mercoledì 30 aprile 2014

Capitolo 4 di THE KING di J.R. Ward


The King


4



"Okay, che cos'abbiamo qui...?"

La domanda è più cosa non abbiamo, pensò Beth chinandosi nello scomparto del frigorifero dedicato esclusivamente al gelato.

Era venuto fuori che alle donne incinte piacevano quelle dolcezze fredde. Okay, a Layla, l'Eletta incinta piacevano - e Beth seguiva il suo stesso programma, ogni notte da... quanto tempo era passato da quando la femmina era entrata nel suo bisogno?

Dio, il tempo volava.

E mentre contava i giorni, era ben conscia che non stava pensando a Layla. Ciò che veramente stava contando erano le ore aveva trascorso in quella stanza, seduta accanto a... sperando che per una volta la storiella delle vecchie mogli fosse vera.

Non andava a trovarla per gentilezza nei confronti di una coinquilina o come amica.

No. Sebbene perché diavolo pensasse che lei e Wrath avessero bisogno di un bambino nel bel mezzo di quella tragedia era un mistero. Eppure, Madre Natura l'aveva costretta a prendere una certa svolta e non c'era modo di tornare indietro, non aveva alcun senso, nessun motivo per andare di fretta.

Non che ne avesse discusso con Wrath ultimamente. 

Come se non avesse abbastanza casini di suo. Ma andiamo, se fosse stata capace di dare avvio al proprio bisogno...

Lei voleva solo poter tenere un pezzo di sé e Wrath insieme - e più le cose si facevano pericolose con la Banda dei Bastardi, più il suo disperato bisogno aumentava.

In qualche modo, era il più triste dei commenti su ciò che stavano vivendo.

Almeno qualcosa di lui sarebbe sopravvissuta se la Banda dei Bastardi fosse riuscita a ucciderlo -

L'ondata di dolore che l'investì a quel pensiero fu talmente forte che si accasciò contro il frigorifero e le ci volle un po' prima che potesse tornare a concentrarsi sull'abbondante fornitura di Breyers, Ben & Jerry's, Häagen-Dazs e Klondike.

Molto meglio stressarsi per la scelta del gusto da mangiare. Layla prendeva sempre la vaniglia - era l'unico che riuscisse a tenere. Ma Beth non aveva quel problema, e grazie al famigerato appetito di Rhage, c'erano, tipo, millemila possibilità di scelta.

E mentre cercava l'ispirazione, capì che il dilemma era un qualcosa che veniva direttamente della sua infanzia, una moderna eco dei giorni in cui avrebbe stretto nel palmo della mano uno di quei dollari guadagnati col sudore della fronte, si sarebbe fatta quasi un chilometro a piedi per arrivare da Mac Grocery e aspettare venti minuti per avere la solita coppa al cioccolato Hershey's Dixie.

Buffo, ancora ricordava quanto il locale profumasse di quelle dolcezze sui coni che Mac faceva a mano. E il registratore di cassa, quello antiquato con la manovella.

E prima di uscire, Mac le avrebbe sempre dato un cucchiaino di plastica rosso, un tovagliolo e un sorriso - assieme ai venti centesimi di resto.

Mac era stato carinissimo con gli orfani che vivevano al Nostra Signora. E c'erano state anche parecchie persone che erano state gentili con lei e gli altri ragazzi che erano indesiderati o sfortunati.

"Menta con scaglie di cioccolato," disse, chinandosi all'interno e allungando un braccio fino al fondo.

Quando salì una folata d'aria fredda, si fermò per farsi sommergere dalla frescura. "Oh, sì..."

Anche se era il maledetto mese di dicembre, si ritrovava a desiderare il freddo, la pelle d'oca, il restringimento dei pori sul viso, il fruscio all'interno del naso a causa della secchezza.

Di sicuro tutto quel sesso la teneva ancora su di giri.

A occhi chiusi, ritornò a quando Wrath l'aveva fatta sdraiare sul pavimento e le aveva strappato via i vestiti. Era stato così perfetto. Proprio quello di cui avevano bisogno.

Anche se odiava come si sentiva adesso.

Lui era così dannatamente lontano, anche se il suo corpo era al piano superiore in quello studio.

E forse quello era un altro motivo per cui voleva un bambino.

Torna a concentrarti, torna a concentrarti. "Vaniglia, vaniglia... dove sei?"

Quando capì che la vaniglia era dispersa in azione, dovette accontentarsi di un tris da due chili inquinato da fragola e cioccolato. Non un grosso problema. Con un'estrazione chirurgica, sarebbe stata capace di portare a termine il lavoro senza lasciare alcuna contaminazione offensiva nella scodella di Layla.

Lasciando la dispensa per entrare in cucina, il dolce e casereccio profumo di cipolle e funghi saltati in padella aromatizzati con basilico e origano fu una vera delizia per il suo naso. Ma quell'ambrosia non era per l'Ultimo Pasto e non c'era un doggen alla pentola del sugo.

No. Era di nuovo iAm. Il che, considerando il fatto che pareva cucinasse quando era sotto stress, stava a significare che la vita di qualcun altro stava andando a rotoli.

L'Ombra e suo fratello erano gli ultimi arrivati nella magione della Confraternita, e come proprietario e capo chef dell'ultra vecchia scuola del ristorante da Salvatore, iAm aveva mostrato più di una volta le sue capacità con le linguine - sebbene non si poteva dire che Fritz apprezzasse che il tale tirasse fuori tutte quelle pentole giganti: come al solito il maggiordomo gironzolava a bordo campo, come se stesse per venirgli un infarto perché uno degli ospiti stava cucinando.

"Che profumo delizioso," disse Beth poggiando il contenitore sul ripiano in granito della penisola.

Non aveva avuto modo di prendere ciotole e cucchiai. 

Fritz entrò subito in azione, aprendo mobili e cassetti - e lei non se la sentì di dirgli di non servirla.

"Allora cos'è stavolta?" chiese all'Ombra.

"Bolognese."  iAm aprì un altro contenitore di spezie, e pareva conoscere l'esatta quantità da aggiungere senza l'ausilio di un misurino.

Incontrando i suoi occhi neri dal taglio a mandorla, Beth tirò più su il collo del dolcevita per nascondere i segni dei morsi. Non che sembrasse importargliene, in ogni caso. "Dov'è tuo fratello?"

"Di sopra," fu la risposta secca.

Ah. Un argomento delicato. "Beh, credo che ci vedremo per l'Ultimo Pasto?"

"Ho un appuntamento, ma c'è abbastanza agnello per tutti voi, o almeno così mi pare d'aver sentito."

"Oh, pensavo stessi cucinando per -"

"È una cosa terapeutica," disse ripulendo il cucchiaio di legno contro il bordo della pentola. "È l'unica ragione per cui Fritz mi lascia usare la cucina."

Beth parlò sottovoce. "Credevo avessi qualche potere speciale su di lui."

"Credimi, se li avessi, li userei." Abbassò la fiamma sotto la pentola. "Scusami. Devo andare a controllare come sta Trez."

"È ferito?"

"Puoi dirlo forte." Fece un veloce inchino e uscì dalla stanza. "A dopo."

Sulla sua scia, l'aria sembrò cambiare, le molecole nella cucina si calmarono come se il suo pessimo umore le avesse elettrificate. Strano, ma le piacevano quei due: non era niente male avere un'altra coppia di ottimi assassini in casa.

"Padrona, credo di avere tutto ciò che ti occorre." Il maggiordomo si presentò con tutto il necessario per estrarre dal recipiente della Breyers su un vassoio d'argento. "Per te e l'Eletta."

"Oh, Fritz, che carino - ma, in realtà, ho bisogno di una sola scodella. Mangerò il mio direttamente dal recipiente per quanto sia di cattivo gusto. Ma potrei usare una - grazie." Sorrise quando il maggiordomo le porse una paletta. "Leggi nella mente?"

Il doggen arrossì, il volto rugoso e segnato dal tempo si aprì in un sorriso. "No, padrona. Tuttavia, a volte riesco ad anticipare le intenzioni."

Aprendo il coperchio del contenitore del triplo gusto, inserì la paletta facendo attenzione a prendere solo la vaniglia. "Provaci quanto vuoi."

Quando lui arrossì e chinò gli occhi già bassi, avrebbe voluto abbracciarlo. Ma l'ultima volta che l'aveva fatto, era quasi svenuto per la sconvenienza. I doggen vivevano secondo un rigido codice di comportamento, e sebbene il loro più amorevole desiderio fosse quello di servire al meglio, non sapevano gestirlo quando venivano elogiati.

E iAm l'aveva già stressato abbastanza.

"Sei sicura che non possa preparare le porzioni?" chiese il maggiordomo ansiosamente.

"Sai che mi piace farlo da sola."

"Posso portare il vassoio per te, allora?"

"No, faccio io." Quando sembrò pronto a implodere, Beth terminò di riempire la scodella di Layla e disse con noncuranza, "Ti spiacerebbe mettere a posto il gelato al posto mio?"

"Sì, con piacere, padrona. E la paletta. Mi occuperò io di ogni cosa."

Quando se ne andò come un ladro di banca col malloppo, lei scosse la testa, prese il vassoio e si diresse nella sala da pranzo. Uscendo dall'altro capo del foyer, dovette fermarsi a dare un'occhiata. Anche se aveva visto quella superficie da tre piani ogni notte negli ultimi due anni, lo sconvolgente spazio dava ancora la sensazione di entrare in un mondo diverso: dal suo fogliame d'oro al luccicante pavimento a mosaico, dal soffitto  affrescato ad altezza inimmaginabile alle colonne in marmo e malachite, era tutto pura magia.

E pura regalità.

Infatti l'intera magione era un capolavoro, ogni spazio nella casa suscitava un nuovo tipo di stupore ispirato dal lusso, una diversa gamma di colori che rasentava la perfezione in ogni stanza.

Sicuramente non aveva mai vissuto in quel modo prima che Wrath entrasse nella sua vita - o che se lo aspettasse. Oh Signore, ricordava ancora la prima volta quando entrambi si erano trasferiti lì. Mano nella mano, avevano erano passati attraverso le ali e i piani, dalle catacombe nel seminterrato all'attico. Quante stanze c'erano? Aveva perso il conto a cinquanta.

Follia, pura follia.

E pensare che era stata l'unica eredità di suo padre. E i soldi... c'erano stati anche un mucchio di soldi.

Al punto che, anche se li aveva divisi in parti uguali con John Matthew dopo tutto quello che era accaduto nelle loro vite? Non aveva scalfito l'ammontare nonostante il fratellastro ne avesse avuti milioni e milioni.

Assolutamente folle.

Superando la raffigurazione del melo in fioritura, salì sulle scale rivestite dal tappeto rosso e puntò al secondo piano. Da orfana per tutta la vita, era stato un shock scoprire che il padre era stato a conoscenza della sua esistenza, che aveva vegliato su lei, che aveva provveduto alle sue esigenze. Ma da tutto quel che aveva sentito, Darius era proprio così. Non si era mai sottratto a un dovere.

Dio, avrebbe voluto conoscerlo.

Specialmente in quel momento.

Quando raggiunse la fine della rampa, trovò le porte dello studio aperte, e il suo uomo era là, dove odiava essere - chino su chilometri di documenti scritti in Braille, le enormi spalle che riempivano la maggior parte del trono intagliato, le talentuose dita che scorrevano su ogni riga, le sopracciglia in un'unica linea dietro gli occhiali a mascherina -

Sia il suo uomo che George, l'amato cane guida, si voltarono nella sua direzione quando riconobbero l'odore.

"Leelan," disse Wrath espirando.

Con uno scatto, il golden retriever si sollevò dalla sua posizione accucciata sul pavimento, la coda scodinzolante, le guance arricciate in un sorriso che lo fece starnutire.

Era l'unica a cui sorrideva - sebbene, per quanto l'amasse, non lasciava mai il fianco di Wrath.

Poggiando il vassoio d'argento col gelato sul tavolo nel corridoio, entrò nella stanza salutando Saxton con un cenno della mano, che era al suo solito posto su uno dei divani azzurri alla francese. "Come stanno i maschi col lavoro più impegnativo del pianeta?"

Il legale specializzato in Vecchie Leggi scattò in piedi dalla propria pila di scartoffie e fece un inchino, il suo ottimo completo su misura si adattò al movimento con estrema facilità. "Stai benissimo."

Sì, beh, se non era una carineria quella.

"Grazie." Beth girò attorno all'enorme scrivania e prese il viso del marito tra le mani. "Ciao."

"Sono felice che tu sia qui," disse in un sospiro - come se non si vedessero da anni.

Chinandosi per baciargli la bocca, Beth sapeva che lui aveva chiuso gli occhi anche se non riusciva a vederlo dietro le lenti scure.

E poi toccò al cane.

"Come stai, George?" Proprio come a suo marito, diede un bacio sul quel muso morbido. "Ti stai occupando del nostro Re?"

Lo sbuffo e il thud-thud-thud della coda che batteva contro il fianco del trono era il più grande, enorme sì che avesse mai sentito.

"A cosa stanno lavorando i ragazzi?" chiese mentre Wrath se la faceva sedere in grembo e le accarezzava la schiena.

Era così strano. Prima di conoscerlo, odiava tutto quell'affettuoso contatto fisico, tutta la roba stucchevole fatta di teneri abbracci tra coppie. Ma sai cosa? La situazione era cambiata.

"Sono solo petizioni." Leggi tra le righe: stronzate a cui preferirei dare fuoco invece di averci a che fare.

"E ce ne sono ancora due dozzine." Saxton si stirò il braccio destro come se gli facesse male. "E poi ci sono le risoluzioni dei dibattiti e gli annunci di nascita e morte."

Wrath lasciò cadere la testa all'indietro. "Continuo a pensare che ci sia un modo migliore per occuparsene. Odio farti fare da segretario, Saxton."

Il maschio fece spallucce e prese il suo blocco per gli appunti. "Non mi spiace per nulla. Qualunque cosa pur di portare a termine il lavoro."

"Riguardo a questo, cosa c'è dopo?"

Saxton tirò fuori un pezzo di carta da un raccoglitore. "Bene. Quindi questo gentiluomo vuole prendere un'altra shellan -"

Beth ruotò gli occhi. "Cioè, una cosa tipo il reality Sister Wives, edizione vampirica?"

"È legittimo." Saxton scosse la testa. "Anche se, francamente, da maschio omosessuale, già non capisco perché qualcuno debba volerne una, ancor meno un'altra - oh, ma non intendevo te, mia regina. Tu sei l'unica per la quale farei un'eccezione."

"Attento a te, avvocato," ringhiò Wrath.

"Sto scherzando," rispose.

Beth sorrise nel notare quanto fossero a proprio agio l'uno con l'altro. "Aspetta, quindi questa cosa delle due mogli è comune?"

Saxton sollevò elegantemente una spalla. "Era più usuale quando il numero della popolazione era più alto. Ora siamo più limitati in tutto: matrimoni, nascite, morti."

Wrath avvicinò le labbra al suo orecchio. "Puoi rimanere con me per il mio momento di pausa?"

Una mossa dei fianchi suggerì che il suo cervello aveva fatto un'inversione a U nel territorio orizzontale. O verticale - Dio solo sapeva se era abbastanza forte da tenerla sollevata dal pavimento per tutto il tempo che voleva.

Quando Beth sentì che cominciava a scaldarsi... pensò al gelato che aveva lasciato nel corridoio. "Puoi darmi un'ora? Devo -"

Un forte schianto dal secondo piano fece voltare le teste di tutti.

"Che cazzo è stato?" disse Wrath a denti stretti.


*    *    *


In quel vicolo al centro della città, Xcor si accovacciò e coprì la ferita d'arma da fuoco mentre tutto attorno a lui risuonavano gli spari e lo stridio di gomme annunciò l'arrivo di altri membri della banda.

Copertura. Aveva bisogno di una copertura - in quell'istante. A questi umani non importava di lui, ma la loro potenza di fuoco era spessa come un acquazzone e tanto imprevedibile e indiscriminata come una carica di tori in fuga.

Saltando all'indietro, appoggiò il corpo contro l'edificio, e il dolore nella spalla lo lasciò senza fiato. Ma non aveva tempo per soffermarcisi. Guardò a sinistra... a destra...

Tutto ciò che vide fu una porta a meno di cinque metri, così si lasciò cadere a terra e rotolò fin lì, estraendo la pistola. Sparando due colpi alla serratura d'acciaio, calciò forte il pannello e scivolò nell'oscurità interna.

L'aria era fetida... e dolce.

Disgustosamente dolce. Come il marciume della morte.

Putrida... come un lesser.

Mentre si chiudeva all'interno, fuori continuavano a risuonare gli spari, e non ci sarebbe voluto molto prima che le sirene della polizia iniziassero a suonare. La domanda era, quanti morti, quanti feriti, e qualcuno di quelli lì fuori avrebbe cercato riparo là dentro?

Ahimè, quelle sciocche domande non avrebbero avuto risposta una volta capito perché quel luogo puzzava come il nemico.

Tirò fuori la torcia a stilo e illuminò il pavimento sporco poi attorno a sé. La cucina industriale era stata chiaramente abbandonata, le ragnatele pendevano dalla cappa sopra il piano cottura e dalle rastrelliere vuote sui banconi... la polvere aveva ricoperto ogni superficie... e i detriti derivanti da uno spostamento frettoloso ingombravano il passaggio fino alla porta.

Partendo dai propri piedi, Xcor fece una panoramica con ampi cerchi di luce. Secchielli rovesciati che una volta contenevano porzioni industriali di salse e yoghurt ostruivano la zona di preparazione, tubetti senza tappo ancora pieni di mostarda e ketchup ormai solidificati dal tanto tempo trascorso tra il marcire e la mummificazione. 

Più in profondità, dei vassoi allineati nella lavastoviglie industriale arrugginita ospitavano un cucchiaio vagante o una forchetta, e la cristalleria, opaca e mezza rotta, attendeva che un nastro fantasma la facesse ruotare nel macchinario.

Facendo scricchiolare sotto i piedi i resti dei piatti di porcellana bianca, seguì l'odore che aveva attirato la sua attenzione.

La Lessening Society era formata da umani reclutati per la guerra contro i vampiri, smidollati liberati dalla loro condizione pietosa dall'Omega - il cui effetto collaterale era un tanfo permanente che somigliava alla carcassa di un cervo morto da due giorni e al latte cagliato.

Si poteva sempre scovare il nemico grazie al proprio naso...

La cella frigorifera della cucina era nell'angolo più lontano, la porta simile a quelle di una prigione era spalancata e l'interno era un altro ammasso nero di Dio solo sapeva cosa.

Quando si allungò per prendere il chiavistello, la sua pelle diventò bianca sotto il fascio di luce della torcia a stilo, e lo scricchiolio che si sentì mentre si faceva strada fu così forte che gli ronzarono le orecchie. La folle corsa di piccole zampette indicò che i topi fuggivano al suo arrivo, e li sentì passare sopra gli stivali da combattimento.

La puzza era tale da fargli lacrimare gli occhi.

Lasciò entrare prima la luce.

Ed eccolo là.

Sospeso al centro della cella, appeso a un gancio al retro del collo, un maschio umano imitava in maniera eccellente un bovino.

Almeno, Xcor presumeva fosse un maschio, dai pantaloni e la giacca di pelle. L'identificazione facciale era impossibile: i topi lo stavano mangiando dalla testa in giù grazie alla catena che lo teneva sospeso sul pavimento, come se fosse un'autostrada diretta verso un pasto fragrante. Quindi tragicamente non si trattava del suo nemico, ma di un cadavere.

Che delusione. Ci aveva sperato. Invece erano soltanto altri umani -

Il rumore di uno schianto di qualcosa che cadeva nell'oscurità gli fece spegnere la torcia e i sensi gli si acuirono in allerta.

Anche con la puzza del suo amico incravattato al gancio da macellaio, l'odore ramato di sangue fresco precedette chiunque ci fosse. Così come il gemito per la ferita.

Ahhh. Qualcuno si era fatto la bua.

Il dimenarsi continuò mentre le sirene annunciavano l'arrivo della polizia di Caldwell - ma i suoni erano ovattati, il che indicava che il nuovo arrivato aveva avuto la presenza di spirito di chiuderli dentro.
"Cazzo!"

Il visitatore aveva spedito alcuni di quei contenitori di plastica vuoti in giro mentre correva verso il bancone. Poi ci furono altre imprecazioni. Un ringhio soffocato come se si stesse sdraiando sul ripiano d'acciaio inossidabile. Poi un profondo ansimare.

Perdendo la pazienza nei confronti dell'intera tragedia, Xcor entrò nella cella frigorifera. A differenza del membro ferito della banda di teppisti, lui aveva un'idea della disposizione della stanza e si avvicinò al tizio grazie all'udito e al ricordo di dove fosse l'isola centrale.

Tuttavia sarebbe stato tutto più semplice se avesse potuto vedere. A parte gli ovvi benefici dell'orientamento, non gli piaceva quella sensazione di assenza di gravità che portava la cecità, nemmeno che dovesse affidarsi alle orecchie e all'olfatto per orientarsi. C'era anche la possibilità reale che si potesse trovare qualcosa davanti ai piedi per farlo inciampare.

Ma arrivò direttamente all'umano ferito.

"Non sei solo," biascicò Xcor nell'oscurità.

"Cosa! Oh, Dio! Chi -"

"Ti sembro uno dei tuoi?" Fece bene attenzione a pronunciare un po' più a lungo di quanto faceva di solito la R, giusto nel caso in cui il suo accento nell'enunciare il Vecchio Idioma non fosse perfettamente chiaro.

Ci furono altri respiri, molto pesanti. Accompagnati dall'odore acre del terrore.

"Voi umani..." Xcor fece due passi avanti, non preoccupandosi più di nascondere il rumore delle suole degli stivali. "Il problema è che non avete un vero nemico. Combattete tra di voi nei quartieri delle strade di città o sulle linee di confine, perché non c'è  nulla di esterno a unirvi. La mia specie, invece? Abbiamo un nemico comune che richiede una certa coesione."

Tuttavia non sufficiente a prevenire le sue ambizioni di reggenza.

A quel punto, l'umano cominciò a farfugliare. O forse era una specie di preghiera?

Che debolezza. Era vergognosa - e utilizzabile come una morale necessità.

Xcor accese la torcia.

Al fascio di luce, il membro della banda si spostò a scatti, il corpo insanguinato ripulì una parte del bancone.

Plasma... evidentemente ottimo come un detergente della Windex.

Con gli occhi spalancati al limite delle orbite, e il respiro affannato a bocca aperta, l'ex tipo tosto abbassò la cresta fino a terra quando il dolore e la paura ridussero il suo coraggio in un mero ricordo.

"Dovresti sapere che ci sono altri che camminano tra voi," disse Xcor a bassa voce. "Simili, ma non uguali. E vi teniamo d'occhio."

L'uomo si rannicchiò spostandosi, non che potesse muoversi molto. Il bancone era uno spazio da lavoro per le posate e i colini, non un materasso per un uomo dal culo grosso.

Se avesse continuato a indietreggiare sarebbe finito sul pavimento.

"Chi... chi sei tu?"

"Forse un'occhiata sarà più efficace di una descrizione."

Snudando le zanne, Xcor si puntò la luce in faccia.

L'urlo fu acuto e breve. Grazie alla sopraffacente risposta adrenalinica, l'uomo svenne, la puzza di urina che salì indicò che aveva perso il controllo delle proprie funzioni corporee.

Piuttosto divertente, davvero.

Xcor si mosse in fretta, dirigendosi facilmente alla porta, grazie alla torcia.

Prendendo posizione contro il muro, spense la luce e attese che l'urlo attirasse la giusta attenzione.

Il Dipartimento di Polizia di Caldwell rispose con ammirabile efficienza, un numero di agenti spalancò la porta e con le proprie torce attraversarono l'intensa oscurità.

Nell'istante in cui videro il membro della banda di teppisti, corsero in avanti, e quello fu lo spunto per la fuga di Xcor.

Mentre scivolava fuori dalla porta, sentì la parola vampiro attraverso la confusione - e fu con un sorriso che si smaterializzò tra la folla.

Nel Vecchio Continente, lui e la sua Banda dei Bastardi avevano fomentato le congetture e i miti mostrandosi di tanto in tanto, sempre a singoli individui, e sempre in modo che collimasse con l'errata convinzione che gli umani avevano della specie.

Profanatori di vergini. Fonti del male che dormivano in bare. Mostri della notte.

Che scemenza - anche se l'ultima parte di sicuro si riferiva a lui.

E in verità, si sentiva bene a fare qualcosa di simile anche a Caldwell, un po' come un cane che marca il proprio territorio. Era divertente anche dare a l'inutilità che se ne stava sull'isola in quella cucina qualcosa che avrebbe ossessionato i suoi ricordi durante tutti i giorni che avrebbe dovuto passare in prigione.


Uno deve prendersi la propria dose di divertimento quando la trova.

mercoledì 23 aprile 2014

Capitolo 3 di THE KING di J.R. Ward

The King

3

Interstatale 87, alias Northway

Oh, quel profumo di auto nuova.

Una combinazione di moquette appena uscita dalla fabbrica, cerniere ancora ben oliate,  e colla asciutta solo in superficie.

Sola Morte adorava un nuovo inizio nel reparto auto, che era il motivo per cui noleggiava sempre la sua Audi A4s. Ogni tre anni ne prendeva una nuova - a volte più spesso se qualche cambio di programma la costringeva ad abbandonare la nave in anticipo di un mese o due.

Quindi, sì, era un territorio familiare... a eccezione del fatto che stava scoprendo quel paradiso dal portabagagli di una qualsiasi berlina in cui era stata sbattuta dentro.
Non aveva pianificato che la serata terminasse così, ma capitava che il libero arbitrio di tanto in tanto si prendesse una pausa quando ne avevi bisogno.

La questione era, come sopravvivere al sequestro e tornare a casa.

Dato il suo ambito lavorativo come ladra d'appartamento, era abituata all'improvvisazione in situazioni pericolose. Non era proprio capace come MacGyver; non è che sapesse costruire una 9mm a caricamento automatico con del nastro adesivo, un tubetto di dentifricio, dodici centesimi e un accendino Bic. Ma era abbastanza intelligente da guardarsi attorno, e cercare una chiave per svitare i bulloni delle ruote, una borsa degli attrezzi... una lattina dimenticata. Qualunque cosa potesse essere usata come arma.

Quando era stata trascinata via da casa sua, non aveva nient'altro che il parka che indossava e una disperata speranza che chiunque la stesse portando fuori lo facesse prima che sua nonna scendesse le scale e venisse coinvolta. L'ultima parte aveva funzionato. La precedente? La brutta notizia era che non aveva con sé il cellulare.

E fino a quel momento, l'esplorazione fatta nel bagagliaio si era risolta in un bel niente.

Inoltre non aveva idea di dove la stessero portando. Dal ronzio basso che avvertiva dal telaio e dalla mancanza di buche, dovevano essere sull'autostrada - e c'erano già da un po'.

Cavolo, la testa le faceva male.

Con che diavolo l'avevano colpita? Un martello?

Forzando la colonna vertebrale verso l'alto, tastò col palmo della mano dietro la schiena, pensando che potesse essere sdraiata sullo scomparto della ruota di scorta - e gli attrezzi. Anche se non sentì alcuna cucitura nel rivestimento. Forse doveva sollevarlo interamente? 

Merda.

Tendendo le braccia sulla testa, controllò le pareti laterali, percependo il raschio morbido del rivestimento e l'ondulazione del parafango... poi la rete del sacchetto che potrebbe aver contenuto delle cibarie... un foglio di carta piegato che avrebbe potuto essere una mappa, una elenco per qualche acquisto, la lista di "I Dieci Modi Migliori per Torturare un Prigioniero"...

Portando le ginocchia al torace, si voltò su se stessa nello spazio angusto, spingendo con le mani e i piedi, costringendo la testa a un'angolazione davvero non piacevole.

"Geeeesù..." gemette mentre si fermava per respirare. "Decisamente non è un'opzione il Cirque du Soleil come seconda carriera."

Riprendendo a contorcersi e ad allungarsi, riuscì finalmente nell'impresa di verificare la parte opposta -
Affondando la punta delle dita in uno strappo del rivestimento, seguì i bordi della sagoma quadrata fino a che trovò dei chiavistelli a entrambi i lati. Sganciando la copertura di uno scomparto, liberò il pannello e trovò...

La borsa degli attrezzi? Il kit da pronto soccorso?

La vincita di un premio della lotteria sotto forma di una Smith & Wesson completamente carica?

Mentre continuava a destreggiarsi solo grazie al tatto, provò a decifrare la forma e a capire cosa ci fosse dentro, si ricordò di quanto apprezzava la propria vista.
"Ci sono," sibilò, forzando con le unghie la scatola affinché riuscisse a liberarla.

Quando venne fuori, si rese conto che c'era un'impugnatura sul coperchio. Che stupida!

Il lucchetto fu semplice da aprire, e all'interno...

Il cilindro era lungo venti centimetri e mezzo e largo quattro. Su un'estremità c'era un cappuccio con sopra uno strato ruvido, e all'interno? Vai con la festa!

Quel razzo di segnalazione era la sua unica possibilità.

Stringendolo con la mano, si concentrò nuovamente sul cercare di capire dove sarebbe andata a finire - oltre a una camera mortuaria, naturalmente. Il problema era che non aveva la minima idea da quanto tempo fossero in viaggio - e se la stavano portando a casa di Benloise? 

Allora dovevano essere vicini alla meta. West Point non era tanto lontana da Caldie.

E questo modo di agire era proprio da Benloise.

La rivalsa da parte del grossista in stupefacenti per la sua piccola invasione domestica e il lavoretto decorativo. Che era stato il suo modo di mandarlo a fanculo per il problema del pagamento.

Che aveva coinvolto Assail.

Chiudendo gli occhi - anche se non riusciva  a vedere un cavolo di niente - si figurò l'immagine dell'uomo, a partire dai lucenti capelli neri fino a quel profondo paio d'occhi e a quel corpo che sembrava appartenere a un atleta... così diverso dallo spacciatore che, con ogni probabilità, stava per prendere il controllo dell'intero territorio della costa orientale.

Per un attimo di follia, fantasticò che sarebbe venuto a cercarla e ad aiutarla a tirarsi fuori da questo casino. E sì, era una cosa imbarazzante per diversi motivi - primo, non aveva mai contato su nessuno prima di allora, e secondo, l'intera stronzata da salvami-grand'uomo era sufficiente a farla vomitare per principio.

Ma riguardo a questo l'orgoglio andava in secondo piano: conosceva troooppo bene Benloise. Ci sarebbe voluto un miracolo per liberarla, e Assail era la cosa che più ci assomigliasse di quelli che aveva conosciuto. Peccato che stesse per perderla così presto. Si conoscevano soltanto perché era stata pagata - parzialmente - da Benloise per spiarlo. Assail non l'aveva apprezzato si era preso la rivincita su lei.

Che aveva portato a... altre cose.

Scuotendo la testa fino a che il dolore le diede il capogiro, si lasciò investire dai ricordi di tutto ciò che era stato importante prima che venisse sorpresa nella propria cucina: il gioco del gatto col topo tra entrambi, la minaccia seducente che aveva lanciato, la carica erotica che avvertiva solo stando in sua presenza.

Tutto quanto era stato così dannatamente importante.

Comunque quell'attuale situazione aveva ripulito per bene la lavagna. Adesso era in modalità sopravvivenza - e se non avesse funzionato, almeno sperava che rimanesse qualcosa da far seppellire a sua nonna.

Perché non voleva prendersi in giro. Benloise non ci sarebbe andato leggero solo perché era stata, per un certo periodo, quasi come una figlia per lui, in un certo senso. Non avrebbe dovuto sfidarlo. Caratteraccio, irascibilità, irruenza: la rabbia era stata la sua rovina.

Dio, sua nonna.

Lacrime minacciose le punsero gli occhi facendole stringere le palpebre e sbatterle ripetutamente per evitare di farle scendere giù.

C'erano state troppe perdite nella vita di vovó. Troppe difficoltà. E questa probabilmente sarebbe stata la peggiore di tutte.

A meno che Sola non riuscisse a venirne fuori.

Quando le emozioni divennero troppo forti e difficili da contenere minacciando di mandare in corto circuito il cervello, si sforzò di bloccarle... e l'eventuale soluzione a tutto ciò fu una sorpresa. Decise d'agire d'impulso - nello stesso modo in cui intendeva usare quel che aveva trovato nel bagagliaio.

Sistemandosi la sua unica arma contro il fianco, si strinse le mani sul cuore e chinò la testa in preghiera, col mento sul petto.

A bocca aperta, attese che i passaggi appresi durante la sua infanzia cattolica tornassero in superficie e dicessero alla sua lingua cosa fare.

E lo fecero. "Ave o Maria, piena di grazia..."

Le parole presero una cadenza, il tempo di battuta identico a quello del suo cuore, il ritmo la riportò alla quantità di domeniche nel suo lontano passato.

Quando finì, attese di provare un senso di sollievo o della forza interiore o... qualsiasi cosa si presupponeva di ottenere da quel vecchio rituale.

Niente. "Dannazione!"

Parole - non erano nient'altro che parole.

Con frustrazione spinse la testa all'indietro e sbatté, nel punto sbagliato, contro la parete. "Cazzo!"

È ora di tornare alla realtà, disse a se stessa mentre cercava di voltarsi e massaggiare la zona dolente.

In conclusione? Nessuno stava venendo a salvarla. Come al solito, poteva contare solo su se stessa, e se non le fosse bastato per venirne fuori? Allora sarebbe morta in un modo davvero orribile - e sua nonna avrebbe sofferto. Di nuovo.

Parlando di preghiere? Sola avrebbe dato qualunque cosa pur di tornare indietro e riavvolgere il nastro a quella sera, premere il testo pausa nel momento in cui era rientrata a casa e non aveva visto l'anonima berlina parcheggiata dall'altro lato della strada. Nel suo perfetto, mondo ripetuto, avrebbe tirato fuori la pistola a cui avrebbe messo un silenziatore prima di oltrepassare la soglia di casa. Li avrebbe uccisi entrambi, poi sarebbe salita al piano superiore e avrebbe detto a sua nonna che stava per spostare la disposizione dei mobili proprio come lei le aveva chiesto di fare la settimana precedente.

Grazie alla copertura della notte, avrebbe portato i due uomini nel garage, e li avrebbe messi nel bagagliaio della sua auto. Oppure... meglio uno sul sedile posteriore e un altro nel bagagliaio.

Per svanire nel nulla. Addio.

Dopodiché, avrebbe fatto i bagagli e lei e la nonna sarebbero partite nel giro di un'ora - anche se sarebbe stato nel mezzo della notte.

Sua nonna non avrebbe chiesto nulla. Lei capiva come andavano le cose. Una vita difficile, una mente pratica.

Per cominciare una nuova vita, per così dire, e non esser viste mai più.

Visto? Decisamente migliore di tutti quei film che davano al momento - e forse avrebbe potuto diventare realtà, ammesso che Sola riuscisse a sistemare le cose quando gli scagnozzi di Benloise si sarebbero fermati per farla finalmente uscire.

Stringendo il razzo, si preparò. Quale angolazione avrebbe preso. Come prenderli.

È solo una pippa mentale, penso, non è vero? - tutto dipendeva da quella manciata di secondi che era, in ultima analisi, imprevedibile.

Con la mente che fluttuava, rallentò il respiro e acuì i sensi. L'attesa non era più un problema, il tempo aveva cessato d'esistere come unità di misura. I pensieri non erano un problema. Lo sfinimento non esisteva.

Fu mentre si abituava a quell'inferno tra presente e passato che accadde qualcosa capace veramente di cambiare le cose.

Vide, chiara come il giorno, una fotografia di sua nonna. Era stata scattata in Brasile quando aveva diciannove anni. Il viso era liscio e pieno nel senso della bellezza, la gioventù le faceva brillare gli occhi, i capelli sciolti e fluenti, non raccolti alla nuca.

Se avesse saputo ciò che l'aspettava in età adulta, non avrebbe mai sorriso.

Suo figlio era morto, così come sua figlia e suo marito. E sua nipote, l'unica parente che le era rimasta?

No, pensò Sola. Stavolta doveva finire bene. Era l'unica opzione.

Sola non parlò ad alta voce stavolta - non ci furono frasi imparate a memoria, né mani congiunte. Non era certa di credere nella propria preghiera più delle altre che le erano state insegnate. Ma per qualche ragione, si ritrovò a sussurrare all'orecchio di Dio con sincerità.

Ti prometto, Signore, che se mi lasci uscire viva da questa storia, vivrò la mia vita. Porterò vovó lontano da Caldwell. Non metterò mai e poi mai più in pericolo me stessa e non ruberò più a nessuno e non commetterò atti malvagi. Questo è il mio giuramento solenne a Te, lo giuro sul cuore che batte nel petto di vovó.
"Amen," sussurrò ad alta voce.

*    *    *

LA MASCHERA DI FERRO, CALDWELL, NEW YORK

"Oh-Dio-oh-Dio-oh-Dio..."

Quando Trez sollevò la bionda studentessa del college, aveva un'ottima presa sul retro delle sue gambe - ma era tentato di lasciarla cadere dolorosamente come se fosse un calzone dal ripieno troppo bollente. Il sesso era adeguato - simile allo standard di una pizza fredda: anche se è fredda, è comunque una pizza.

Ma non della pizzeria Bella Napoli sulla Settima a Manhattan.

E tutta questa storia del vedere-Dio? Una completa seccatura, e non perché fosse una persona religiosa nel senso umano del termine oppure geloso del fatto che lei se la stesse spassando alla grande mentre lui pensava alla pizza.

La sua irritante e stridula performance da YouPorn con quegli sballottamenti della testa grazie ai quali continuava a sbattergli in faccia le extension, cominciava a dargli sui nervi.

Chiudendo gli occhi, provò a concentrarsi sulla sensazione del suo cazzo che entrava e usciva dal corpo di lei. La donna aveva delle grosse tette rifatte dure come palloni da pallacanestro, e uno stomaco tutto grinze, e non riusciva a decidersi su cosa fosse peggio: il fatto che non fosse attratto da lei; la verità che si stesse scopando questa cozza nel bagno principale del proprio club - così che il suo staff lo beccasse di ritorno dalla nottata anonima; o l'opportunità, comunque, minima, che questa storia potesse arrivare alle orecchie del fratello grazie a qualcuno.

Merda, iAm. Il maschio aveva uno sguardo che poteva far sentire un giocatore di football in completo placcaggio che se potesse gelargli il culo.

Non proprio una cosa che Trez voleva vedere.

"... Dio, oh, Dio, oh, Dio..."

Per l'amor del cielo, se almeno avesse variato con un paio di Gesù Cristo o qualcosa di simile.

"OHDIOOHDIOOHDIO -"

Mettendo una mano tra i loro corpi, decise di porre fine al suo supplizio. Stimolandole il clitoride, la fece venire giusto tempo prima che la sua erezione si ammosciasse uscendo da lei.

Rimettendola in piedi, dovette subito afferrarla perché le tremavano le ginocchia.

"Oh... Dio... sei fantastico... sei..."

Uh-huh, grazie, tesoro. L'unica cosa che gl'interessava era quanto tempo avrebbe impiegato a rimettersi i vestiti addosso. "Anche tu, piccola."

Trez si allungò di lato e prese il suo - era una specie di reggiseno quello che lei credeva fosse una casacca? O era il tanga? Oppure -

"Oh, non ho ancora bisogno dei leggings... vero?"

Questi cosi erano per le gambe? pensò mentre sollevava quella striscia di stoffa nera. Difficile immaginare che riuscisse a coprire più di una mano o forse uno di quei seni della grandezza di una ciotola da portata.

Chi aveva tolto quelle pseudo calze? Non credeva di essere stato lui, ma non poteva ricordarlo, e non perché era ubriaco. Quell'intera sessione, esattamente come l'ultima dei molti anni della sua vita amorosa, era non solo completamente, ma piuttosto di proposito, dimenticabile.

E allora perché insisteva con questa merda ripetutamente?

Giusto, non c'era ragione di impersonare iAm. Suo fratello era più che capace di ricorrere alla retorica. Ogni. Singola. Fottuta. Volta che erano insieme.

"Paparino, ti amo," disse la ragazza aggrappandosi ai suoi bicipiti e strusciarglisi contro come se fosse un palo da lap dance. "Amo tutto questo."

"Anch'io."

"Mi ami anche tu, vero?"

"Sempre." Trez diede un'occhiata alla porta e desiderò aver organizzato una bussata di porta preventiva. 

"Lasciami il tuo numero, okay? Perché devo tornare al lavoro."

Ed ecco il broncio - e non gli fece nemmeno venir voglia di snudare le zanne e affondargliele dentro mentre la spingeva contro la parete del bagno.

"Potremmo farlo ancora," biascicò alzandosi sulle punte dei piedi e provando a strofinare il naso sul suo collo.

Ragazzina, a malapena ci sei riuscita una volta, pensò lui. 
Una seconda è anatomicamente impossibile.

"Ti preeeeeeeeeeego, paparino..." e altri strofinii con la punta del naso. Poi lei si fece indietro. "Per favore?"

Trez aprì la bocca, la frustrazione rese più affilati sia la rabbia che la lingua -

Poi però incontrò i suoi occhi, e vi scorse una sincera emozione, e subito indietreggiò.

Quando si parlava di specchi... si sentiva come se stesse guardando se stesso: triste, vuoto, senza radici.

Lei era la metà di una donna.

Lui la metà di un uomo.

E solo su quel fronte combaciavano sul sito Match.com, due figli di puttana spezzati dalla vita che continuavano a prendere batoste grazie al sesso e che provavano a allacciare rapporti in modi che garantivano soltanto il prolungarsi dell'isolamento.

"Per favore...?" supplicò lei come se fosse pronta a perdere un altra mazzata.

Abbassando lo sguardo, realizzò che c'era un comune denominatore con lei e la sua esteriorità, ma come con tutti gli estranei, ossia c'era una storia dietro a come era finita in quel bagno massacrando la parola che iniziava per A con un uomo che non era completamente un uomo.

Diavolo, non era neanche un normale vampiro.

Trez le accarezzò la guancia con le nocche e quando lei voltò la testa verso la mano, lui sussurrò, "Chiudi gli occhi -"

Il colpo alla porta fu perentorio e considerato quanto era forte e al punto giusto? Non che ci fosse bisogno di un secondo tentativo.

"Capo? Abbiamo dei problemi," sentì attraverso la porta.

La voce di Big Rob. Quindi era un problema con la sicurezza - e perché non era andato da Xhex allora? Nemmeno lei poteva occuparsene per qualche motivo... o, probabilmente, era stata proprio lei a mandarlo da lui.

Le ciglia finte della bionda si sollevarono, ma lui non voleva. "Dammi un secondo, B.R."

"Affermativo, capo."

"Chiudi gli occhi," disse di nuovo. Quando lo fece, lui si rilassò, il rimbombo ovattato dei bassi del club iniziò a scemare, l'odore troppo forte del profumo di lei cominciò a diminuire, il dolore al centro del suo petto... beh, rimase esattamente dov'era, ma tutto il resto iniziò a ridursi.

Raggiungendo la sua mente, fece quel che suo fratello lo sfidava continuamente a fare: al contrario di tante di queste donne, si prese il tempo per cancellare i ricordi di loro due insieme dalla memoria della bionda, dalla sciocca conversazione che lei aveva cominciato al bar, al fatto che l'aveva scopata là dietro e alla religiosa esperienza che aveva appena vissuto.

iAm aveva ragione. Se Trez avesse ripulito le menti in quel modo ogni dannatissima volta? Non si sarebbe trovato nel casino che era successo con quell'altra pollastra. E lui e suo fratello non avrebbero dovuto trasferirsi alla magione della Confraternita. E quella femmina, Selena, non lo avrebbe stregato ancora di più...

Concentrandosi di nuovo sulla bionda, decise di non fermarsi a una passata di bianchetto per ripulirla. Invece di lasciarle venti minuti o giù di lì di zona buia, le diede la fantasia che cercava - che aveva incontrato un tale che aveva strabuzzato gli occhi alla sua vista, che avevano fatto il miglior sesso delle loro vite per cinque volte in quel bagno prima che lei decidesse che meritava molto di più.

Cosa che nella sua mente succedeva molto spesso.

Infine, le inserì un pensiero in cui doveva vestirsi e controllare il trucco. E come concetto dell'ultimo minuto, incluse che stava per vivere il miglior anno - no, decade - della sua vita.

Trez uscì un secondo dopo, la cerniera chiusa, la camicia sistemata, la maschera da tutto-bene di nuovo al proprio posto. Big Rob si aggirava nell'ombra, discreto come qualsiasi altro tizio della stazza di una montagna.

Unendosi a lui, Trez incrociò le braccia sul petto e si appoggiò alla parete rivestita di stoffa. Di solito non parlava di affari nel club, ma la musica era abbastanza alta, la folla così assorta in se stessa come solo gli ubriachi e i disperati sanno essere e, infine ma non ultimo fattore, si sentiva obbligato a tenere d'occhio la bionda. Doveva assicurarsi che nessuno entrasse là dentro prima che lei ne uscisse.

Inoltre voleva la conferma che l'aveva lasciata in uno stato migliore di quando l'aveva trovata.

Almeno una metà della loro coppia poteva migliorare.

"Allora, che succede?" Trez controllò lo scuro e volubile club, il suo monitorare faceva parte sia la sua seconda natura che di allenamento: le Ombre di solito facevano la guardia, ma dopo aver lavorato con Rehv e essendo adesso il capo di questo covo di perversità, la merda era il suo interfaccia primario.

Big Rob fece schioccare le nocche. "Alex ha sedato una rissa circa un'ora fa tra due clienti saltuari. Entrambi gli uomini sono stati buttati fuori, ma l'aggressore è tornato e sta facendo il giro attorno al marciapiede qui fuori."

La bionda uscì dal bagno, gli abiti erano al posto giusto, il trucco era stato ritoccato, i capelli tirati indietro e non scapigliati - ma più di tutto quello, il mento era sollevato, gli occhi calmi e concentrati - e quel sorriso enigmatico che le increspava le labbra portò il suo aspetto essenzialmente mediocre in un territorio più allettante.

Mentre camminava tra la folla, gli occhi di Big Rob la seguirono e anche quelli di altri uomini. Ma a lei non sembrava importare nulla, la sicurezza era tutto ciò di cui aveva bisogno.

Trez si massaggiò il torace e desiderò di poter ripulire se stesso e dare una svolta alla sua vita. Inoltre, tutte le migliorie autoimposte non avrebbero cambiato il fatto che la s'Hisbe voleva che tornasse come stallone da monta per il resto della sua vita.

"Capo?"

"Scusami, cosa c'è?"

"Vuoi che lo faccia sparire?"

Trez si massaggiò la faccia. "Me ne occupo io. Che aspetto ha?"

"Ragazzo bianco, abiti neri, capelli alla Keith Richards."

"Il che restringe il campo," mormorò Trez.

"Lo riconoscerai. Non è in fila."

Trez annuì e tagliò in mezzo alla folla, diretto alla porta. Lungo la strada, controllò la gente, cercando inconsciamente segni di conflitto che potessero evolvere dalla stronzata dell'atteggiarsi al fare strike a bowling.

Anche i Gothic potevano diventare tipi da confraternita se gli pompavi abbastanza alcol in corpo.

A metà strada  dall'uscita, vide il luccichio di qualcosa di metallico alla sua destra, ma quando si fermò e mise in funzione altri sensi oltre agli occhi, non trovò nulla. Ricominciando a camminare, uscì dal suo locale, fece un cenno a Ivan e al nuovo ragazzo, che stavano presidiando l'ingresso, e fece un giro lungo la fila in attesa,  gremita dai soliti sospetti.

Naturalmente non del tipo alla Kevin Spacey. Purtroppo - lo adorava in quel film.

Non c'era nessuno sul marciapiede che somigliasse alla descrizione di B.R.

Chiunque fosse probabilmente era andato a farsi un giro.
Voltandosi per tornare alla porta, fu colpito direttamente in faccia dai fanali di un'auto da traino, e il dolore pungente fece emergere il suo lato vampiresco e lo fece allontanare dalla luce. Sbattendo ripetutamente le palpebre per chiarire il campo visivo, riuscì in qualche modo ad arrivare all'inizio della fila e -

"Che cazzo - non è ammesso in questo club! Perché lo lasciate entrare!"

Quando Trez realizzò che era lui il soggetto della discussione, si fermò e diede un'occhiata oltre la spalla. Il pompinaro era alto un metro e cinquantacinque centimetri, pesava sessantotto chili - e non aveva la ragazza. Era chiaro che il figlio di puttana soffrisse della sindrome del terrier, i suoi occhi piccoli e penetranti lanciavano fiamme mentre fissava Trez, la trivella sulla maglietta fatta con Stampy McStampy di sicuro gli stava rendendo difficile la respirazione.

Probabilmente passava ore a giocare a World of Warcraft o quel che cazzo era - il che gli fece dimenticare che se eri un bigotto dalla bocca larga, avresti fatto meglio a fare retromarcia.

Trez si abbassò verso il ragazzo e gli diede un momento per assorbire la differenza di stazza - e sai cosa? La bocca dello stronzo rimase bella serrata.

"Questo posto è mio," disse Trez a bassa voce. "Quindi la domanda è, perché cazzo dovrei lasciare entrare te?" Lanciò un'occhiata a Ivan. "Non è il benvenuto qui. E non lo sarà mai."

Ci fu della conversazione a quel punto, ma ormai aveva deciso. Come Ombra, era abituato a essere fissato - i vampiri normali non sapevano cosa farsene della sua specie, e onestamente, neanche a lui non importava di loro.

Infatti era stato cresciuto con la convinzione che le due razze non dovessero mischiarsi - almeno fino a che Rehvenge si era assunto la responsabilità e aveva aiutato lui e suo fratello nel loro esilio. All'inizio non aveva fiducia nel tizio - fino a che aveva dovuto riconoscere che Rehv era come loro: un estraneo in un club esclusivo di idioti che non rispettava.

Oh, e per quanto riguardava il mondo umano? Chiunque credeva che lui fosse di colore e veniva attaccato dalle associazioni razziali, buone o cattive per quello - ma c'era un'ironia in tutto quello. Non era né Africano né Americano, quindi nessuna di quelle merde poteva essere applicata a lui a dispetto del fatto che la sua pelle fosse scura.

Quello sono gli umani per te, pensò - così presi da loro stessi da doversi rivedere in tutte le situazioni. Nel frattempo, c'erano intere altre specie che camminavano tra loro, e non ne avevano mai saputo nulla.

Anche se... tenendo in considerazione quel che era stato detto... se qualche coglione con un'opinione sbagliata  provava a tirar fuori quella merda razziale con lui fuori alla sua porta? Allora quell'idiota poteva andarsene a fanculo.

Tornato al club, le luci stroboscopiche e il rumore lo colpirono come un muro di mattoni e dovette costringersi a sfondare la resistenza. I lampi di luce erano un po' troppo luminosi e il suono ancora peggio, rimbalzando all'interno del suo cranio fino a che qualunque cosa stesse suonando diventava un incomprensibile casino.

A che diavolo stava pensando il suo staff? Chi aveva dato l'ordine di alzare il volume a palla -

Oh... merda.

Massaggiandosi gli occhi, sbatté le palpebre un paio di volte e... sì, eccola lì, nel quadrante destro: una formazione di linee frastagliate cangianti come la luce del sole attraverso un vetro soffiato.

"Vaffanculo.."

Per gentile concessione della sessione sessuale nel bagno, la bionda aveva ricevuto un bel lavoro di cablaggio fatto a mano - e a lui toccava godersi dalle otto alle dieci ore di vomito, diarrea e feroce mal di testa.

Come tutti i soggetti sensibili all'emicrania, guardò il suo orologio. Aveva all'incirca venti minuti prima che il parco dei divertimenti aprisse i cancelli, e lui non poteva permettersi di sprecarli.

Camminando in fretta, si fece strada attraverso i corpi, annuendo alle ragazze che lavoravano per lui e alla squadra di sicurezza come se tutto fosse a posto. Poi passò dalla porta sul retro riservata al personale, andò in ufficio per prendere la giacca di pelle e le chiavi, imboccò l'uscita a sinistra che dava direttamente sul parcheggio. La sua BMW lo stava aspettando, e quando salì dentro, agganciò la cintura di sicurezza e diede gas, desiderando come un dannato di vivere ancora al Commodore - perché così avrebbe potuto far guidare uno dei suoi buttafuori.

E ora che abitava alla magione della Confraternita? Autisti esterni senza interessi erano un divieto assoluto.

Naturalmente, poteva chiamare suo fratello. Ma iAm gli avrebbe offerto il trattamento del commento silenzioso per tutto il tragitto fino a casa, e non c'era alcun bisogno di sottoporlo a quel rumore fragoroso: iAm era l'unica persona che avesse mai conosciuto che potesse rendere il silenzio più assordante di un aereo che prende quota.

Quando il telefono smise di squillare, pensò che, merda, avrebbe fatto meglio a far sapere a qualcuno al lavoro che era fuori gioco per un po'.

Tirando fuori il cellulare, guardò lo - "Fantastico."

Ma non era che iAm potesse mandare un messaggio nella casella vocale. Facendo scorrere il pollice sullo schermo, avvicinò l'apparecchio all'orecchio sebbene New York fosse uno stato dove bisognava usare un dispositivo in viva voce quando si era alla guida.

Suo fratello non gli diede neanche l'opportunità di dire uno schifo di pronto. "Hai un'emicrania."

"Non credevo fossi un sensitivo."

"Non lo sono, infatti. Sono entrato nel locale proprio mentre tu ne fuggivi via. Sono proprio dietro di te - e può esserci un'unica ragione se guidi in quel modo all'una di notte."

Trez guardò nello specchietto retrovisore, e si sentì quasi orgoglioso di se stesso - se inclinava la testa in un certo modo, poteva vedere i fari dell'auto.

"Accosta."

"Io -"

"Ho detto accosta. Tornerò a prendere l'auto una volta che ti avrò portato a casa." Trez continuò a guidare, diretto sulla Northway, pensando che, naaa, poteva farcela.

Ottimo piano. Almeno fino a che un'auto si avvicinò sulla corsia opposta - quando si fece più vicina, venne completamente accecato e non ebbe altra scelta se non decelerare. Sbattendo le palpebre subito dopo, aveva tutte le intenzioni di premere a tavoletta e continuare ad andare, ma la realtà gli si parò dinanzi: il suo tempo stava scadendo, e non solo in termini di emicrania.

La s'Hisbe stava solo incrementando il loro conflitto per riportarlo nei propri territori, e Dio solo sapeva quale sarebbe stata la loro prossima mossa. Ciò di cui quella situazione non aveva bisogno era iAm che vedeva suo fratello morirgli davanti agli occhi.

Trez gli aveva già causato abbastanza danni.

Una Beamer che arde come una palla di fuoco non era una nota a favore sul suo curriculum.

Rinunciando definitivamente, accostò, premette i freni, e poggiò la fronte contro il volante. Anche a d occhi chiusi, l'aura continuò ad aumentare, espandendosi e spostandosi verso l'alto. Quando scomparve? Via alla festa - e non in maniera divertente.

Mentre aspettava che iAm gli si fermasse accanto, pensò a quanto fosse ironico che fare la cosa giusta a volte sembrava una totale sconfitta.