mercoledì 26 giugno 2013

Traduzione Capitolo 13 Lover at Last di J.R.Ward


Lover at Last

13

Più o meno alla stessa ora in cui Qhuinn si stava sistemando in magione, Blay si svegliò seduto sulla sedia in quel piccolo ufficio sotterraneo. Il mal di testa che gli faceva da sveglia non veniva dal porto - veniva dal fatto che aveva saltato l'Ultimo Pasto. 
Ma cavolo, magari ci fosse stata la sbronza dietro al pulsare nel suo cranio. Avrebbe potuto uscirsene col fatto che era stato un completo, superficiale casino ed era fuori-di-testa quando era sceso laggiù.
Bestemmiando, ritirò le gambe dal piano della scrivania e si sedette. Il suo corpo era rigido come un asse, i dolori venivano fuori da ogni parte del corpo mentre accendeva una luce con la forza del pensiero.
Merda. Era ancora nudo.
Ma andiamo, come se i piccoli folletti potessero intrufolarsi dentro e vestirlo mentre dormiva? Giusto per non ricordargli quel che aveva fatto?
Infilandosi i pantaloncini, mise i piedi nelle scarpe da ginnastica e allungò la mano in cerca della camicia - prima di ricordarsi per cui l'aveva usata.
Mentre fissava il cotone stropicciato e sentiva i punti rigidi nella stoffa morbida, realizzò che nessuna quantità di razionalizzazione avrebbe cambiato il fatto che aveva tradito Saxton. 
Il contatto fisico con qualcun altro era solo uno dei modi per misurare l'infedeltà - e sì, che era il più grande separatore. Ma quello che aveva fatto la notte scorsa era stato una violazione del rapporto, sebbene l'orgasmo fosse stato causato dal suo cervello e non dalla mano.
Alzandosi in piedi, era mezzo morto mentre si avviava alla porta e l'apriva con uno scricchiolio. Non voleva assolutamente esser beccato mentre usciva da quell'ufficio, mezzo svestito e conciato da far paura. Il lato positivo di vivere nel complesso era che eri circondato da persone che tenevano a te; quello negativo invece che tutti avevano occhi e orecchie e i fatti di qualcuno diventavano i propri.
Quando non sentì né voci o passi, schizzò nell'ingresso e camminò a passo svelto, come se fosse stato da qualche parte per una buona ragione e fosse diretto alla sua stanza con la stessa intenzione. Con quella sensazione imboccò il tunnel. 
Certo, di solito non se ne andava in giro senza camicia, ma un sacco di Fratelli o maschi lo facevano quando tornavano dalla palestra - niente di anormale.
E lui si sentiva davvero come se avesse vinto la lotteria quando uscì da sotto la scala principale e trovò tutto libero. Il solo problema era che, dal suono delle porcellane che venivano pulite nella sala da pranzo, doveva essere più tardi di quanto pensava. 
E, ovviamente, aveva saltato il Primo Pasto - brutta notizia per la sua testa, ma almeno aveva delle barrette proteiche in camera.
La sua fortuna si estinse mentre saliva le scale che portavano al secondo piano. Di fronte alle porte chiuse dello studio di Wrath, Qhuinn e John erano in tenuta da combattimento, coi le armi assicurate, i corpi fasciati da pelle nera.
Non c'era verso che guardasse Qhuinn. Averlo nel suo campo visivo era più che abbastanza.
"Che succede?" chiese Blay.
Abbiamo una riunione adesso, disse John con le mani. O almeno, l'avevamo. Non hai ricevuto il messaggio?
Merda, non aveva idea di dove fosse finito il telefono. Nella sua stanza? Lo sperava.
"Mi faccio una doccia e torno subito."
Non c'è bisogno di correre. I Fratelli lo hanno sequestrato già da mezz'ora. Non ho idea di cosa stia succedendo.
Affianco al ragazzo, Qhuinn si stava dondolando avanti e indietro nei suoi anfibi, il peso che si spostava come se stesse camminando anche se stava fermo.
"Cinque minuti," mormorò Blay.
"Mi bastano."
Sperava che la Confraternita avrebbe aperto le porte per allora - l'ultima cosa che voleva era rimanere bloccato da qualsiasi parte vicino a Qhuinn.
Bestemmiando durante il tragitto, Blay scese di corsa nella sua stanza. Di solito se la prendeva comoda per prepararsi, specialmente quando Saxton era dell'umore giusto, ma questa volta sarebbe stata solo una sveltina -
Quando aprì la porta, si bloccò.
Che... cazzo?
Borsoni. Sul letto. Ce n'erano così tanti da non riuscire a vedere il piumone taglia king al di sotto - e lui sapeva di chi erano. I coordinati Gucci, in bianco col marchio blu oltremare e quello blu scuro con la striscia rossa - perché secondo Saxton, il tradizionale marrone su marrone col rosso e verde era "troppo ovvio."
Blay chiuse piano la porta. Il primo pensiero fu, Santa Merda, Saxton lo sa. In qualche modo il ragazzo era venuto a sapere cos'era successo al centro d'addestramento.
Il maschio in questione uscì dal bagno con le braccia piene di shampoo, balsamo e prodotti vari. Si fermò immobile.
"Ciao, " disse Blay. "Vai in vacanza?"
Dopo un momento di tensione, Saxton riprese il controllo, mise gli oggetti nella borsa da viaggio e si voltò indietro. Come sempre, i suoi meravigliosi capelli biondi gli cadevano sulla fronte in morbide onde. 
Ed era vestito in maniera impeccabile, in un altro completo in tweed col panciotto abbinato, una cravatta rossa così come il fazzoletto da taschino che aggiungevano il giusto tocco di colore.
"Credo tu sappia cosa sto per dire." Saxton sorrise tristemente. "Perché sei tutt'altro che stupido - proprio come me."
Blay provò a sedersi sul letto, ma dovette lasciar perdere perché non c'era spazio sufficiente. Optò per la chaise longue e, con una discreta inclinazione da un lato, ficcò la camicia arrotolata sotto il ricco rivestimento di stoffa. 
Fuori dalla visuale. Era il meno che poteva fare.
Dio, stava davvero succedendo?
"Non voglio che tu te ne vada," Blay sentì la sua stessa voce dire le parole con durezza.
"Ti credo."
Blay lanciò un'occhiata a tutti i borsoni. "Perché adesso?"
Pensò a loro due il giorno prima, tra le lenzuola,  a darci dentro. Erano stati così vicini - sebbene, a essere brutalmente onesto, forse era stata solo una cosa fisica.
Togliamo il forse.
"Mi stavo prendendo in giro." Saxton scosse la testa. "Pensavo di poter continuare a stare con te in questo modo - ma non posso. Mi sta uccidendo."
Blay chiuse gli occhi. "So d'aver passato parecchio tempo sul campo di battaglia -"
"Non sto parlando di questo."
Mentre Qhuinn si accomodava tra loro, Blay avrebbe voluto urlare. Ma a cosa sarebbe servito? Sembrava che lui e Saxton si trovassero allo stesso brutto posto nello stesso triste istante.
Il suo amante guardò i bagagli. "Ho appena terminato il lavoro per Wrath. È un buon momento per prendermi una pausa, darmi una smossa e trovare un nuovo lavoro -"
"Aspetta, stai lasciando anche il re?" Blay aggrottò la fronte. "Qualunque cosa succeda tra noi, devi continuare a lavorare per lui. Quello è più importante della nostra relazione."
Saxton abbassò gli occhi. "Suppongo che sia molto più facile da dire per te."
"Non è vero," controbatté Blay risoluto. "Dio, mi spiace... così tanto."
"Non hai fatto niente di sbagliato - devi sapere che non sono arrabbiato con te, o amareggiato. Sei sempre stato onesto e ho sempre saputo che le cose tra noi sarebbe terminate in questo modo. Solo non sapevo quando - non lo sapevo... finché non sono arrivato alla fine. Che è ora."
Oh, cazzo.
Benché sapesse che Saxton aveva ragione, Blay sentì un bisogno spasmodico di combattere per loro. "Ascolta, sono stato davvero distratto nell'ultima settimana e mi dispiace. Ma le cose si aggiusteranno, e noi torneremo alla normalità -"
"Sono innamorato di te."
Blay chiuse la bocca di scatto.
"Come puoi vedere," continuò Saxton aspramente, "non sei stato tu a cambiare, ma io - e temo che le mie stupide emozioni ci abbiano allontanato."
Blay si alzò in piedi e andò dall'altro maschio attraversando il tappeto dal pelo morbido.
Quando arrivò a destinazione, era così sollevato che Saxton accettasse il suo abbraccio da essere sull'orlo del pianto. E mentre teneva il suo primo vero amante contro il suo petto, sentì la familiare differenza d'altezza tra loro e l'odore di quella meravigliosa acqua di colonia, una parte di lui voleva contrastare quella separazione fino a che entrambi avessero rinunciato e continuato a tentare.
Ma non era giusto.
Come Saxton, aveva avuto il vago sentore che le cose sarebbero finite a quel punto. E come il suo amante, era sorpreso che fosse in quel momento.
Che non cambiava il risultato, comunque.
Saxton fece un passo indietro. "Non ho mai voluto essere emotivamente coinvolto."
"Mi spiace così tanto, io, io... mi spiace..." Merda, erano le sole parole che gli uscivano dalla bocca. "Darei ogni cosa per essere diverso. Vorrei poter... essere diverso."
"Lo so." Saxton allungò una mano e gli accarezzò il viso. "Ti perdono - e tu devi perdonare te stesso."
Vabbè, non era sicuro di poterlo fare - specialmente così, in quel momento, e come era dannatamente solito fare, un attaccamento emotivo che non voleva e non poteva cambiare, lo stava tuttavia derubando di qualcosa che voleva.
Qhuinn era una fottuta maledizione per lui, davvero.

           *               *               *

Più o meno quindici miglia a sud del complesso arroccato della Confraternita, Assail si svegliò nel letto circolare nella suite principale della sua casa sul fiume Hudson.
Sopra di lui, nei pannelli a specchio montati sul soffitto, il suo corpo nudo brillava nel soffice chiarore delle luci montate attorno alla base del materasso. Il resto della stanza ottagonale era buio, le tapparelle esterne ancora abbassate sulla notte appena iniziata.
Mentre considerava tutte le pareti di vetro della casa, sapeva che parecchi vampiri le avrebbero trovate inaccettabili. La maggior parte avrebbe evitato del tutto la casa.
Troppi rischi durante le ore diurne.
Tuttavia, Assail non era mai stato legato alle convenzioni, e i problemi inerenti al vivere in un  edificio con così tanti accessi per la luce era qualcosa da gestire, non da cui farsi vincolare.
Alzandosi, andò alla scrivania e al computer, entrò nel sistema di sicurezza che monitorava non solo la casa, ma anche il terreni circostanti. 
Gli allarmi avevano suonato diverse volte nelle prime ore del giorno, avvisi non di attacco imminente, ma di qualche tipo di attività che era stato segnalato dal programma filtrato del sistema di sicurezza.
In realtà, era a corto d'energia per essere eccessivamente allarmato, uno sgradito segno del fatto che aveva bisogno di nutrirsi -
Assail aggrottò la fronte mentre ricontrollava il rapporto.
Beh, se non era istruttivo!
E di sicuro ecco perché aveva installato tutti quei controlli e contrappesi.
Sulle immagini inviate dalle telecamere sul retro, osservò una figura vestita con un camuffamento da campo innevato spostarsi attraverso la foresta sugli sci di fondo, che si avvicinava alla sua casa da nord. Chiunque fosse se n'era stato nascosto tra i pini per la maggior parte del tempo a sorvegliare la proprietà da diversi punti vantaggiosi per più o meno diciannove minuti... prima di attraversare il confine occidentale degli alberi, tagliare nella proprietà del vicino e andare sul ghiaccio. Dopo circa duecento metri, l'uomo si  era fermato, aveva tirato di nuovo fuori il binocolo e fissato la casa di Assail.
Aveva girato intorno alla penisola che sporgeva nel fiume, poi era rientrato nella foresta ed era sparito.
Avvicinandosi allo schermo, Assail fece ripartire le immagini dell'avvistamento, zoomando per l'identificazione facciale qualora fosse possibile - e non lo era.
La testa era coperta da un passamontagna, coi buchi solo per gli occhi, il naso e la bocca. Col parka e i pantaloni da sci, l'uomo era coperto completamente.
Ritornando verso lo schienale, Assail sorrise tra sé e sé, le zanne che pulsavano in difesa del suo territorio.
C'erano solo due contraenti che potevano avere interesse nei suoi affari, e vista la luce del giorno che c'era durante la ricognizione, era chiaro che la curiosità non era generata dalla Confraternita. Wrath non avrebbe mai usato gli esseri umani per nient'altro che come ultima risorsa di cibo, e nessun vampiro poteva tollerare quella quantità di luce del sole senza trasformarsi in una torcia.
Il che lasciava il contraente nel mondo umano - e c'era un solo uomo con interessi e risorse tali da provare a rintracciare lui e la sua posizione.
"Entrate," disse appena un attimo prima del bussare alla porta. Mentre la coppia di maschi entrava, lui non si preoccupò di distogliere lo sguardo dallo schermo del computer. "Avete dormito bene?"
Una familiare voce profonda rispose, "Come morti."
"Siete fortunati. Il jet lag può essere uno strazio, così ho sentito dire. Abbiamo avuto un visitatore questo mattino, per la cronaca."
Assail s'inclinò da un lato in modo che i suoi soci potessero rivedere le immagini.
Era strano avere dei compagni d'appartamento, ma doveva abituarsi alla loro presenza. Quando era arrivato nel Nuovo Mondo, era stato un viaggio in solitaria e aveva deciso di tenere le cose in quel modo per numerose ragioni. 
Tuttavia, il successo ottenuto negli affari che aveva scelto di svolgere richiedeva dei rinforzi - e le sole persone di cui in parte si fidava appartenevano alla sua famiglia.
E loro due offrivano un vantaggio unico.
I suoi due cugini erano una rarità nella specie dei vampiri: una coppia di gemelli totalmente identici. Quando erano completamente vestiti, il solo modo per riconoscerli era un singolo neo dietro il lobo dell'orecchio; a parte quello, dalle voci e i sospettosi occhi scuri ai loro corpi muscolosi, erano l'esatto riflesso l'uno dell'altro.
"Sto uscendo," disse loro Assail. "Se il nostro visitatore venisse di nuovo, sarete ospitali, vero?"
Ehric, il maggiore dei due per una manciata di minuti, spostò lo sguardo, il volto illuminato dalla luce attorno alla base del letto. C'era una tale malvagità in quella aitante combinazione di lineamenti - al punto che qualcuno avrebbe potuto quasi provare pietà per l'intruso. "Sarà un piacere, te l'assicuro."
"Tenetelo in vita."
"Naturalmente."
"È una linea di confine molto più sottile di quanto voi due avete gradito a volte."
"Fidati di me."
"Non è di te che mi preoccupo." Assail guardò l'altro. "Mi hai capito?"
Il gemello di Ehric rimase in silenzio, sebbene avesse annuito una volta.
Quella reazione riluttante era l'esatto motivo per cui Assail avrebbe preferito mantenere la sua nuova vita semplice. Ma era impossibile essere in più di un posto alla volta - e questa violazione della privacy era la prova che non poteva fare tutto da solo.
"Sapete come contattarmi," disse congedandoli.
Venti minuti più tardi, Assail lasciò la casa dopo essersi fatto la doccia, vestito e dietro al volante del suo Range Rover a prova di proiettile.
Il centro di Caldwell la notte era bello da vedere a distanza, specialmente quando arrivava dal ponte. Lo era fino a che penetrava la griglia delle strade e che la melma della città diventava evidente: i vicoli coi loro sudici cumuli di neve e i cassoni dell'immondizia grondanti e i reietti, semi congelati umani senza tetto raccontavano la vera storia del lato vulnerabile del comune.
Il suo posto di lavoro, già.
Quando arrivò alla galleria d'arte di Benloise, parcheggiò sul retro, in uno dei due spazi paralleli all'edificio dietro la struttura.
Mentre scendeva dal SUV, il vento freddo penetrò nel suo cappotto cammello e dovette tenere i lembi insieme attraversando la strada, avvicinandosi alla porta a grandezza industriale.
Non doveva bussare. Ricardo Benloise aveva uno stuolo di gente che lavorava per lui, e non tutti erano i tipi da soci in opere d'arte. Un maschio umano della stazza di un parco dei divertimenti aprì la porta e si fermò di lato.
"Ti sta aspettando?"
"No."
Disneyland annuì. "Vuoi aspettare in galleria?"
"Andrebbe bene."
"Vuoi qualcosa da bere?"
"No, grazie."
Mentre attraversavano la zona degli uffici ed entravano nello spazio adibito all'esposizione, il rispetto che veniva accordato ad Assail era una novità - ottenuto grazie agli enormi ordini di roba che richiedeva e al sangue di un numero imprecisato di umani. Grazie a lui i suicidi tra i maschi non votanti dell'età tra i diciotto e i ventinove anni con dei crimini di droga alle spalle avevano avuto un'impennata, il tasso più alto di tutti i tempi in città, secondo la stampa locale.
C'era da immaginarselo.
Mentre conduttori e giornalisti provavano a dare un senso a quelle tragedie, lui continuava ad accrescere il suo volume d'affari con ogni mezzo necessario.
Le menti umane erano estremamente suggestionabili; richiedeva ogni suo sforzo prendere spacciatori intermediari, far portar loro le stesse pistole alle tempie e premere i grilletti. E nello stesso modo in cui la natura aborra una mancanza, così facevano le richieste di sostanze chimiche.
Assail aveva la droga. I tossici il contante.
Il sistema economico faceva ben più che sopravvivere alla riorganizzazione forzata.
"Vado avanti, " disse l'uomo a una porta nascosta. "E gli faccio sapere che sei qui."
"Fai con calma."
Lasciato solo, Assail girò intorno nello spazio aperto dagli alti soffitti, unendo le mani e mettendole dietro la schiena. Ogni tanto si fermava a guardare "l'arte" che era appesa ai muri e i tramezzi - e gli ricordava perché gli umani dovevano essere sradicati, preferibilmente con lenti e dolorosi intenti.
Piatti di carta usati appuntati a un pannello di truciolato scadente e coperto di citazioni pubblicitarie televisive scritte a mano? Un autoritratto fatto col dentifricio? E altrettanto offensive erano le targhe commemorative ingrandenti montate vicino a quel casino che dichiarava il non senso rappresentante la nuova corrente dell'espressionismo americano.
Davvero una testimonianza sulla cultura in diversi modi.
"È pronto adesso."
Assail sorrise a se stesso e si voltò. "Che accomodante."
Mentre entrava nella porta nascosta e saliva al terzo piano, Assail non fece una colpa al suo fornitore per essere sospettoso e volere più informazioni sul suo unico, grande cliente. Dopotutto, in un lasso di tempo molto breve, il commercio della droga era stato dirottato, ridefinito e gestito da un completo sconosciuto.
Si poteva capire la posizione dell'uomo.
Ma la ricerca sarebbe terminata lì.
Al termine delle scale industriali, altri due grossi uomini stavano davanti a un'altra porta, fermi e solidi come delle pareti portanti. Così come la guardia al primo piano, aprirono in fretta la porta e gli fecero un cenno con rispetto.
Dall'altro lato, Benloise era seduto alla fine di una stanza stretta e lunga con le finestre tutte da un lato e solo tre pezzi d'arredo: la sua scrivania rialzata, che non era altro che una sottile lastra di tek con una lampada moderna e un posacenere; la sua sedia, di una qualche derivazione moderna; e una seconda sedia di fronte a lui per un solo ospite.
Lo stesso uomo era come l'ambiente che lo circondava: pulito, importuno e chiaro nel suo modo di pensare. Infatti, aveva dimostrato che per quanto illecito fosse il commercio di droga, i principi gestazionali e le abilità interpersonali facevano di un amministratore delegato uno di successo, con tanta strada dinanzi a sé, se volevi farci i milioni - e tenerti il denaro.
"Assail. Come stai?" Il minuscolo gentiluomo si alzò e porse la mano. "È un piacere inaspettato."
Assail si fece avanti, strinse la mano e non aspettò un invito a sedersi.
"Cosa posso fare per te?" disse Benloise risistemandosi sulla sedia.
Assail prese un sigaro cubano dalla tasca interna del cappotto. Tagliò la punta, si allungò e la posò sulla scrivania.
Mentre Benloise aggrottava la fronte come se qualcuno gli avesse defecato nel letto, Assail sorrise mostrando appena le zanne. "Veramente è cosa io posso fare per te."
"Oh."
"Sono sempre stato un uomo riservato, con una vita riservata, per scelta."  Mise da parte le forbici e prese l'accendino d'oro. Una volta accesa la fiamma, ci si avvicinò e inalò più volte per far sì che il sigaro si accendesse per bene. 
"Ma prima e al di sopra di ogni cosa, sono un uomo d'affari impegnato in un commercio pericoloso. Di conseguenza, vedo ogni violazione di domicilio della mia proprietà o intrusione come un diretto atto di aggressione."
Benloise sorrise debolmente e si mise comodo sul suo trono.
"Posso rispettarlo, naturalmente, e sono tuttavia confuso sul perché senti il bisogno di farmene partecipe."
"Io e te abbiamo una relazione di mutuo beneficio, ed è mio grande desiderio che continui a esserlo." Assail inalò dal sigaro, rilasciando poi una nuvola di fumo azzurro.
"Perciò, voglio darti il rispetto che meriti, ed esser chiaro prima di prendere provvedimenti qualora dovessi scoprire qualche altra persona, dopo le mie premesse, che non ho invitato, non mi limiterò a eliminarle, troverò il mandante." - inalò di nuovo - "E farò ciò che devo per difendere la mia proprietà. Sono stato abbastanza chiaro?"
Le palpebre di Benloise si abbassarono, gli occhi scuri si accesero di rabbia.
"Lo sono stato?" mormorò Assail.
Naturalmente, c'era una sola risposta. Presumendo che l'umano volesse superare vivo il prossimo fine settimana.
"Sai, mi ricordi il tuo predecessore," disse Benloise col suo accento inglese. "Hai mai conosciuto il Reverendo?"
"Qualche volta eravamo negli stessi giri, sì."
"È stato ucciso in maniera piuttosto violenta. È stato un anno fa? Il suo club è saltato in aria."
"Gli incidenti succedono."
"Di solito in casa, da quanto ho sentito."
"Qualcosa che faresti bene a tenere a mente."
Quando Assail fissò lo sguardo di fronte a sé, Benloise abbassò gli occhi per primo. Schiarendosi la gola, il più grande importatore di droga della Costa Orientale e grossista passò il palmo della mano sul ripiano lucido della scrivania, come se sentisse i nodi che correvano nel legno.
"I nostri affari," disse Benloise, "hanno un delicato ecosistema che, per la sua solidità finanziaria, deve essere mantenuto con attenzione. La stabilità è rara e molto desiderabile per gli uomini come me e te."
"Concordo. E alla fine, conto di ritornare alla conclusione della serata col mio pagamento ad interim come prestabilito. Come faccio sempre, sono venuto da te in buona fede, e non ti ho dato ragioni per dubitare di me o delle mie intenzioni."
Benloise dischiuse piano le labbra con un sorriso. "La fai sembrare come se ci fossi io dietro a tutto questo," agitò la mano nell'aria, "qualunque cosa ti stia infastidendo."
Allungandosi, Assail alzò il mento e lo guardò. "Non sono infastidito. Non ancora."
Una delle mani di Benloise sparì di nascosto. Un secondo dopo, Assail sentì la porta in fondo alla stanza aprirsi.
Tenendo la voce bassa, Assail  disse, "Questa era una cortesia rivolta a te. La prossima volta che trovo qualcuno sulla mia proprietà, che tu l'abbia mandato o meno, non sarò educato nemmeno la metà."
Detto ciò, si alzò in piedi e spense il sigaro sul ripiano della scrivania.
"Ti auguro una buona, piacevolissima serata," disse questo prima di andarsene.


mercoledì 19 giugno 2013

Traduzione Capitolo 12 di Lover at Last di J.R.Ward



Lover at Last

12

Era tardo pomeriggio quando Wrath colpì la parete. Era seduto alla scrivania col culo sul trono di suo padre con le dita che correvano su un rapporto scritto in Braille, quando, all'improvviso, non riuscì a tollerare nemmeno un'altra parola di quel maledetto testo.
Spingendo i fogli da parte, bestemmiò e tolse il naso dagli incartamenti. Proprio quando stava per scagliarli contro il muro, un muso gli diede un colpetto al gomito.
Fece passare un braccio attorno al golden retriever e strinse la presa sul soffice pelo che scendeva lungo sui fianchi del cane. "Lo sai sempre, non è vero?"
George si fece strada in profondità, premendo tra la gamba e il torace di Wrath-che era l'indizio di quando voleva essere preso in braccio.
Wrath si chinò e prese tra le braccia gli oltre quaranta chili di cane. Mentre sistemava le quattro zampe, la criniera di leone e la coda scodinzolante in modo che stesse comodo, Wrath pensò che era una cosa buona che fosse così fottutamente alto. Le sue cosce enormi offrivano un appoggio più ampio insieme al suo grembo.
E poi l'accarezzare tutto quel pelo lo calmava, anche se non gli alleggeriva la mente.
Suo padre era stato un grande re, capace di resistere a cerimonie senza fine, interminabili notti piene di stesure di proclami e chiamate, interi mesi e anni di protocollo e tradizione. E quello era prima di fare il callo al costante flusso di stronzate che ti arrivavano da ogni parte: lettere, telefonate, email-sebbene naturalmente quell'ultima parte non era stata un problema in quest'era moderna.
Wrath era stato un combattente una volta. E pure uno dannatamente bravo.
Sollevando la mano in alto, tastò il lato del collo, dove era entrato il proiettile-
Il colpo alla porta era secco e diretto, più una pretesa che una rispettosa richiesta per entrare.
"Entra, V," disse ad alta voce.
Il caustico profumo di amamelide che precedeva il Fratello era un chiaro avvertimento che si stava incazzando. E di sicuro, quella voce profonda aveva un timbro tagliente.
"Ho finalmente terminato l'esame balistico. Quei dannati frammenti c'hanno messo una vita."
"E?" l'interruppe Wrath.
"Combacia al cento per cento." Quando Vishous si sedette di fronte alla scrivania, la sedia scricchiolò sotto al suo peso. "Li abbiamo in pugno."
Wrath esalò, e parte del ronzio nel suo cervello scivolò fuori.
"Bene." Fece scivolare il palmo della mano dalla testa squadrata di George fino al costato. "È il nostro proiettile, allora."
"Già. Qualunque cosa accadrà adesso, è giusta e legale."
La Confraternita sapeva da tempo chi aveva premuto il grilletto del colpo che lo aveva quasi ucciso nell'autunno passato-e il compito di eliminare uno a uno i membri della Banda dei Bastardi era qualcosa a cui bramavano molto più di un dovere sacro verso la razza.
"Senti, devo essere onesto, vero?"
"Quando mai non lo sei?" disse piano Wrath.
"Perché diamine ci stai legando le mani?"
"Non credevo di farlo."
"Con Tohr."
Wrath si sistemò George in grembo in modo che il sangue nella sua gamba sinistra affluisse a dovere. "Me lo ha chiesto per proclama."
"Noi tutti abbiamo il diritto di fare fuori Xcor. Quello stronzo è il premio che vogliamo tutti. Non dovrebbe essere destinato solo a lui."
"Lo ha chiesto."
"La qual cosa rende più complicato uccidere il bastardo. E se qualcuno di noi lo trovasse mentre Tohr non c'è?"
"Allora lo porterete qui." Ci fu un lungo silenzio teso. "Mi hai sentito, V? Porterete qui quel pezzo di merda, e lascerete fare a Tohr ciò che deve."
"L'obiettivo è eliminare la Banda dei Bastardi."
"E in che modo questo vi ostacola?" Quando non ci fu risposta, Wrath scosse la testa. "Tohr era con me in quel monovolume, fratello mio. Mi ha salvato la vita. Senza di lui..."
Non terminò la frase e V bestemmiò a bassa voce-come se stesse facendo i conti con quel ricordo e fosse giunto alla conclusione che il Fratello che aveva dovuto tagliare il tubo di plastica dal suo zaino CamelBak e praticare una tracheotomia al suo re in un veicolo che correva a centinaia di miglia all'ora senza alcun aiuto medico potesse avere un lievissimo diritto in più di uccidere il criminale.
Wrath fece un piccolo sorriso. "Ti dico q uesto-solo perché sono un bravo ragazzo, ti prometto che tutti potrete fargli il culo prima che Tohr uccida quel figlio di puttana a mani nude. Che ne dici?"
V rise. "Beh, ci toglierà il prurito."
Il bussare alla porta che li interruppe era calmo e rispettoso-un paio di tocchi leggeri che suggerivano che chiunque fosse, sarebbe stato felice di starsene lì fuori, contento di aspettare, e sperando per un'immediata udienza tutto allo stesso momento.
"Sì," rispose Wrath.
Il profumo di costosa acqua di colonia annunciò l'arrivo dell'avvocato: Saxton aveva sempre un buon odore, che coincideva con la sua persona. Da quello che Wrath ricordava, in aggiunta alla grande educazione del ragazzo e alla qualità del suo modo di pensare, si vestiva alla moda dei figli ben cresciuti della glymera. Vale a dire, assolutamente perfetto.
Non che Wrath l'avesse visto di recente.
Saxton mise gl'incartamenti sulla scrivania in tutta fretta. Una cosa era esporsi con V; non sarebbe successo di fronte al giovane ed efficiente maschio che stava entrando dalla porta-non importava quanto si fidasse di Sax.
"Cos'hai per me?" disse Wrath mentre George scodinzolava in segno di saluto.
Ci fu una lunga pausa. "Forse dovrei tornare più tardi?"
"Puoi dire qualunque cosa di fronte a mio Fratello."
Un'altra lunga pausa, durante la quale V probabilmente stava buttando un occhio al legale come se volesse fare a pezzi il suo grazioso culetto alla moda per suggerirgli che se c'era qualche informazione, bisognava condividerla.
"Anche se riguarda la Confraternita?" disse Saxton con lo stesso tono.
Wrath poteva sentire gli occhi di ghiaccio di V girargli attorno. E infatti, il Fratello disse, "Cosa riguarda noi?"
Quando Saxton rimase in silenzio, Wrath capì di cosa si trattava. "Puoi darci un minuto, V?"
"Mi prendi per il culo?"
Wrath fece scendere George a terra. "Ho bisogno solo di cinque minuti."
"Bene. Divertiti, mio signore, " sputò fuori V mentre si alzava. "Fanculo."
Un istante dopo, la porta venne sbattuta.
Saxton si schiarì la voce. "Sarei potuto tornare."
"Se l'avessi voluto, te l'avrei detto. Dimmi."
Un respiro profondo venne inalato e poi fatto uscire, come se il civile stesse fissando l'uscita e si domandasse se la partenza incazzata di V gli avrebbe potuto causare una morte prematura durante il giorno. "Ah... la revisione delle Vecchie Leggi è completa, e posso fornirti una lista comprensiva di tutte le sezioni che richiedono rettifiche, assieme alle proposte riformulate, e alla cronologia in cui i cambiamenti possono essere effettuati se-"
"Sì o no. Solo questo importa."
Dal soffice rumore dei mocassini sul suo tappeto Aubusson, Wrath capì che l'avvocato stava per fare una piccola passeggiata. Dalla memoria, richiamò l'immagine dello studio, con le pareti blu chiaro, con le modanature con gli svolazzi e tutto quell'insignificante e antico mobilio francese.
Aveva più senso Saxton in quella stanza di Wrath coi suoi pantaloni di pelle e la maglietta attillata.
Ma era la legge a stabilire chi fosse il re.
"È meglio che inizi a parlare, Saxton. Ti garantisco che non verrai licenziato se mi dirai la verità. Cerchi di addolcire la pillola? E allora sei fuori di qui, non me ne frega con chi vai a letto."
Ci fu un'altra schiarita di gola. E infine quella voce acculturata gli venne dalla scrivania. "Sì, potete fare ciò che volete. Tuttavia, ho dei dubbi riguardo alla tempistica."
"Perché? Perché ti ci sono voluti due anni per rettificare?"
"Stai facendo un cambiamento fondamentale alla sezione della società che protegge la specie-e che in futuro potrebbe destabilizzare la tua guida. Non sono all'oscuro delle pressioni a cui sei sottoposto, e sarebbe negligente da parte mia non far notare l'ovvio. Se alteri la regola di chi può entrare nella Confraternita del Pugnale Nero,  darà anche l'avvio al dissenso-questo va contro ogni cosa hai tentato durante la tua reggenza, e sta avvenendo in un'era di cambiamenti sociali estremi."
Wrath inalò a lungo e lentamente dal naso-non percepì alcuna aura negativa: non c'era segno che suggerisse che il ragazzo fosse sleale o non volesse fare il lavoro.
E aveva ragione.
"Apprezzo l'opinione," disse Wrath. "Ma non m'inchinerò al passato. Mi rifiuto. E se avessi dubbi sul maschio in questione, non lo farei."
"Cosa ne pensano gli altri Fratelli?"
"La cosa non ti riguarda."
In effetti, non aveva ancora affrontato l'argomento con loro. Dopo tutto, perché preoccuparsi se non c'era possibilità d'andare avanti? Tohr e Beth erano gli unici che sapevano esattamente fino a dove era pronto a spingersi per riuscire. "Quanto tempo ci vorrà per renderlo effettivo?"
"Posso avere tutto pronto per l'alba di domani-al più tardi, non appena scende la notte."
"Fallo." Wrath strinse un pugno e lo batté sul bracciolo del trono. "Fallo ora."
"Come desideri, mio signore."
Ci fu un fruscio di abiti eleganti, come se il maschio si stesse inchinando, e poi dei passi prima che uno dei due battenti della doppia porta venisse aperto e richiuso.
Wrath fisso il nulla che la sua cecità gli aveva portato.
Erano tempi pericolosi, era vero. E francamente, la cosa più intelligente da fare era aggiungere Fratelli, non pensare alle ragioni per non farlo-sebbene la contro argomentazione a quello era, se quei tre ragazzi avrebbero voluto combattere al loro fianco senza essere indotti, perché preoccuparsi?
Ma fanculo. Era la vecchia scuola a volere qualcuno d'onore che avesse messo la propria vita in prima linea così che la sua potesse continuare.
Il vero problema, al di là delle leggi, tuttavia... era, cosa avrebbero pensato gli altri?
Che era più come mettere fine a questo di ogni casino legale.


*          *         *

Quando scese la notte, ore più tardi, Qhuinn giaceva nudo tra le lenzuola ingarbugliate, senza che il corpo e la mente riposassero, nemmeno durante il sonno.
Nel suo sogno, era tornato in quel lato della strada, stava camminando fuori la casa della sua famiglia. Aveva una sacca su una spalla, un attestato di diseredazione nella cintura, e un portafogli in cui c'erano solo undici dollari.
Ogni cosa era chiarissima-la sua memoria non aveva snaturato nulla grazie a un playback errato: dall'umida notte d'estate al suono delle New Rocks sui ciottoli, alla spalla... al fatto che era conscio che non c'era niente nel suo futuro.
Non aveva un posto dove andare. Nessuna casa dove tornare.
Nessuna prospettiva. Neanche un passato adesso.
Quando l'auto si fermò dietro di lui, sapeva che erano John e Blay-
Invece no. Non erano i suoi amici. Era la morte sotto forma di quattro maschi in cappe nere che uscirono dalle quattro portiere e lo circondarono.
Una Guardia d'Onore. Mandata da suo padre per punirlo per aver disonorato il nome di famiglia.
Che ironia. Uno pensava che tagliuzzare un sociopatico che stava cercando di far fuori il tuo amico sarebbe stata considerata una cosa buona. Ma non quando l'assalitore era il tuo perfetto cugino.
Al rallentatore, Qhuinn piombò nella posa da combattimento, preparandosi all'attacco. Non c'erano occhi in cui guardare direttamente, nessun viso per capire chi ci fosse dietro-e c'era un motivo: il fatto che le cappe oscurassero le loro identità si presumeva facesse sentire la persona che aveva trasgredito come se l'intera società stesse disapprovando le sue azioni.
L'accerchiavano e si avvicinavano... probabilmente l'avrebbero fatto fuori, ma li avrebbe feriti durante il procedimento.
E lo fece.
Ma aveva anche ragione: dopo quelle che sembrarono ore di difesa, finì a terra e fu lì che cominciò il pestaggio vero e proprio.
Sdraiato sull'asfalto, si coprì la testa e lo scroto meglio che poté, i colpi cadevano su di lui, le cappe nere che svolazzavano come ali di corvi mentre veniva colpito ancora e ancora.
Dopo un po', non sentì più dolore.
Stava per morire proprio là in quel lato della strada-
"Fermi! Non dobbiamo ucciderlo!"
La voce di suo fratello si fece strada su tutto, affondandogli dentro in un modo che i pugni non riuscivano più a fare-
Qhuinn si svegliò con un urlo, alzando le braccia sul viso, le cosce che scattavano in alto per proteggere l'inguine-
Non c'erano né pugni né mazze.
E lui non era in quel lato della strada.
Accendendo con la mente alcune luci, si guardò attorno nella camera da letto in cui stava da quando la sua famiglia l'aveva cacciato di casa. Non gli si addiceva, la carta da parati in seta e le antichità erano qualcosa che sua madre avrebbe scelto-e tuttavia, al momento, la vista di tutta quella merda vecchia che qualcun'altro aveva selezionato, comprato, appeso e sistemato, ebbe il potere di calmarlo.
Anche quando la memoria ci si soffermava.
Dio, la voce di suo fratello.
Suo fratello aveva fatto parte della Guardia d'Onore che era stata mandata per lui. Inoltre, quello inviava un messaggio ancora più potente alla glymera riguardo a quanto seriamente la famiglia prendesse le cose-e non era come se il ragazzo non fosse stato allenato. Gli erano state insegnate le arti marziali, anche se, naturalmente, non gli sarebbe mai stato permesso di combattere. Diavolo, gli era a malapena permesso di litigare.
Troppo prezioso per la linea di sangue. Se si fosse ferito? L'unico che stava per seguire le impronte del paparino e diventare probabilmente un leahdyre del Consiglio poteva essere compromesso.
Un piccolo rischio per una catastrofica ferita alla famiglia.
Qhuinn, d'altro canto? Prima d'essere ripudiato, era stato messo nel programma d'allenamento, forse con la speranza che fosse ferito a morte sul campo e avesse la decenza di morire con onore per tutti loro.
Fermi! Non dobbiamo ucciderlo!
Era stata l'ultima volta che aveva sentito la voce del fratello. Poco dopo che Qhuinn era stato buttato fuori di casa, la Lessening Society li aveva assaliti e fatto a pezzi, tutti loro, Padre, Madre, sorella-e Luchas.
Tutti morti. E benché una parte di lui li avesse odiati per ciò che gli avevano fatto, non avrebbe desiderato quel tipo di morte per nessuno.
Qhuinn si massaggiò la faccia.
Era il momento di fare una doccia. Ed era tutto ciò che sapeva.
Alzandosi in piedi, si stirò fino a che sentì schioccare la schiena, e controllò il telefono. Un messaggio collettivo annunciava che c'era una riunione nello studio di Wrath-e una veloce occhiata all'orologio gli disse che era in ritardo.
Che non era una cosa brutta. Mentre si mise in movimento e corse in bagno, fu un sollievo concentrarsi su roba vera invece della cazzata del passato.
Non c'era nulla che potesse fare riguardo alla seconda cosa, eccetto bestemmiare. E merda, lo sapeva bene che lo aveva fatto a sufficienza, almeno per dodici vite.
Sveglia, sveglina, pensò.

Era ora di andare a lavorare.