sabato 25 gennaio 2014

Recensione di Se ricominciando di Alberto W. Zanetti




TITOLO 

Se ricominciando


AUTORE

Alberto W. Zanetti


Amazon Kindle Store


Carissime/i,

oggi sono qui per raccontarvi di una lettura casuale conosciuta grazie a una di voi.

Ne sono stata particolarmente contenta in quanto se non fosse stato per Dany non avrei mai avuto modo di arrivarci... o forse sì? Per chi crede nel fato ovviamente era già tutto segnato e diciamo che mi fa piacere pensarla allo stesso modo quindi sì, era destino che io e il signor Alberto W. Zanetti avessimo un incontro letterario. Ma non voglio dilungarmi su chiacchiere inutili, per cui mi accingo a proporvi la recensione di Se ricominciando.

Leggo tantissimo, come tanti di noi, spesso di autori autopubblicati - guardate che lo sono anch'io, quindi non sto giudicando - ma devo dire che non sempre trovo qualità nei loro scritti. Non parlo solo di trame scontate o banali, soprattutto di illeggibili testi che con l'italiano fanno proprio a pugni.
Non sto qui a menarmela o a mettermi sul piedistallo, perché non è il caso e poi non sono per niente il tipo, ma è un dato di fatto da cui non si può prescindere.

Non voglio utilizzare questa recensione per creare un caso, che comunque esula da ciò che sto per scrivere riguardo a questo romanzo, o fare polemica, ma sono sempre sincera e quello che sto per dire potrebbe sembrare tale. In realtà il mio primo genuino pensiero è stato: finalmente un bell'autore self!

Chi mi conosce ben sa quanto non abbia alcun pregiudizio e poi... ADORO le sorprese! Quindi non ho chiesto il genere a chi di dovere, né ho sbirciato su Amazon per leggere sinossi o altro: mi sono semplicemente tuffata tra le pagine senza aspettarmi NULLA ed ecco la prima grande sorpresa.

Il signor Alberto W. Zanetti, al di là del fatto che sia
un architetto, quindi laureato - perdonatemi se penso che oggigiorno non sia sintomatico di vera cultura -  scrive bene in italiano, con proprietà di linguaggio, varietà di frasario e uso corretto della punteggiatura.

Piccola divagazione.
È ormai noto che le uso spesso e lo faccio anche in questa recensione: la comprensibilità è il requisito primario che un lettore chiede a un testo e l'autore, se si ritiene tale e vuole che il suo sia letto, è OBBLIGATO a concederla.

Troppe volte ho letto: "Questa non ha capito niente" a commenti lasciati in giro sul web. Mi spiace deludere gli autori dei Bestseller del Secolo, ma tante volte è vero proprio il contrario, quindi trovarmi davanti a un'opera godibilissima, ben scritta e comprensibile mi ha piacevolmente stupita.

Seconda sorpresa: i protagonisti sono due uomini.
Finalmente anche in Italia si comincia a tirar fuori la testa dalla sabbia e a parlare di quelle realtà con cui viviamo gomito a gomito, che fanno parte del nostro quotidiano, ma che tante persone ancora ghettizzano. E sappiamo tutti come.

E qui rischio di creare un altro caso. Purtroppo quando gli argomenti sono controversi succede, ma non voglio che una recensione diventi un manifesto a cui appigliarsi o con cui dare addosso a qualcuno, quindi mi fermo qui e procedo con lo scritto. In fondo stiamo parlando di questo, no?

Se ricominciando è uno spaccato della monotona quotidianità di un trentenne gay di Milano che vive la fine di una storia d'amore. Non vi spiegherò la trama, la potete leggere QUI, ma aspettatevi un po' di tutto.

Tra incontri improbabili e situazioni tragicomiche raccontate con un'ironia che sdrammatizza una realtà piuttosto triste e cinica, che narrata diversamente avrebbe fatto chiudere il libro a chiunque, il buon Zanetti narra molto di sé e lo fa utilizzando entrambi i personaggi.


Paolo, il protagonista, è un architetto, e mi domando quanto altro ci sia di lui. Claudio invece, l'avvocato, ha le sue stesse compulsioni, vedi il fare liste su liste. Sarà una mia impressione, ma credo che il nostro architetto si sia diviso a metà per creare i due personaggi, utilizzando intelligentemente la prima linea guida per uno scritto: scrivi di ciò che conosci.

Se ho toppato con questa considerazione, invito l'autore a redarguirmi al riguardo.

PRO: ben scritto, scorrevole e comprensibile, variegato nel vocabolario, con punteggiatura appropriata e ironico quanto basta.

CONTRO: necessiterebbe di un editing accurato per eliminare qualche refuso, qualche espressione gergale inutile, ma soprattutto per velocizzare i punti lenti e dare maggior enfasi a quelli che meritano di più, per far sì che questo progetto diventi un magnifico romanzo degno di 5 stelline.

Considerato che Se ricominciando, di cui sono orgogliosa di aver scritto questa recensione, è la prima opera di Alberto W. Zanetti, tutto lascia ben sperare che avremo un grande scrittore, che noi di Simbiosi abbiamo avuto la fortuna di conoscere in anteprima. 

I contatti dell'architetto Alberto W. Zanetti sono:

twitter: @awzanetti

VOTO: 

mercoledì 15 gennaio 2014

Traduzione Capitolo 41 di Lover at Last di J.R.Ward


Lover at Last

41


Erano più o meno le dieci del mattino quando Trez si diresse al ristorante da Sal. Il tragitto dall'appartamento al Commodore all'impresa gastronomica del fratello non era lungo, distava appena dieci minuti, e c'erano un mucchio di posti auto liberi per parcheggiare quando arrivò.

Dopotutto, non era aperto, nemmeno al personale della cucina per iniziare a preparare fino all'una del pomeriggio.

Mentre si avviava all'entrata, coi suoi stivali che masticavano la neve, quasi si aspettava che il codice di sblocco esterno non funzionasse. iAm non era rientrato a casa quella notte, e presumendo che quei succhiacazzi della s'Hisbe non l'avessero preso come garanzia, c'era un solo posto dove suo fratello potesse trovarsi. Dopo due tazze di caffè e diversi occhiate al suo orologio da polso, Trez capì che se voleva fare pace, avrebbe dovuto attraversare la città.

Grande. La combinazione non era stata cambiata.

Non ancora.

All'interno, il locale era nel vecchio stile Rat Pack, una moderna interpretazione dell'epoca che aveva generato i tipi alla Peter Lawford e The Voice: un ingresso con la carta da parati damascata nera e rossa ti conduceva nell'area ricevimento, dove c'erano il guardaroba, la postazione retrò della direttrice di sala e la cassa. Al lato sinistro e destro,  c'erano due grandi sale da pranzo entrambe in velluto rosso e nero e pelle, ma non era lì che s'intrattenevano i ricconi e i politici. Quello era il bar più avanti, una stanza rivestita con pannelli di legno con panche ricoperte di pelle rossa che correvano lungo i muri e, nell'orario di lavoro, un barman in smoking dietro il bancone in quercia lungo quasi dieci metri serviva nient'altro che il meglio.

Accedendo nell'area poco illuminata del bar, Trez si diresse in fondo all'espositore di bottiglie allineate in file per cinque e spinse la porta incernierata.

Entrando in cucina, il profumo di basilico e cipolla, origano e vino rosso, gli disse chiaramente quanto iAm fosse stressato.

Come previsto, il ragazzo era di fronte alla cucina a sedici fuochi sistemata contro il muro più lontano, cinque enormi casseruole cuocevano a fuoco lento davanti a lui - e ci potevi scommettere che anche i forni erano pieni. Nel frattempo, taglieri in legno erano allineati sui ripiani in acciaio inossidabile, le teste mozzate di diversi tipi di peperone ciondolavano affianco ai coltelli affilati che erano stati usati per tagliarle via.

Dieci verdoni per indovinare a chi il ragazzo stava pensando mentre tagliuzzava e faceva a pezzi.

"Hai intenzione di parlarmi?" disse Trez rivolto alla schiena del fratello.

iAm si spostò verso la pentola più vicina, alzò il coperchio con uno strofinaccio bianco, prese una grossa schiumarola e girò lentamente.

Trez si allungò per prendere uno sgabello d'acciaio. Si sedette e cominciò a massaggiarsi le cosce su e giù.

"Salve?"

iAm passò alla pentola successiva. E quella dopo ancora. Ognuna aveva un cucchiaio diverso per i vari sapori, e suo fratello stava ben attento a non contaminarli.

"Senti, mi spiace di non esserci stato quando sei venuto al club stasera." Ogni sera, iAm si presentava all'Iron Mask per un controllo dopo la chiusura del Sal. "Avevo degli affari di cui occuparmi."

Merda, già.  C'era voluta una vita prima che la bambolina, quella col fidanzato buttafuori, uscisse dall'auto una volta che l'aveva riportata a casa - l'aveva fatta camminare fino alla porta, l'aveva aperta, aveva fatto tutto ad eccezione di superarne lo stipite. Una volta tornato nella sua Beamer, aveva dato gas al motore come se avessero piazzato una bomba in quel palazzo senza ascensore, e mentre sgommava dirigendosi verso l'Iron Mask, tutto quello che sentiva nella sua testa era la voce di iAm.

Non puoi continuare a farlo.

iAm si voltò a quel punto,  incrociando le braccia sul petto e appoggiandosi alla cucina. I suoi bicipiti erano grossi, ma tesi in quel modo, erano costretti dai bordi della T-shirt che indossava.

I suoi occhi a mandorla avevano le palpebre semi chiuse. "Credi davvero che sia incazzato perché non ti ho trovato al club? Sul serio? Non perché mi hai lasciato ad affrontare AnsLai o roba del genere?"

Eeeeee era solo l'inizio.

"Sai che non posso incontrare nessuno di loro faccia a faccia." Trez alzò entrambe le mani, come a dire che-dovrei-fare? "Cercherebbero di costringermi a tornare indietro con loro, e allora quali sarebbero le mie opzioni? Combattere? Finirei per uccidere quel figlio di puttana, e poi dove andrei a finire io?"

iAm si massaggiò gli occhi come se avesse l'emicrania. "In questo istante pare che stiano tentando un approccio diplomatico. Almeno con me."

"Quando torneranno?"

"Non lo so - il che mi rende estremamente nervoso."

Trez s'irrigidì. L'idea che il suo imperturbabile fratello fosse ansioso gli faceva sentire come se avesse un coltello alla gola.

D'altronde, era esattamente conscio di quanto fosse pericolosa la sua gente. La s'Hisbe era per la maggior parte un popolo pacifico, felice di stare fuori dalle battaglie con la Lessening Society e lontano dai molesti umani. Colti, intelligentissimi, e mistici, nel complesso erano un gruppo di individui piacevoli. A meno che non fossi sulla loro lista nera.

Trez guardò le pentole e si domandò che tipo di carne ci fosse nella salsa. "Sto ancora smaltendo il debito con Rehv," fece notare. "Per cui il dovere viene prima."

"Non più, per la s'Hisbe. L'ha detto AnsLai e io sono d'accordo, 'È giunto il momento'."

"Non tornerò là." Guardò il fratello negli occhi. "Non succederà."

iAm tornò a voltarsi, mescolando lentamente il contenuto di ogni pentola col proprio cucchiaio. "Lo so. Ecco perché sto cucinando. Sto cercando di trovare una via d'uscita."

Dio, amava suo fratello. Anche incazzato, il ragazzo stava provando ad aiutarlo. "Mi spiace, sono sparito lasciandoti affrontare tutto questo. Sul serio. Non era giusto - Io... già, non credevo proprio che fosse sicuro stare nella stessa stanza di quel tipo. Mi spiace davvero."

Il petto di iAm si alzò e abbassò. "Lo so."

"Potrei semplicemente sparire. Risolverebbe il problema."

Anche se, cavolo, lasciare iAm l'avrebbe ucciso. Il fatto era che, se fosse fuggito dalla s'Hisbe, non avrebbe potuto avere alcun contatto col maschio. Mai più.

"Dove andresti?" gli fece notare iAm.

"Non ne ho idea."

La buona notizia era che a quelli della s'Hisbe non piaceva avere contatti con i Non Conoscibili. Senza alcun dubbio anche presentarsi all'appartamento suo e di iAm era stato traumatico, anche se il gran sacerdote si era materializzato sul balcone. Avere a che fare direttamente con gli umani? Stare vicino a loro? La testa di AnsLai sarebbe esplosa.

"Cosa avevi da fare?" chiese iAm.

Perfetto. Direttamente da un bell'argomento all'altro.

"Sono andato a vedere la proprietà di quel magazzino," disse in modo evasivo. Ma andiamo, come se stesse per menzionare volontariamente la pollastra e il suo ragazzo?

"All'una del mattino?"

"Ho fatto un'offerta."

"Quanto?"

"Uno e quattro. Il prezzo di domanda era due milioni e mezzo, ma non ci arriveranno mai. È stato vacante per anni e si vede." Sebbene... anche mentre lo diceva, doveva ammettere che aveva avvertito delle presenze là. Dopotutto, forse era stato solo il suo livello di stress a parlare. "La mia ipotesi è che chiederanno ne due, rilancerò a uno e sei, e chiuderemo l'affare a uno e sette."

"Sei sicuro di voler affrontare questo progetto proprio adesso? A meno che non ti presenti sul territorio con l'attrezzatura d'accoppiamento pronta, il problema con la s'Hisbe potrà solo peggiorare."

"Se le cose dovessero arrivare al limite, me ne preoccuperò allora."

"Quando," lo corresse iAm. "Non 'se', sarebbe 'quando'. E so cos'è successo in quel parcheggio, Trez. Col tizio e la donna."

Naaaaaturalmente lo sapeva. "Hai visto i nastri o roba del genere?"
Dannata sorveglianza di sicurezza.

"Sì."

"Me ne sono occupato."

"Proprio come ti occupi della s'Hisbe. Perfetto."

In uno scoppio d'ira, Trez si avvicinò. "Vuoi metterti nei miei panni, fratello mio? Mi piacerebbe vedere quanto bene te la caveresti se dovessi avere a che fare con questa stronzata."

"Non me ne andrei in giro a sbattermi puttane, poco ma sicuro. Il che mi fa pensare... non è che il nostro agente immobiliare è una femmina?"

"Fanculo, iAm. Sul serio."

Trez scattò dallo sgabello e uscì dalla cucina a passo di marcia. Aveva già abbastanza problemi, porca puttana - non aveva bisogno che Mister Superiorità con le abilità culinarie di Julia Child disquisisse comodamente seduto in poltrona tutta la storia con una dozzina di commenti sparati a casaccio -

"Non puoi continuare a rimandare questa cosa," gli urlò dietro iAm. "Oppure provare a seppellirla tra le cosce di innumerevoli donne."

Trez si fermò, ma tenne gli occhi sull'uscita.

"Semplicemente non puoi," dichiarò duramente suo fratello.

Trez si voltò. iAm era diretto al bar, la porta incernierata oscillava al suo passaggio così ci fu un effetto stroboscopico di luce, buio, luce, buio. Ogni volta che compariva la luce, sembrava che un'aura circondasse l'intero corpo del fratello.

Trez imprecò. "Ho solo bisogno che mi  lascino stare."

"Lo so." iAm si massaggiò la testa. "E onestamente non so cosa cazzo fare. Non riesco a immaginare di vivere senza te, e neanche io voglio tornare là. Anche se, non mi viene in mente nessun'altra opzione."

"Quelle donne... lo sai, quelle che io..." Trez esitò. "Non credi che potrebbero farmi venire fuori?"

"Se non lo fanno," disse seccamente iAm, "non vedo perché incasinarti con loro."

Trez fece un piccolo sorriso. "No, voglio dire con la s'Hisbe.  A questo punto sono tutt'altro che vergine." Anche se almeno non era sceso al livello di animale da fattoria.

"E sai cos'è peggio? Erano tutte Non Conoscibili - per la maggior parte umane anche. Questo dovrebbe disgustarli. Stiamo parlando della figlia della regina."

Quando iAm aggrottò la fronte come se solo in quel momento avesse considerato completamente l'idea, Trez  sentì un accenno di speranza.

"Non lo so, " fu la risposta.    "Forse potrebbe funzionare - ma abbiamo già fregato Sua Maestà su ciò che vuole e di cui necessita. Se ti considerassero compromesso, potrebbero anche decidere di ucciderti come punizione."

Vabbè. Avrebbero prima dovuto prenderlo.

Cavalcando un'ondata di aggressività, Trez chinò il mento e gli occhi luccicarono da sotto le sopracciglia. "In quel caso, dovranno battermi con me. E ti garantisco che non ci andrò leggero con loro."


*    *    *


Nella magione della Confraternita, Wrath capì immediatamente che la sua regina era turbata nell'istante stesso in cui varcò le porte del suo studio. Il suo profumo seducente era intinto di un eccesso acido e tagliente d'ansia.
"Che succede, leelan?" chiese, aprendo le braccia.
Anche se non poteva vedere, i suoi ricordi gli fornirono un'immagine mentale di lei mentre attraversava il tappeto Aubusson, il suo corpo, snello e atletico, muoversi con grazia, i capelli scuri sciolti sulle spalle, il magnifico viso teso dalla tensione.

Naturalmente, il maschio innamorato che era in lui voleva cacciare e uccidere qualunque cosa l'avesse irritata.

"Ciao, George," disse lei al cane. Dal thump-thump-thump sul pavimento, il retriever aveva avuto per primo delle coccole.

E poi venne il turno del padrone.

Beth si arrampicò in grembo a Wrath, il suo peso quasi inesistente, il corpo caldo e vibrante mentre l'avvolgeva nel suo abbraccio e le baciava prima entrambi i lati del collo e poi la bocca.

"Gesù," ringhiò lui alla rigidità del corpo di Beth, "sei veramente turbata. Che cazzo sta succedendo?"

Dannazione, aveva i brividi. La sua regina stava tremando.

"Parlami, leelan," disse, massaggiandole la schiena. E pronto ad armarsi e uscire alla dannata luce del giorno se necessario.

"Beh, sai di Layla," disse lei con voce roca.

Ahhhhh. "Sì, lo so. Phury me l'ha detto."

Quando Beth poggiò la propria testa nell'incavo della sua spalla, se la sistemò tra le braccia, cullandola contro il suo petto - ed era bello. C'erano volte - non spesso, ma di tanto in tanto - che si sentiva meno maschio a causa della sua cecità. Una volta era un guerriero, adesso era confinato dietro quella scrivania. Una volta era libero di andarsene ovunque gli girasse per la testa, ora doveva affidarsi a un cane per muoversi. Una volta era completamente autosufficiente, adesso doveva chiedere aiuto.

Non proprio gratificante per la virilità di un maschio.

Ma in momenti come questo, quando la sua fantastica femmina si sentiva frastornata e cercava la sua presenza soltanto per conforto e rassicurazione, si sentiva forte come una fottutissima montagna. Dopotutto, i maschi innamorati e legati proteggevano le proprie compagne in ogni modo possibile, e anche col fardello del suo diritto di nascita e questo trono su cui era costretto a star seduto, nel profondo restava un hellren nei confronti della sua femmina.

Lei era la sua prima priorità, anche prima di tutta la merda del re. La sua Beth era il cuore che gli batteva dietro la cassa toracica, il midollo nelle ossa, l'anima del suo corpo fisico.

"È così triste," disse lei. "Così dannatamente triste."

"Sei stata da lei?"

"Proprio adesso. Ora sta riposando. Voglio dire... in un certo senso, non riesco a credere che non ci sia nulla che si possa fare."

"Hai parlato con la dottoressa Jane?"

"Non appena sono rientrati dalla clinica."

Quando la sua shellan pianse, il profumo di pioggia delle lacrime della sua amata fu come una coltellata al petto - e non era sorpreso della sua reazione. Aveva già sentito di femmine che prendevano male la perdita della gravidanza di un'altra di loro - d'altronde, come potevano non identificarsi? Lui di sicuro poteva mettersi nei panni di Qhuinn.

E oh, Dio... la sola idea che Beth soffrisse tutto quello? O peggio, che portasse a termine la gravidanza e -

Perfetto. Ora era lui a tremare.

Wrath seppellì il volto tra i capelli di Beth, respirando il suo odore e calmandosi. La buona notizia era che non avrebbero mai avuto bambini, per cui non doveva preoccuparsi per quello.

"Mi spiace," sussurrò lui.

"Anche a me. Per entrambi."

Beh, in realtà in quel momento, si stava scusando per qualcos'altro.

Non era che volesse che accadesse qualcosa di brutto a Qhuinn, Layla e il loro bambino. Ma forse se Beth vedeva quanto era triste quella realtà, si sarebbe ricordata di tutti i rischi che avrebbe corso in ogni istante della gravidanza.

Cazzo. Suonava orribile. Era orribile. Per l'amor del cielo, sul serio non voleva tutto questo per Qhuinn e nemmeno voleva che la sua shellan fosse sconvolta. Eppure, sfortunatamente, la triste verità era che non voleva in alcun modo impiantare il proprio seme in lei per ingravidarla - mai.

E quel tipo di disperazione gli faceva pensare a cose imperdonabili.

In un attacco di paranoia, contò mentalmente gli anni che erano trascorsi dalla sua transizione - poco più di due. Da quel che aveva capito, la media diceva che la vampira entrava nel suo primo bisogno dopo cinque anni dal cambiamento, e dopo ogni dieci anni o giù di lì. Quindi, in base ai suoi conteggi, avevano ancora del tempo prima di doversi preoccupare di tutto questo...

E poi, come mezzosangue, nel caso di Beth non si poteva essere sicuri di niente. Quando i vampiri e gli umani si mischiavano, poteva succedere qualunque cosa - e aveva diverse ragioni per cui essere preoccupato. Dopotutto lei aveva menzionato i figli una volta o due.

Ma di sicuro doveva esser stata un'ipotesi remota.

"Quindi ritarderai l'affiliazione di Qhuinn?" disse lei.
"Sì. Saxton ha terminato l'aggiornamento delle leggi, ma con Layla in questo stato? Non è il momento giusto per il suo ingresso nella Confraternita."

"È quello che pensavo."

Restarono entrambi in silenzio, e mentre Wrath si godeva quel momento, non riuscì a immaginare la sua vita senza lei.

"Sai una cosa?" esclamò lui.

"Cosa?" Ci fu un accenno di sorriso nella voce di lei, che lo avvisava che aveva capito cosa stesse per dire.

"Ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo."

La sua regina scoppiò in una piccola risata, e gli accarezzò il viso. "Non lo avrei mai immaginato."

Diamine, anche lui percepì il profumo del loro legame.

In risposta, Wrath le prese il viso tra le mani e si allungò, trovando le sue labbra e scambiandosi un tenero bacio - che non restò tenero. Cavolo, era sempre così con lei. Al minimo contatto tra loro, nemmeno il tempo di rendersene conto, lui era pronto per possederla.

Dio, non capiva come gli uomini facessero a destreggiarsi. Da quel che aveva capito, ogni dannatissima volte che facevano sesso con la loro compagna, dovevano chiedersi se fossero fertili o meno - evidentemente non potevano cogliere i sottili cambiamenti nel profumo delle loro femmine.

Lui sarebbe impazzito. Almeno, quando una vampira era nel suo bisogno, tutti lo sapevano.

Beth si spostò nel suo grembo, premendo contro la sua erezione, facendolo gemere. Di solito, questo era il segnale per George che era il momento di attraversare le doppie portare e sparire momentaneamente. Ma non quella sera. Per quanto Wrath la volesse, quel manto luttuoso sulla casa stava mettendo un freno anche alla sua libido.

E poi c'era stato il bisogno di Autumn. Ora quello di Layla.

Non aveva intenzione di mentire; quella merda lo rendeva suscettibile. Si sapeva che gli ormoni nell'aria avevano un effetto di rimbalzo in una casa piena di femmine, influenzando il bisogno di una, poi di un'altra e infine di una terza, presumendo che quest'ultima fosse sufficientemente vicina al suo momento.

Wrath accarezzò i capelli di Beth e la spostò nuovamente contro la sua spalla.

"Non vuoi..."

E mentre la sua frase si spegneva, lui prese la sua mano e la sollevò, sentendo il pesante Rubino Saturnino che la regina della razza doveva sempre indossare.

"Voglio solo tenerti tra le braccia," disse. "Per me è più che sufficiente adesso."

Accoccolandosi, Beth si sistemò ancora più vicino a lui. "Beh, anche questo è bello."

Sì. Lo era.

E anche stranamente terrificante.

"Wrath?"

"Sì?"

"Stai bene?"

Gli ci volle un po' prima di poter rispondere, prima di costringere la voce a sembrare calma, posata da nessun problema. "Oh, sì, sto bene. Proprio bene."

Mentre le accarezzava il braccio, facendo scorrere la mano su e giù lungo il suo bicipite, pregò che gli credesse... e giurò che quello che stava succedendo appena una porta più in là lungo il corridoio, non sarebbe mai e poi mai successa a loro due.

Assolutamente no. Non avrebbero mai dovuto affrontare una tragedia come quella.

Grazie alla Vergine Scriba.









mercoledì 8 gennaio 2014

Bentornati!!!

Carissime/i...

bentornati a tutti! Spero che questo nuovo anno sia più clemente di quello passato e dia ad ognuno di voi le possibilità che da tempo desiderate. Intanto vi lascio il mio augurio per un fantastico 2014 e si riprende. Alè... sotto a chi tocca! Ancora Lover at Last? Ma sì, dai!!!
Christiana V




venerdì 3 gennaio 2014

Amami ancora di Christiana V

Odiava il Natale. In realtà Alessandro odiava parecchie cose in quel momento: il tintinnio dei bicchieri, il brusio che faceva da sottofondo, la musichetta da pianobar che avrebbe dovuto intrattenere gli ospiti a cui non fregava un bel niente di sentir strimpellare qualcosa e, soprattutto, odiava la cravatta. 
Si sentiva strozzare e la cosa lo stava facendo impazzire.
Passando l'indice nel colletto dell'immacolata camicia di lino, lasciò scivolare gli occhi scuri nella enorme sala delle feste del Grand Hotel Rouge et Noir al centro di Roma. Le controsoffittature bianche coi faretti alogeni sapientemente nascosti rendevano l'immenso ambiente più caldo, così come i tendaggi in velluto amaranto e le miriadi di candele che tremolavano sui candelabri d'argento massiccio.
Continuando la perlustrazione arrivò al mastodontico abete illuminato che campeggiava davanti a una finestra e strinse la mascella.
Detestava il Natale e tutte le stronzate consumistiche che portava
con sé, non tollerava quell'allegria forzata, ma più di tutto odiava il ricordo che anche a distanza di due anni gli bruciava la pelle.
Con la gola stretta, bevve una generosa sorsata di Ferrari ghiacciato senza risolvere nulla.
Okay, fanculo le convenzioni, pensò avviandosi alla toilette. Uscendo dalla grande sala, incrociò alcuni colleghi che cercarono d'introdurlo in una conversazione vuota e inutile. Si dileguò con cenni del capo e occhi fermi. Non era un gran dispensatore di sorrisi né di cortesia, e non ne usò nemmeno quando passò davanti a due pivelli che scattarono vedendolo arrivare e gli spalancarono la porta del bagno.
Per fortuna era solo.
Con uno strattone si sfilò la cravatta blu notte e la mise in tasca, poi si guardò allo specchio mentre sbottonava il colletto.
Aveva la fronte aggrottata e le labbra strette, segno evidente del suo malumore, così come il tic alla mascella. Aprì l'acqua fredda e si sciacquò il viso, nella speranza di rilassarsi, e inspirò a occhi chiusi.
L'ottimo odore del detergente gl'investì le narici riportando violentemente a galla un ricordo torrido e prepotente. La prima volta era successo proprio in un bagno, contro una parete scivolosa a causa del suo sudore e non gliene era fregato un cazzo che qualcuno potesse entrare e beccarli coi calzoni abbassati.
Lui e Roberto. Al solo nome riaprì gli occhi di botto e si accorse di ansimare.
Merda! E lui voleva rilassarsi! La verità era che sapeva che quella sera, dopo due lunghi anni, l'avrebbe rivisto e potendo, l'avrebbe evitato.
La porta si aprì e richiuse dietro di lui e fu come una folgorazione.
Chiusa una porta si apre un portone, non si diceva così? Forse era il momento di lasciarsi tutto alle spalle e mettere un punto fermo in una situazione stagnante ormai da troppo tempo. Lui non era tipo da temporeggiamenti. Alessandro Costa era abituato ai tagli netti, era uno che preferiva spezzarsi, ma non piegarsi. Mai.
Tornò allo specchio e diede una sapiente scompigliata alla capigliatura scura, aprì un ulteriore bottone in modo da lasciar intravedere il petto virilmente irsuto, e con passo sicuro tornò in sala.
Il mormorio di fondo aumentava in maniera esponenziale con lo scorrere dello champagne rendendo, se possibile, ancor più soffocante la ressa colma di mille odori spesso sgradevoli. Afferrò l'ennesimo flûte pregando che la serata terminasse in fretta e una mano si abbatté sulla sua spalla.
«Ecco qui il nostro golden boy, Alessandro Costa. Alessandro, questo è il signor Gorini. È rimasto molto impressionato dalla campagna per l'Hang Out.»
Alessandro afferrò la mano tesa con una presa decisa, come al suo solito. Era convinto che da una stretta di mano si capisse il carattere di una persona e lui utilizzava questo metodo per studiare i suoi interlocutori.
«La ringrazio, signore» rispose educatamente con distacco. Quella campagna pubblicitaria aveva fruttato all'azienda un bel contratto e a lui, unico ideatore col suo team, un introito a parecchi zeri e una reputazione non più emergente, ma affermata. Un minimo di alterigia era d'obbligo.
«Davvero un ottimo lavoro, ragazzo.»
Alessandro affilò i sensi al tono paterno di Gorini. Benché dimostrasse sui sessantadue anni, Alessandro sapeva che era ben più vicino ai settanta, e la presa da vero dominatore era un chiaro monito a stabilire il proprio territorio, che in questo caso, si stava estendendo a lui e al suo lavoro.
Si limitò a rispondere con un sorriso stretto senza distogliere lo sguardo.
«Alessandro ci dà enormi soddisfazioni. È davvero un fuoriclasse» continuò Sansella, l'ormai ex presidente e suo datore di lavoro.
Era quello il motivo per cui si trovava di nuovo a Roma. Le festività natalizie si erano rivelate il momento giusto per riunire alla sede centrale della SanSpot tutto lo staff per dare il commiato al vecchio leone e insediare sullo scranno più prestigioso il suo primogenito.
Ovviamente nessuno aveva potuto rifiutare l'invito, nemmeno lui. Ed eccolo lì a sorbirsi sorrisi arroganti, strette di mano untuose e a ripetersi come un mantra di sopportare perché presto tutto sarebbe finito.
Le pacche sulle spalle si sprecavano e lui le detestava. Aveva buttato sudore e sangue per crearsi una posizione che ora gli consentiva un posto in prima linea, non aveva bisogno della condiscendenza di nessuno, solo della compiacenza, che meritava ampiamente.
Allargò il sorriso, che non arrivò comunque ai suoi occhi verdi e tese le spalle, difendendo il suo spazio personale.
Mi vuoi? Dovrai sborsare un bel po' di soldi, pensò con soddisfazione guardando la luce irritata negli occhi di Gorini, che strinse ulteriormente la presa sulla mano di Alessandro.
Poteva essere un rischio tentare un braccio di ferro con un magnate dell'industria automobilistica mondiale, ma lui era un combattente ben conscio delle proprie potenzialità e sapeva fin dove spingersi. Ad esempio in quel momento sapeva di dover serrare le fila della sua prima linea di difesa e attendere la risposta al suo guanto di sfida, che sarebbe arrivata nell'immediato se Sansella non li avesse distratti richiamando la loro attenzione verso l'ingresso.
Lasciando la mano del suo nuovo avversario si voltò per metà e s'irrigidì.
Roberto era arrivato.
I capelli biondo scuro scintillavano alla luce delle candele mentre chinava il capo per scambiare saluti coi colleghi. Alto e snello, coi lineamenti affilati e armonici, ma non belli in maniera convenzionale, Roberto Adami possedeva un carisma di prim'ordine, che ovviamente aveva cozzato da subito contro il suo.
Erano due leader e si sa che due galli non possono stare nello stesso pollaio, anche se, dovette ammettere a se stesso, le scintille che scaturivano dai loro 'scontri' avevano dato vita alle più belle campagne pubblicitarie che avesse mai preparato.
Un rivale e un collega di tutto rispetto, con idee similmente applicabili ma totalmente opposte alle sue. Il risultato era sempre un lavoro frizzante, d'impatto, potente.
Come tante altre cose, pensò ricordando i loro incontri infuocati.
Roberto era dimagrito, lo dedusse dalla guancia scarna che si strinse in un sorriso verso la segretaria del capo, poi guardò nella loro direzione e Alessandro allargò le gambe piantando i piedi in terra, pronto ad accusare il colpo dei suoi occhi quasi neri.
Roberto avanzò verso di loro e Alessandro lesse del divertimento nel suo sguardo quando questo scese ad accarezzarlo lievemente puntandosi poi su Sansella.
«Signor presidente... signori... è un piacere essere con voi.»
Il convenevole scambio di strette di mano, che lui ricambiò con forza, terminò prima che potesse tirare il fiato, poi Roberto monopolizzò la discussione come solo lui sapeva fare.
Era affascinante quando parlava, muovendosi con lievi gesti del capo e delle spalle, ma erano gli occhi il suo vero punto di forza, sempre espressivi e coinvolgenti, scuri e vellutati, capaci di ammaliare e catalizzare tutta l'attenzione. Alessandro ne aveva subito il fascino già dal primo incontro, pensando che sarebbe stato un rivale davvero ostico.
Quella collaborazione aveva segnato un momento importante nella loro carriera, nel quale Alessandro si era lasciato sommergere dall'orgoglio, e la soddisfazione si era vista per giorni nell'espressione che portava in viso.
Senza rendersene conto, Alessandro scivolò tra i suoi ricordi e ne pescò uno.
«Allora, socio, è questo che hai comprato con l'aumento del capo?» aveva detto Roberto la sera in cui l'azienda festeggiava il successo in un noto ristorante e loro due erano ovviamente gli ospiti d'onore.
Alessandro aveva sollevato la testa verso lo specchio della toilette osservando il riflesso dell'uomo appoggiato con noncuranza alla parete vicino alla porta.
«Intendi l'abito? Sì, ma ho dovuto metterci il resto. Zegna costa, lo sai!»
Alessandro era ben più che soddisfatto ed era stato disposto ad ammettere che senza di lui non avrebbero raggiunto lo stesso risultato, ma l'aveva tenuto per sé.
Aveva sorriso mentre si sciacquava le mani e si era immobilizzato per lo stupore quando Roberto l'aveva costretto in un abbraccio mettendo le mani ai lati del lavandino.
«Mi pare che abbiamo fatto progressi nella nostra interazione, o sbaglio?»
Alessandro aveva deglutito guardando quegli occhi color cioccolato che lo fissavano con voluttà. Roberto era molto più esile di lui, che invece faceva costante esercizio fisico per aumentare la massa muscolare, ma in quell'istante Alessandro si era sentito dominato.
Tutti sapevano delle inclinazioni sessuali di entrambi, ma nessuno ne aveva mai fatto menzione, né lui aveva creduto d'interessargli. Lo sguardo ammaliante era un'arma che Roberto usava indistintamente con tutti, come avrebbe potuto pensare che per lui avesse una valenza differente?
«Alessandro... sbaglio?» ...

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