e di chiuso, ma non di sporco.

Con una mano sulla pietra irregolare, Beth scese sottoterra. Le due suite matrimoniali in fondo le davano la possibilità di scegliere sia a sinistra che a destra, e lei scelse quella a sinistra.

Quella che era stata il vecchio rifugio di suo padre dal sole.

Le foto che la ritraevano si trovavano ancora dove lui le aveva messe, tanti tipi di foto in diverse cornici coprivano la scrivania, i comodini di fianco al letto, la cornice del camino.

L'immagine che lei stava cercando era vicino alla sveglia.
Era l'unica foto di sua madre e sì... bastava solo un'occhiata alla donna per capire da chi lei avesse ereditato gli spessi capelli neri, l'ovale del viso e la forma delle spalle.

Sua madre.

Che tipo di vita aveva vissuto quella donna? Come aveva incontrato Darius? Da quello che Wrath le aveva raccontato all'inizio, non erano stati insieme a lungo prima che lei scoprisse cosa realmente fosse Darius - e fuggisse a gambe levate. Fino a che non aveva scoperto di essere incinta ed era tornata indietro da lui per vederlo, spaventata da ciò che stava per mettere al mondo.

Era morta dandola alla luce.

E dopo di allora Darius era rimasto nelle retrovie, sperando che la loro figlia non avesse ereditato tutto dal lato vampirico.

Certi mezzo sangue non affrontavano il cambiamento. Alcuni non sopravvivevano alla transizione. E quelli che ce la facevano e ne uscivano trasformati in vampiri erano soggetti a diverse e imprevedibili leggi biologiche. Beth, per esempio, poteva esporsi ai raggi solari a patto che indossasse gli occhiali da sole e la crema protettiva. Butch, invece, non poteva smaterializzarsi.

Per cui solo Dio sapeva cosa accadeva con la storia della gravidanza. Ma se fosse stata fortunata, lei sarebbe entrata nel suo bisogno e con Wrath nei paraggi avrebbe potuto concepire...

Be', dopotutto, era così che era morta sua madre, giusto?
"Merda."

Sedendosi sul materasso, Beth si prese la testa tra le mani. Forse Wrath aveva ragione. Forse l'intera storia del concepimento era davvero troppo pericolosa. Ma questo non giustificava il modo in cui l'aveva trattata, e non chiudeva la discussione.

Cristo, mentre se ne stava seduta lì, circondata dalle fotografie che Darius le aveva scattato, era ancora più sicura di volere un bambino.

Lasciando cadere le braccia, prese il suo BlackBerry, inserì la password e controllò se fossero arrivati messaggi che non aveva sentito. Nessuno. Facendo girare il telefono tra le mani, Beth desiderò appena che fosse un iPhone. Eppure, V non era solo anti Apple; lui era convinto che l'eredità di Steve Jobs fosse la radice di tutti i mali del mondo...

A volte le coppie comunicavano meglio attraverso un apparecchio telefonico.

E anche se Wrath non si era comportato bene non voleva dire che lei dovesse seguire il suo esempio. Se era intenzionata a starsene un po' da sola per le successive dodici ore o giù di lì, doveva ripagargli la cortesia dicendoglielo lei stessa - e non usare suo fratello come portavoce.

Il problema era che Wrath non aveva più un cellulare. Non ne aveva bisogno - quando era stato ufficialmente investito della carica di Re, era stato "messo a riposo" dalla Confraternita dalla tradizione, dalla legge e dal fottuto buon senso. Non che fosse servito a non fargli beccare un proiettile.

Comunque c'erano una quantità di telefoni alla magione.

Le sei del mattino. Probabilmente era ancora al lavoro alla sua scrivania.

Dopo aver premuto i tasti, lei restò in ascoltò e sentì uno squillo. Un altro. Un terzo.

Non c'era più una casella vocale a disposizione di Wrath, perché quelli della glymera avevano abusato del numero telefonico che era stato dato loro. Ed era così che si era ritrovato con un maledetto account e-mail.

Il numero che compose in seguito fu quello della loro camera da letto, non era pubblico, infatti non lo aveva mai sentito squillare. Nessuna risposta.

A quel punto, Beth aveva diverse possibilità. La clinica del centro di addestramento - nel caso in cui Wrath fosse ferito. Ma come sarebbe potuto succedere? Lui non lasciava più la casa. La cucina - solo che stavano per servire l'Ultimo Pasto e probabilmente Wrath non si sarebbe seduto a tavola in quella confusione senza di lei. Anche se lui non lo aveva mai detto, Beth aveva la sensazione che le stanze rumorose e affollate lo facessero sentire a disagio, perché i suoi sensi dell'udito e dell'olfatto subivano un sovraccarico, rendendogli difficile identificare gli individui in un determinato punto.

C'era soltanto un altro numero da provare.

Mentre cercava il contatto sfogliando la rubrica, un altro ricordo le si presentò alla mente.

Vide Tohr attraversare le porte di vetro scorrevoli del suo vecchio appartamento, il Fratello incombeva minaccioso come un incubo. Ma lui era stato, ed era sempre, un alleato. Quella notte avevano condiviso una Sam Adams (è una marca di birra), dei biscotti all'avena e il film Godzilla, ed era stato l'inizio di una vera amicizia.

Adesso era cambiato tutto per lui. Aveva perso Wellsie. Aveva trovato Autumn.

E nemmeno Beth era più la stessa.

Inoltrò la chiamata e ci fu un solo squillo prima che ci fosse risposta: "Beth."

Lei aggrottò la fronte al tono strano nella voce di Tohr. "Stai bene?"

"Oh, sì. Assolutamente. Sono contento di sentirti."

"Ah... perché?" Wrath aveva detto alla Confraternita che non sarebbe tornata a casa? Probabilmente no. "Non importa. Io volevo... cercavo Wrath. Sai dov'è? Ho provato a chiamare lo studio e le nostre stanze, ma non ha risposto."

"Oh, sì. Assolutamente."

Che cazzo!? "Tohr. Che sta succedendo."

Puro terrore si fece strada al centro del suo petto mentre la mente l'abbandonava. Cosa -

"Niente. Davvero - beh, un importante ospite inaspettato sta per arrivare alla clinica, quindi sto organizzando la copertura."

Ah, certo. Era solo stata paranoica. Meglio che aver avuto ragione, comunque.

"E riguardo a Wrath, l'ultima volta che l'ho visto, stava..." Ci fu una pausa. Poi un rumore di sottofono, come se Tohr stesse portando il cellulare all'altro orecchio. "Stava tirando il fiato."

"Tirando il fiato?"

"Stava dormendo."

Beth sentì caderle la mascella. "Dormendo?"

"Sì. Stava riposando."

"Sul serio?"

Ed eccola là, a mettersi sotto pressione da sola, a sentirsi confusa riguardo i propri sentimenti e i propri pensieri, a rivedere la loro intera relazione, a pianificare conversazioni, a preoccuparsi. E nel frattempo, lui stava semplicemente facendo un sonnellino.

"Bene, è fantastico," sentì dire alla propria voce. "Sono davvero felice per lui."

"Beth -"

"Senti, devo andare." Già, era davvero occupata, occupatissima. "Se si sveglia digli..."

No, non era per quello che aveva chiamato. Gli uomini non erano i soli a cui fosse concesso mantenere il proprio orgoglio; le donne non dovevano per forza essere il sesso debole.

"Guarda, glielo dirò io. Sono a casa di mio padre, sto sistemando e dando una ripulita." Già, perché quella casa era un tale casino! "Ma tornerò stanotte."

Il respiro di sollievo che Beth percepì attraverso la linea fu impressionante. "Oh, è un'ottima notizia. Sono davvero contento."

"Okay, bene..." ma Beth non riusciva a chiudere la comunicazione.

"Beth? Sei ancora lì?"

"Sì. Ci sono." Si ritrovò a massaggiarsi la coscia su e giù. "Ascolta, posso chiederti una cosa?"

"Certo."

Dopotutto, Wellsie e Tohr avevano avuto i loro litigi - e Beth era al corrente di alcuni personalmente prima che la magnifica rossa fosse portata via da loro troppo presto. Cavolo, Wellsie non aveva avuto paura di dire esattamente quello che pensava a nessuno. Nemmeno al suo hellren. Non si era mai infervorata senza una buona ragione, naturalmente, ma in quel caso non avresti voluto averci a che fare.

La gente l'aveva rispettata.

Cosa pensano di me? si domandò Beth.

"Beth?"

Di sicuro, se c'era qualcuno che poteva aiutarla con Wrath, e tenere la cosa nascosta, quello era Tohr. Infatti di solito era lui che mediava tra la gente e il Re.

"Beth, che sta succedendo?"

Aprì la bocca, pronta a sfogarsi, ma c'era un problema: la persona con cui lei aveva bisogno di parlare era Wrath. Chiunque altro era solo un sostituto.

"Fai ancora il tifo per il mostro?"

Ci fu una pausa. E poi il Fratello scoppio nella sua tipica risata baritonale. "Stai dicendo che c'è un'altra maratona su Godzilla?"

Beth era contenta di essere sola. Perché aveva la sensazione che il sorriso che portava sul viso fosse più triste delle lacrime.

Lei voleva solo tornare a quando tutto era più semplice. Più facile. A quando erano più vicini.

"Stavo solo pensando ai bei vecchi tempi," sbottò lei.

Immediatamente, il tono di Tohr divenne serio. "Già. Erano... belli."

Oh, merda. Anche se era innamorato e aveva sposato Autumn, doveva farlo soffrire pensare alla sua prima moglie... e al bambino che portava in grembo.

"Mi dispiace, io -"

Tohr si riprese prima di lei. "Non fa male per niente. Il passato è ciò che è - bello o brutto, è già scritto e non può essere cambiato. E conforta sapere che sia così."

Le lacrime le punsero gli occhi. "Cosa vuoi dire?"

Ci fu una lunga pausa. "I bei momenti sono più luminosi perché puoi affidarti a loro. Quelli brutti non possono peggiorare per la stessa identica ragione. Il passato non è pericoloso perché è indelebile."

Beth pensò di nuovo a quel primo appuntamento che lei e Wrath avevano avuto al primo piano. Per quanto il senno di poi  lo dipingesse con un bagliore roseo, non era stato proprio perfetto, vero?

A pensarci bene, lui era arrabbiato quando lei era arrivata quella notte. Al punto che, a metà della quarta portata della cena, lei aveva pensato di andarsene.

Difficile che la nostalgia riuscisse a ridipingere tutto.

"Hai ragione, Tohr."

"Sì." Si schiarì la gola. "Sai, non è troppo tardi. Puoi ancora tornare se parti adesso."

"Non ho problemi col sole, ricordi?"

Beth riuscì praticamente a sentirlo rabbrividire al telefono. "Non ho nulla da dire al riguardo. Davvero."

Provando pietà per lui, Beth cambiò argomento promettendo di prendersi cura di se stessa e di tornare a casa non appena faceva notte.

Dopo aver chiuso la comunicazione, Beth si sdraiò sul letto del padre. Guardando il soffitto, immaginò Darius mentre faceva la stessa cosa durante il giorno - qualche volta mentre Wrath si trovava nell'altra camera.

Wrath era stato un vero recluso prima d'incontrarla. Combatteva da solo, dormiva da solo, e più di tutto non voleva avere niente a che fare con tutta la faccenda del trono. Fino a che non l'aveva sposata, si era rifiutato di governare.

Non riusciva a contare le volte in cui l'aveva ringraziata per averlo costretto a uscire dal suo guscio - come se il suo amore fosse una qualche pozione magica che aveva trasformato la bestia in... beh, se non completamente in una specie di ragazzo civilizzato, almeno in qualcuno che voleva essere all'altezza delle proprie responsabilità.

Davvero stava schiacciando un pisolino?

D'altronde, quando era stata l'ultima volta che aveva veramente dormito durante il giorno? Non da prima che venisse colpito.

Appena prima che le si chiudessero gli occhi, Beth si sedette e si voltò verso il pannello dell'allarme montato sulla propria testa. Inserendo il codice, attivò le misure di sicurezza e si sdraiò di nuovo.

La serie di otto numeri? La sua data di nascita, mese, giorno e anno.

Un altro esempio di come, molto prima che lei entrasse a far parte del mondo vampirico, suo padre pensasse a lei. V poteva essere stato quello che aveva installato quell'equipaggiamento e a tenerlo aggiornato, ma Darius aveva scelto il codice anni prima.

Allungando la mano, spense la luce e si risistemò sul piumone.

Un attimo dopo la riallungò e accese di nuovo la luce.


Quando eri senza tuo marito, essere perfettamente al sicuro era relativo.